A poco più di un anno di distanza dal rilascio dei risultati preliminari, lo scorso dicembre i ricercatori del progetto BOSS hanno pubblicato delle nuove misure che cercano di chiarire il mistero dell’energia oscura, un “oscuro” componente dell’universo che negli ultimi 5-6 miliardi di anni ha impresso una sensibile accelerazione all’espansione cosmica. Per comprendere meglio il significato della ricerca e il suo risultato, richiamiamo prima alcune nozioni di cosmologia moderna. Oggi si ritiene che sin dal Big Bang, avvenuto circa quattordici miliardi di anni fa, l’universo sia in continua espansione, in conseguenza delle leggi della relatività formulate da Einstein. Già un secolo fa i fisici Aleksandr Friedmann e George Lemaître, previdero tale espansione, ma i loro calcoli descrivevano un’espansione in un certo senso “inerziale” (senza cioè alcun agente attivo che la determinasse, ma semplicemente sfruttando l’impulso iniziale dato dal Big Bang).
Alla fine degli anni ’90 emersero però le prime evidenze che il quadro fosse più complesso: apparentemente, negli ultimi miliardi di anni c’è stata un’accelerazione dell’espansione, dovuta a una forma di energia “oscura”. Sebbene la natura di tale energia fosse sconosciuta, era comunque incontrovertibile che le teorie in possesso negli anni ’90 non potessero descrivere i nuovi dati osservativi.
Lo scopo di BOSS (Baryon Oscillation Spectroscopic Survey) è proprio quello di comprendere meglio la natura di questa forma di energia. Avevamo già parlato di BOSS in occasione della pubblicazione dei risultati preliminari: l’idea è quella di ricostruire la storia dell’universo osservando come nel corso dei 14 miliardi di anni dal Big Bang ad oggi le galassie si siano distribuite nello spazio. Dal momento che la luce di una galassia impiega un certo tempo per arrivare a noi, più la galassia è lontana più questa è antica.
Il team di BOSS ha quindi provveduto a misurare la posizione e il “redshift” (spostamento verso il rosso dello spettro di una galassia) di un numero elevato di galassie, e successivamente ha suddiviso le galassie in gruppi di eguale redshift. Siccome il redshift determina univocamente la distanza, tale suddivisione è concettualmente equivalente a una suddivisione in fasce di età: ogni gruppo di tale suddivisione rappresenta quindi un determinato istante della storia dell’universo. Va segnalato peraltro che il legame quantitativo tra redshift e distanza sia ancora oggetto di discussione; in ogni caso comunque, all’aumentare del redshift corrisponde sempre un aumento della distanza.
Perché si capisca l’utilità di una simile tecnica, occorre sapere che la dinamica con cui le galassie si distribuiscono nello spazio è dovuta principalmente alla forza di gravità, ma è complicata dal fatto che l’universo è in espansione. Le galassie infatti avrebbero la tendenza a ridurre lo spazio tra di esse a causa della gravità, ma l’espansione si oppone a tale tendenza. L’osservazione della distanza media tra le galassie in funzione dell’età, partendo dalla suddivisione in classi di redshift, permette quindi di ricostruire con buona precisione l’evoluzione dell’espansione e di misurare una serie di parametri legati alla fisica dell’energia oscura.
Se i risultati preliminari di BOSS erano basati su un campione iniziale di 60.369 galassie, l’articolo più recente ne considera ben 1.277.503. I risultati sono particolarmente importanti: basandosi anche sulle osservazioni pubblicate lo scorso marzo dalla collaborazione , BOSS fornisce una ricostruzione accurata della scala delle distanze cosmiche, ponendo limiti ben precisi all’equazione che descrive l’evoluzione dell’energia oscura; infine, stabilisce in maniera incontrovertibile la piattezza dell’universo.
La ricostruzione della scala delle distanze è estremamente importante, perché fornisce un modo per collegare il redshift alla cosiddetta “distanza angolare”, passo fondamentale per qualsiasi misura cosmologica. Già PLANCK aveva fornito lo scorso marzo una misura di questo valore, ma era limitata ad un unico istante temporale (quello a cui si formò la radiazione cosmica di fondo, 13.5 miliardi di anni fa). BOSS è riuscito invece a ricostruire la relazione tra redshift e distanza angolare in un intervallo di età che va da 1 a 6 miliardi di anni fa.
La misura della piattezza dell’universo d’altro canto conferma ciò che già PLANCK e altri esperimenti avevano misurato: nell’universo valgono i classici teoremi della geometria greca, ossia la sua geometria è “piatta”. Tale risultato non è per nulla scontato, perché un universo piatto dovrebbe essere altamente instabile. Per conciliare il fatto che esso ci appaia comunque piatto nelle osservazioni, negli anni ’80 si ipotizzò che nelle sue primissime fasi di vita l’universo avesse subito un’accelerazione esponenziale, chiamata “inflazione”: essa permette matematicamente di spiegare la preferenza del nostro universo per la piattezza. Va comunque sottolineato che l’ accelerazione inflazionaria è diversa da quella causata dell’energia oscura: quest’ultima ha iniziato ad agire in tempi relativamente recenti, mentre l’inflazione è cessata frazioni di secondo dopo il Big Bang.
Come detto, i risultati di BOSS confermano con un elevato grado di affidabilità la piattezza, e quindi di riflesso la teoria dell’inflazione. Piccola postilla. La “piattezza” di cui si parla è un termine piuttosto infelice: essa non ha niente a che vedere con la forma dell’universo, che è e rimane tridimensionale, ma riguarda certe sue proprietà geometriche, che sono la banale estensione tridimensionale di quelle proprietà della geometria piana studiate migliaia di anni fa dai filosofi greci.