Chissà come reagirebbe Isaac Asimov di fronte all’invasione silenziosa dei robot che stanno entrando nella nostra vita di tutti i giorni? Vedrebbe in parte confermate, in parte superate le sue profezie; in gran parte le vedrebbe manifestarsi in forme piuttosto diverse: non soltanto macchine umanoidi programmate per imitarci e, drammaticamente, confondersi tra noi; ma piuttosto un pullulare di apparecchiature e oggetti intelligenti e autonomi in grado di sostituirci nelle mansioni più disparate. Ormai I robot ci guardano, come recita il titolo di un agile ma penetrante libro di Nicola Nosengo da poco edito da Zanichelli; e ci guardano molto da vicino, rispolverando vecchi interrogativi e suscitando nuovi problemi; accanto alle molte, forse troppe, aspettative e speranze. Ilsussidiario.net ne ha parlato proprio con Nosengo, che da tempo si occupa di innovazione tecnologica e dei suoi impatti sulla società e sul nostro modo di vivere.
Come è avvenuto questo ingresso dei robot nella vita quotidiana quasi senza che ce ne accorgessimo?
È avvenuta anzitutto con l’ingresso sempre maggiore di intelligenza all’interno di oggetti e apparecchiature che già avevamo nelle nostre case o comunque nel nostro quotidiano, da anni e che non eravamo abituati a considerare come dei robot. Cito due tra gli esempi più emblematici. L’aspirapolvere Roomba, il più grande caso di successo di robotica commerciale negli ultimi anni; certamente l’aspirapolvere è una delle ultime macchine alle quali eravamo preparati ad attribuire “intelligenza” e invece è stato di fatto un cavallo di Troia della robotica in ambito domestico. L’altro esempio, all’estremo opposto anche come dimensioni, che è ancora a uno stadio meno avanzato ma che di fatto sta crescendo, è quello dell’auto che si autoguida. Quella dei veicoli senza pilota è ormai tecnologicamente una realtà matura e ci sono sperimentazioni estremamente avanzate; la sua diffusione, in effetti, è rallentata non dalla tecnologia ma da altri problemi più di tipo normativo, legale e simili. Ormai le automobili, ma in genere i veicoli, compresi i velivoli (si pensi ai droni), hanno incamerato una quantità di intelligenza tale da portare le buone vecchie automobili in una nuova dimensione che si inserisce a buon diritto nel mondo della robotica.
Possiamo allora dire che si è accorciata la distanza tra fantascienza e realtà?
Sì e no. Per molte persone l’immagine dei robot continua ad essere quella che ci consegna la fantascienza, quella degli Asimov, dei Terminator e in genere della fantascienza cinematografica; cioè il robot umanoide, quello dalle sembianza umane, che cammina e parla con noi. Quel tipo di fantascienza in realtà non corrisponde alla realtà della robotica attuale; ed è tutto da discutere se le corrisponderà mai. Oggi le cose più interessanti nella robotica stanno accadendo in altri campi che non quello della robotica umanoide. In questo senso quindi la risposta più giusta alla sua domanda è: no.
Vista il trend positivo della ricerca robotica, cosa ci riserva il futuro?
Dovendo indicare qualche settore carico di promesse direi anzitutto quello, cui ho già accennato, dei veicoli senza pilota: è un vero breakthrough tecnologico che è lì lì per accadere. Il futuro prossimo ci riserverà anche un’iniezioni sempre più potente di intelligenza all’interno di dispositivi di uso comune quali lavatrici, lavastoviglie, lampade, in genere macchine che già abbiamo in casa e che ora consideriamo stupide e che invece diventeranno autonome e capaci di autogestirsi interpretando l’ambiente. Una cosa che ci riserverà il futuro deriva da un filone della robotica sul quale si sta lavorando molto cioè quello dei robot che cercano di carpire i segreti dell’efficienza della natura, soprattutto degli altri viventi non umani.
A cosa si riferisce?
Mi riferisco al fatto che mentre la robotica umanoide, per certi versi, non ha mantenuto le promesse, in molti laboratori si sta cercando di capire e riprodurre le capacità e le speciali prestazioni di particolari specie animali e vegetali. Si sta attuando un fecondo incontro tra ingegneri, biologi e neuro scienziati che porta a un reciproco incremento di conoscenze. Col risultato di poter realizzare macchine robotizzate alle quali affidare compiti difficili o sconvenienti per l’uomo nei quali invece alcune specie sono particolarmente abili: pensi ai molti interventi di emergenza in situazioni pericolose o alle attività in ambienti come i fondali marini o certi siti sotterranei, non adatti a noi esseri umani che non abbiamo sviluppato certe capacità come vedere bene al buio, orientarsi con sensi diversi dalla vista, muoversi sott’acqua e così via. Ci sono invece animali che si sono evoluti proprio in queste direzioni. Capire quindi come fa il polpo a muoversi sui fondali oceanici, ad esempio, sta oggi consentendo agli scienziati della Scuola S. Anna di Pisa di sviluppare un progetto di polpo robotico. E numerosi centri di ricerca affiancano agli studi sugli androidi, quelli sui promettenti animaloidi e plantoidi.
La citazione della Scuola S. Anna ci porta a considerare la situazione dell’Italia in questa sfida della ricerca robotica: come siamo messi?
Siamo messi sicuramente bene sia nel campo della ricerca che della produzione, dove abbiamo una tradizione di tutto rispetto. Abbiamo importanti centri di ricerca, oltre alla citata Pisa, a Genova con l’IIT e in altre Regioni, anche al Sud; e abbiamo molti spin-off universitari, cioè gruppi piccoli o meno che stanno brevettando nuove soluzioni in molti ambiti anche di frontiera, ad esempio in campo medico-chirurgico. Naturalmente non è facile il passaggio dalla sperimentazione all’ingresso sui mercati, per le difficoltà di sistema che ben conosciamo. Quindi potremmo sintetizzare così la nostra situazione nazionale: siamo messi bene ma non riusciamo a sfruttare a pieno tutte le doti che abbiamo.
E dal punto di vista della accettazione sociale di questa invasione robotica, cosa possiamo dire?
Dal mio punto di osservazione, vedo in generale un atteggiamento positivo che si sta facendo strada attraverso alcune diffidenze strutturali e storiche nei confronti della tecnologia; non siamo certo un Paese istintivamente entusiasta dell’innovazione. Posso dire quindi che non stiamo benissimo ma non particolarmente peggio di altri Paesi concorrenti.
La stretta convivenza con i robot, che ci si prospetta, quali problemi potrà crearci (o sta già creando)?
Non direi che ne stia già creando ma penso che potrà crearne in futuro. Specialmente dal punto di vista legale, normativo, c’è tutta una situazione che è ancora inesplorata; anche perché ancora oggi la persona media ha occasioni molto limitate di interazione e di contatto con i robot. Chi invece, per motivi professionali, ha contatti molto frequenti si accorge che ci sono tutta una serie di situazioni ancora non regolamentate che possono generare molti problemi. Esempio: quando un robot fa qualcosa di sbagliato, di chi è la colpa: del progettista, del programmatore, del costruttore, del proprietario? Sul versante più culturale, antropologico, un rischio che vedo è quello di una eccessiva fiducia nelle capacità della macchina, che tende ad abbassare la guardia da parte dell’uomo che deve pur sempre sovraintendere alle varie operazioni. Me lo sento dire, ad esempio, dai chirurghi che esaltano i grandi vantaggi degli interventi con i robot – maggiore precisione, minori complicazioni – ma notano la tendenza ad un utilizzo eccessivo, sproporzionato alle esigenze reali, con l’illusione che si possa loro attribuire un’autosufficienza illimitata, che porta a sottovalutare l’importanza essenziale della competenza umana e a sopravvalutare le capacità salvifiche della tecnologia. Quasi che a priori sia sempre meglio sostituire le mani umane con quelle robotiche. Penso che non debba essere sempre così.