Prima di iniziare a leggere, vi prego, fidatevi, e prendete nota dell’ora. La carenza di vitamina A è la principale causa di morte a livello globale, superiore anche all’AIDS, con circa 2 milioni di vittime ogni anno, vale a dire circa 6000 al giorno o, se preferite 4 al minuto. Quando sarete arrivati al fondo dell’articolo saranno morte una decina di persone e più di un paio avranno perso la vista. Una buona parte delle vittime sono donne e bambini, specialmente tra i poveri del sudest asiatico e dell’Africa, cioè tra coloro che hanno diete poco ricche e che si basano principalmente su un solo alimento, ad esempio il riso, carente di vitamina A o di carotenoidi, composti come il beta carotene (quello che conferisce il colore tipico alle carote) e simili che possono essere convertiti in vitamina A una volta introdotti nel corpo.
Da anni sono in atto diversi programmi per eradicare questa piaga colossale, usando approcci come la distribuzione di vitamina in pillole e l’educazione a diete più diversificate, promuovendo la creazioni di orti domestici e l’utilizzo di piante ricche in carotenoidi (per esempio le carote). Nonostante ci siano stati dei progressi, dai numeri sopra riportati risulta evidente che nessuno di questi approcci, pur avendo contribuito a diminuire il fenomeno, è stato capace di risolvere il problema. E non è difficile intuire le difficoltà con cui ci si scontra: ad esempio, quanti volontari ci sono per portare con regolarità le pillole nei villaggi sperduti tra le montagne e nelle migliaia di isole del sudest asiatico, cercando di convincere le popolazioni locali, di cui magari nessuno conosce la lingua, a prendere le pillole? Oppure come convincere una famiglia povera nelle megalopoli indiane a farsi un orto e a coltivarci carote, quando non possiedono neanche un fazzoletto di terra?
C’è bisogno di approcci alternativi ed efficienti perché, mentre nei salotti si discute, la gente continua a morire e a soffrire. Uno dei nuovi approcci consiste nel migliorare le caratteristiche nutrizionali dei cibi sfruttando le conoscenze della biologia e della biotecnologia, per esempio attraverso incroci tra varietà diverse e cercando nella progenie nuove combinazioni genetiche che aumentino il contenuto di beta carotene; questo però non è sempre possibile, come è il caso del riso, o richiede tempi lunghi. Altri hanno tentato un approccio biotecnologico, cioè usando i geni responsabili della sintesi dei carotenoidi in modo più mirato e predicibile rispetto al agli incroci del miglioramento genetico classico che, sia detto per inciso, va a toccare esattamente gli stessi geni. Il tentativo è stato coraggioso e i risultati sono stati notevoli. In pochi anni si è riuscito ad aumentare il contenuto di carotenoidi di varie colture, tra cui riso, cassava, banana, patata, colza e altre ancora.
Il primo a credere in questa strategia è stato Ingo Potrykus che insieme a Peter Beyer è riuscito ad ottenere nel giorno di Pasqua del 1999 una varietà di riso che accumulava piccole quantità di beta carotene (confesso che mi piace immaginare la coincidenza con un giorno liturgicamente decisivo come un segno…). Nonostante il basso contenuto, il consumo di normali quantità di riso sarebbe stato comunque sufficiente per alleviare i problemi connessi alla carenza. Non si chiedeva infatti al Golden rice di essere l’unica sorgente di vitamina A, ma di apportare un’aggiunta significativa a quanto già assunto nella dieta. E siccome sono i poveri che si cibano principalmente di riso a soffrire della carenza, questo è un modo efficace per raggiungere proprio chi ne ha più bisogno e in modo capillare, senza mettere in piedi complicati sistemi di distribuzione ma semplicemente rilasciando varietà di riso che contengano il carattere “golden”, cioè un pallido color oro.
Purtroppo tale riso dopo 15 anni non è ancora arrivato nelle mani degli agricoltori a motivo della normativa internazionale iperprecauzionale e insensata, con il contributo sostanziale di numerose organizzazioni ambientaliste, prime fra tutte Greenpeace, che si sono opposte al rilascio attraverso la disseminazione di informazioni menzognere (come ad esempio l’affermazione che era richiesto il consumo di 9 kg di riso al giorno per essere efficace, una quantità ovviamente impossibile da assumere) e azioni di sabotaggio. L’immagine con i 9 kg di riso troneggia ancora in alcune pagine in rete in cui si vedono cartelli con sopra scritto “Buon appetito”, e questo nonostante dal 2005 sia disponibile una versione migliorata del Golden rice che contiene da 20 a 30 vote più beta carotene della prima versione.
In un caso addirittura, non attribuito a Greenpeace ma a un’associazione filippina, l’opposizione è arrivata anche alla distruzione di campi sperimentali. Greenpeace giustifica la sua posizione (come si può verificare ancora oggi sul sito italiano) perché il Golden rice sarebbe “ecologicamente inaffidabile, mette a rischio la salute umana, può compromettere il cibo e la sicurezza alimentare ed economica”. Come il Golden rice comporterebbe pericoli dal punto di vista ambientale o sanitario non ci è dato di saperlo, non essendoci dettagli sufficienti nel testo per capirlo, ma la posizione tradisce una grande ignoranza dell’agricoltura, della sua storia e i suoi scopi. Tale ignoranza è purtroppo oggi diffusa perché ormai pochi percento della popolazione praticano l’agricoltura o ne hanno esperienza diretta.
Pochi sanno che le piante coltivate presentano dei rischi, ma questi dipendono dalle caratteristiche della pianta e non dai metodi usati per generarla (cioè per mutazione spontanea, per mutagenesi casuale, per transgenesi o con molti altri metodi che sarebbe complicato descrivere). Per questo un certo numero di prodotti agricoli convenzionali, e più spesso quando sono ottenuti secondo i metodi dell’agricoltura biologica, sono stati causa di malattia e di morte e lo sono ancora oggi, seppur in modo molto più ridotto. Quindi ogni nuova pianta va paragonata con questa storia per vedere se comporti rischi diversi.
Inoltre i rischi vanno sempre pesati insieme ai benefici, che nel caso del Golde rice sarebbero enormi in termini di sofferenze e morti risparmiate. Secondo, proprio a motivo del cumulo di mutazioni sfavorevoli avvenuto durante il processo di domesticazione, le piante coltivate risultano deboli e incapaci, nella maggior parte dei casi, di sopravvivere senza l’aiuto dell’uomo.
Questo significa che le piante coltivate non rappresentano un rischio per le piante selvatiche, ma è l’agricoltura in sé a rappresentare il più grosso pericolo per l’ambiente e le specie selvatiche. Per questo parlare di “inaffidabilità ecologica” di una varietà coltivata rappresenta un non-senso e non fa onore agli estensori del documento. Tralasciamo anche gli aspetti economici e di sicurezza alimentare, basti dire che il Golden rice è stato sviluppato dalla ricerca pubblica e che le industrie che potevano vantare dei brevetti su alcune parti dello sviluppo di questa varietà li hanno ceduti in brevissimo tempo per ragioni umanitarie e senza fare problemi.
Questa lunga premessa ci permette di capire l’importanza e la validità della campagna “Allow Golden rice now!” che Patrick More sta conducendo in Europa insieme al fratello, con il supporto di diversi scienziati. Ieri c’è stata la tappa romana, con una manifestazione di piazza a cui ha partecipato anche Chicco Testa, ex-presidente di Legambiente, insieme ad alcuni studenti e ricercatori. Pochi sanno che Patrick Moore è stato uno dei fondatori di Greenpeace, avendo partecipato alle prime ed eclatanti azioni per bloccare gli esperimenti nucleari francesi e ad altre azioni simili. Dopo qualche anno, Patrick, che possiede un dottorato in ecologia, si rese conto della deriva antiscientifica del movimento e ne usci per disaccordo sulle scelte di fondo e sull’attitudine pervasiva a rifiutare sempre e comunque l’innovazione (quella che Testa chiama la “cultura del NO”) e le proposte di soluzione ai numerosi problemi posti dalla modernità.
Oggi ci sarà all’Università La Sapienza di Roma un incontro pubblico dove parleranno Moore, Testa e degli scienziati. Scopo dell’incontro e della campagna in generale è far prendere coscienza dei dati del flagello causato dalla carenza da vitamina A e per chiedere che Greenpeace e gli altri movimenti che si oppongono al Golden rice ripensino profondamente le loro scelte e le loro politiche. Le loro scelte contribuiscono ad allontanare il giorno in cui il Golden rice sarà distribuito e potrà avere i suoi effetti, mentre ogni giorno la gente muore e i bambini perdono la vista.
Chi si prenderà la responsabilità di quelle morti? Se proponessero e attuassero metodi alternativi per combattere il flagello, sarei restio a criticarli. Chiunque combatte e si spende per un positivo, specialmente se si prende cura di poveri e sofferenti, merita rispetto, stima e aiuto. Chi si oppone a strategie il cui scopo è lenire le sofferenze altrui, si assume una grave responsabilità, tanto più grande quando le sue motivazioni sono inconsistenti. Ogni giorno che passa è un giorno di troppo. Adesso ricontrollate l’ora e fatevi due calcoli. Facciamolo sapere al mondo (e magari, per email, anche a Greenpeace).