Quando si accende una Supernova, è sempre un evento di grande interesse per gli astronomi e ricco di conseguenze. Nel caso di quella esplosa nel gennaio scorso nella galassia M82, a circa 12 milioni di anni luce dalla Terra, tra le conseguenze c’è stata la scoperta di una pulsar brillante come 10 milioni di soli: è la pulsar più luminosa mai osservata. La scoperta, i cui particolari sono descritti in un articolo appena pubblicato sulla rivista Nature, è opera di un gruppo coordinato dall’italiano Matteo Bachetti, che da poco lavora presso l’Osservatorio di Cagliari dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF) e che aveva condotto le indagini presso l’Istituto francese di ricerche in Astrofisica e Planetologia di Tolosa.



«Osservata in M82 – ha detto Bachetti a Ilsussidiario.net– è una delle Supernovae più vicine tra quelle esplose negli ultimi secoli; quindi era molto interessante da studiare e molti satelliti astronomici hanno puntato in quella direzione». Tra questi anche il NuSTAR (Nuclear Spectroscopic Telescope Array), un telescopio spaziale della Nasa lanciato nel giugno 2012, che utilizza il telescopio Wolter per rilevare i raggi X da sorgenti presenti nello spazio. «NuSTAR è uno dei satelliti della serie Small Explorers, cioè quei progetti che, a costi relativamente bassi, possono testare nuove tecnologie: nel suo caso, le tecnologie per la focalizzazione e la produzione di immagini nei raggi X ad alta energia. In sostanza, NuSTAR è il primo satellite che, operando a quelle energie, riesce a ricavare delle immagini».



Ma, come è avvenuta la scoperta di Bachetti? «Possiamo dire che è stato un caso. NuSTAR ha osservato la M82 per due milioni di secondi, circa tre settimane. In questa galassia, oltre alla Supernova che è interessante comunque, ci sono altre sorgenti di raggi X ben note da tempo, come la M82 X-2: noi abbiamo avuto accesso a questi dati e abbiamo approfondito lo studio di tali sorgenti, che erano indicate come candidati buchi neri, anche piuttosto grossi. Esaminando bene i dati, mi sono accorto che il segnale X emesso era pulsante: quando ho visto le pulsazioni non potevo crederci, per giorni ho pensato a un errore e ho cercato quale fosse la sorgente vicina a X-2 che potesse contaminare i dati. Poi ho concluso che l’unico modo per ottenere pulsazioni così veloci e così stabili è che si tratti di una pulsar».



L’astronomo sardo ci spiega che le pulsar sono una sotto classe delle stelle di neutroni, cioè il resto densissimo dall’esplosione di supernova quando una stella muore. Per avere un’idea della loro densità, si può dire che hanno la massa una o due volte il nostro Sole ma concentrata in una sfera grande meno di Roma. In particolare le pulsar sono quelle stelle di neutroni che per qualche motivo riescono ad emettere segnali pulsanti. Ciò può avvenire secondo diversi meccanismi ma in ogni caso deve succedere che sulla stella si formino due punti che emettono segnali luminosi: poiché la stella ruota, si comporta come un faro, che illumina il cielo a intermittenza in diverse direzioni. 

La scoperta di questa nuova pulsar è interessante anche perché rimette in discussione alcune acquisizioni teoriche. «La prima è che quando si osservano sorgenti così luminose debbano per forza essere dei buchi neri». I buchi neri, come è noto, non possono emettere radiazione, ma la materia intorno a loro si riscalda moltissimo e i raggi X che si vedono intorno al buco nero indicano questa materia surriscaldata. Più materia cattura il buco nero e più raggi X vengono prodotti. La quantità di materia massima che può essere catturata dipende a sua volta da quanto è “massiccio” l’oggetto che la cattura. I buchi neri, più grandi delle stelle di neutroni, possono quindi essere molto più luminosi delle stelle di neutroni. Quando gli astronomi hanno osservato in galassie vicine delle sorgenti di raggi X fortissime, chiamate in gergo Ultraluminous X-ray sources (ULX), hanno quindi sempre attribuito a dei buchi neri questa emissione. «Poiché alcune di queste sorgenti sono decine di volte più luminose dei buchi neri più luminosi noti nella nostra galassia, si è addirittura pensato per un po’ che queste sorgenti fossero buchi neri molto massicci, oltre cento volte la massa del nostro Sole. Invece in questo caso non è così».

La seconda conseguenza riguarda i limiti massimi di luminosità di queste pulsar. «Ci sono delle teorie, considerate molto valide, che stabiliscono dei limiti. Uno è il limite di Eddington, che funziona piuttosto bene per i buchi neri della nostra galassia. Tale limite può essere superato con qualche correzione; infatti alcune pulsar lo oltrepassano, perché la loro modalità di accrescimento lo permette. Per esse c’è un altro limite teorico, circa dieci volte sopra quello di Eddington. Nel nostro caso però questo limite è stato superato di almeno dieci volte; quindi la teoria sottostante è da rivedere».

Resta comunque aperto un problema: come è possibile che oggetti così piccoli siano così brillanti? «Su questo non abbiamo ancora una spiegazione soddisfacente; le ricerche dei prossimi anni saranno dedicate a rintracciare evidenze che possano permetterci di capire cosa sta succedendo in quelle stelle: per ora abbiamo solo tante ipotesi». Bachetti in Sardegna proseguirà le sue ricerche in questa direzione. Forse anche utilizzando il Sardinia Radio Telescope (SRT), il gioiello della radioastronomia installato in provincia di Cagliari, inaugurato ufficialmente un anno fa ed ora pienamento operativo. Con SRT, conferma Bachetti, è possibile svolgere alcune delle analisi necessarie per poter dirimere la questione.