A un cinquantennio dalla pubblicazione delle tesi teoriche che in modo indipendente hanno previsto l’esistenza della particella grazie alla quale esiste la massa, il Nobel per la Fisica 2013 è stato assegnato al belga Francois Englert, della Libera Università di Bruxelles, e al britannico Peter W. Higgs, dell’università di Edimburgo. La teoria ipotizzata nel 1964 da questi scienziati è una degli argomenti fondamentali per la costruzione dei colossali esperimenti progettati e realizzati nell’acceleratore di particelle più grande del mondo, il Large Hadron Collider (Lhc) del Cern di Ginevra, dove nel 2012 i due esperimenti guidati all’epoca dagli italiani Guido Tonelli (CMS) e Fabiola Gianotti (ATLAS) hanno reciprocamente trovato conferma dell’esistenza del cosiddetto bosone di Higgs. In questi grandi gruppi di ricerca (ognuno dei due composto da 4000 scienziati provenienti da tutti i continenti) l’Italia ha un ruolo di primo piano con l’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (Infn).
Nel contesto di questi avvenimenti e nel concomitante avvicendarsi del 150° del Politecnico di Milano e del 60° anniversario della fondazione del Cern di Ginevra, sono state riproposte a Milano gli esiti di un primo coinvolgimento di interesse da parte di chi scrive nella comunicazione della ricerca sulla fisica delle particelle, studiata e documentata visivamente nella costruzione dell’esperimento LHC e sfociato nella curatela e portfolio fotografico nel volume “Gli anelli del sapere. Infn x LHC” (Abitare-RCS) dal quale prende spunto la mostra “Nell’era dell’Higgs – Nuovo viaggio nell’architettura infinitesimale delle particelle elementari”, esposta nei giorni scorsi presso il Campus Bovisa, Scuola del Design, del Politecnico di Milano.
La sfida e l’intuizione iniziale dischiusero la possibilità di una profonda affinità metodologica e di riconoscimento del valore, quasi intrinseco, tra la ricerca compositiva e visuale dell’architettura con la incessante volontà di indagine teorica ed elaborazione sperimentale della Natura e delle sue strutture fondamentali che presuppone e accompagna il lavoro dei Fisici.
Se una prima fase di quella ricerca visiva ha riguardato il survey, il sopralluogo dell’esperimento, una seconda non meno rilevante è sorta dalla necessità di inquadrare concettualmente i possibili intrecci tra scienza e architettura, tra ricerca scientifica e design degli esperimenti sintetizzabile in alcune parole chiave: progetto, ragione, bellezza. Progetto in quanto le costruzioni delle scienza dimostrano una capacità, addirittura intergenerazionale, di elaborare strumenti che dalla teorizzazione astratta permettono di giungere alla possibilità esplorare un evento fisico nel campo dell’invisibile ai nostri sensi, articolandosi nella fattibilità tecnica della sua costruzione e al completamento operativo della sua attività sperimentale nella verifica delle ipotesi di partenza.
Un intrinseco elogio della ragione, come strumento adeguato alla lettura della Natura, è sotteso all’esigente fattore di coerenza logico-formale al metodo scientifico teorico e sperimentale. L’essenziale eleganza delle modalità del pensiero astratto, e della conseguente verifica, riflettono una particolare modalità di ricerca della bellezza, tacitamente ricercata alla scoperta delle dinamiche essenziali che regolano gli equilibri e l’esistenza stessa della Natura.
Un rigore disciplinare, capace di una tenuta intergenerazionale tra aspetti teorici, sostiene la capacità di escogitare nuove tecnologie finalizzate a condizioni inedite di funzionamento, la costruzione di macchine sperimentali con inediti livelli di complessità e precisione, sapendo prevedere e trattare nuove tipologie di dati generatesi dal suo funzionamento: dunque la fisica come design.
La capacità progettuale è altresì indispensabile per le realizzazione delle immagini che vengono generate per le visualizzazione della microstruttura della materia con l’elaborazione di nuovi algoritmi per descrivere i dati raccolti in modo sistematico ed interpretabile, trovando soluzione tecnologiche inedite ed adeguate alla complessità dei dati raccolti. Lo studio di tali dati ottenuti in sezioni di collisioni sono relative non ad oggetti, ma ad eventi, e raccolte ad una scala di tempo e di spazio infinitesimale, con caratteristiche tali che si approssimano progressivamente all’origine stessa dello spazio-tempo, come all’atto stesso di quello che definiamo il Big-Bang.
In questo percorso generale si possono evidenziare tre livelli di rappresentazione che gli scienziati elaborano per attuare il proprio iter di ricerca: il Disegno, come ordinamento di tracce grafiche sia nella lettura della configurazione dei fenomeni che nella progettazione degli esperimenti; le Immagini, come orditura complessa bi e tridimensionale dei dati raccolti fino a tessere uno spazio omogeneo visivamente percepibile; le Metafore – come ipotesi figurate o verbali per individuare scenari di ricerca su ambiti altrimenti indicibili eppur deduttivamente evidenti in ragione delle analisi finora condotte ( es.: buchi neri energia o materia oscura).
Il tema della figurazione nelle scienza fisica risulta particolarmente significativo in questo momento della sua storia in quanto i risultati alla scala microscopica (bosone di Higgs a LHC) riguardano ipotesi interpretative significative anche nella interpretazione a scala macroscopica nelle scienze cosmologiche che interpretano e ampie differenze tra ciò che potrebbe essere prevedibile nella configurazione dell’universo, ma che risulta alterato da forse e dinamiche di cui non siamo in grado di darci spiegazione in ragione delle conoscenze finora acquisite.
Risulta infatti che la materia a noi nota non riguarda più del 4-5% dell’esistente nel cosmo, laddove almeno altre due grandi componenti “oscure” di massa ed energia risultano dover comporre gli equilibri e le dinamiche in azione a scala cosmica: le risposte a livello micro e macro sembrano poter convergere a una reciproca comprensione di fattori interpretativi di entrambi queste dimensioni apparentemente agli antipodi.
Analogamente le figurazioni nel micro e nel macro ci appaiono straordinariamente convergenti nel rappresentare la probabile relazione tra le parti infinitesimali e quelle infinitamente grandi: fenomeni pur lontanissimi dalla nostra percepibilità– descrivibili solo attraverso potentissimi strumenti di indagine e di calcolo- risultano essere figurabili in sistemi dalla morfologie complesse, ma inaspettatamente affini, anche nella modellizzazioni generate da algoritmi digitali presumibilmente estranei alle nostre possibili influenze antropiche.
I punti di contatto tra l’arte e la scienza si riaffacciano nelle procedure della nuova iconografia digitale riaprendo una ricorsività antica e riconducibile ad un dibattito epistemologico d’era galileiana, laddove la bipolare preferenza tra l’analisi dei fenomeni in ragione dei dati in soli numeri o le a loro interpretazione in forma di immagini in figure visibili come visione analitica aggregata dei valori significativi, risulta essere un dilemma ricorrente nella forma mentis degli scienziati.
In questo senso può essere adeguatamente ripresa la metafora di Narciso che si innamora della propria immagine, laddove nel rapporto tra scienza ed arti figurative le due discipline paiono accontentarsi di vedere sempre e solo il riflesso di se stesse, senza la capacità di riconoscere il volto altrui al di là del rispecchiamento virtuale che –solo apparentemente- le separa.
Il concetto stesso del “vedere” si affaccia come un tema complesso che afferisce più alle dinamiche della “vision”, come capacità di comprendere il percepito, ben oltre alla visione come mera fenomenologia ottica; in questo senso la storia delle immagini concepite nella ricerca artistica da un lato e quelle generate per gli scopi della ricerca scientifica dall’altro risultano anticipare di diversi decenni le figurazioni che risultano poi divenire linguaggio condiviso e comune dalla società generale; dunque esplorare questi campi avanzati delle ricerca figurative è un campo interessante per prevedere prossimi linguaggi visivi condivisi.
La “vision” risulta come pre-condizione intellettuale alla ricerca, ma anche alla stessa comprensione del dato percepibile. Le rappresentazioni realizzate per indagare la scala cosmica, esplorando spettri elettromagnetici ben lontani dal campo del visibile percepibili all’occhio, stanno producendo una serie di mappe estremamente interessanti di morfologie aggregate che rappresentano, pur in una sinossi comparativa esplicitamente approssimata ed empirica, delle analogie interessanti con le immagini dei mondi della fisica microscala.
È perciò sempre più evidente come il tema della osservazione si configuri dunque da una esperienza inizialmente percettiva verso una capacità di interpretazione e produzione di immagini artefatte al fine di poter rappresentare dati complessi, dinamici e spazialmente configurati. Lo sguardo, pur messo in atto da un fenomeno recettivo della realtà visibile, è ben lungi dall’essere concepibile come un atto passivo e si rivela essere un atto intellettuale e mentale che le neuroscienze stanno sempre meglio interpretano – convalidando le archetipiche evidenze che le discipline umanistiche o le esperienze degli artisti hanno spesso descritto- come un intreccio tra intuizione prefigurativa e l’esperienza di un dato reale: senza una ipotesi interpretativa anche la rilevazione di un dato concreto può restare come inutile.
In particolare nell’era della elaborazione digitale dei dati e delle immagini questa possibilità di “vision” trova degli strumenti particolarmente innovativi che stanno guadagnando un potere di conoscenza decisamente strategico, sia nella possibilità di poter comparare dati e informazioni di fonte e generazione totalmente eterogenei, ibridando elementi di realtà esistente con parti di realtà progettata o simulata o prevista.
Se pensiamo all’ambito e alla scala dimensionale delle neuroscienze o della genetica, ci rendiamo conto delle possibilità innovative che le tecno scienze possono avere, laddove le medesime figurazioni digitali permettono di rappresentare la mappa stessa della nostra profonda identità biologica o nostri pensieri in azione: dunque una capacità di conoscenza e di controllo nell’ambito del sé che vive, della mente stessa dell’umano -al limite stesso nell’atto stesso del suo indagare- aprendoci ad un altro microcosmo che riguarda la nostra stessa identità.
Si dischiude con queste tecnologie come un nuovo coefficiente interpretativo alla autocoscienza antropologica. E come sempre un sapere è un potere, e un potere può divenire ambivalentemente un dominio o un servizio.
Certamente anche la possibilità previsionale che i dati digitali sono in grado di elaborare pone di fronte a scenari molto interessanti in cui, più che poterci accertare se quello che si stia prefigurano sia vero o falso, potremmo domandarci se, quando e dove quanto ipotizzato potrebbe avverarsi.
Rispetto a fenomeni dinamici complessi – perfino alla macroscale delle galassie laddove i sistemi computazionali dinamici previsionali sono in grado di calcolare, sulla base delle dinamiche aggregative della materia quali potrebbero risultare le configurazioni di aggregati in cluster possibili (come ad esempio il programma di ricerca Bolshoi) l’estrema varietà dei fatti in natura ci pone il problema non tanto di accertare la corrispondenza tra ipotesi e riscontro concreto, ma della possibile falsificazione di una ipotesi interpretativa a fronte di una sterminata casistica di situazioni ancora ignote.
In questo scenario le tecniche di visione stereoscopica tridimensionale si trovano al crocevia tra le ricerche percettive, la modellizzazione mentale dello spazio e le potenzialità della protipazione virtuale dei dati digitali riguadagnando una attualità dai risvolti aperti piuttosto imprevedili.
Una nuova generazione di device sono stati presentati al recente CES 2014 a Los Angeles in grado di presentare video ad alta definizione con accurate interazioni grazie ad accelerometro, giroscopio, geoereferenziazione GPS e visione trasparente del campo visivo ambientale circostante.
Il frutto di ricerche della fisiologia ottica di lontana origine ottocentesca stanno ritrovando una attualità del tutto inattesa, con interessamenti che subito si sono suscitati sia dal mondo della ricerca scientifica e industriale -e nondimeno da parte della ricerca artistica o cinematografica- proprio per la possibilità di esplorare dati ed immagini 3D in modo comparato con il modo reale e “a mani libere”: con possibilità di applicazioni interattive e prossemiche decisamente innovative.