La longevità di mente e cervello è un tema ormai entrato stabilmente nell’agenda di medici, scienziati e operatori sanitari a tutti i livelli. Anche perché si tratta di un aspetto non affrontabile da un solo punto di vista, dall’ottica di una singola disciplina: molti studi hanno dimostrato che l’alimentazione, l’attività fisica, la socializzazione, la stimolazione cognitiva, oltre a una serie di presidi farmacologici vecchi e nuovi, possono avere un ruolo protettivo per il declino cognitivo e per le patologie neurodegenerative.
Lo ha riconfermato nei giorni scorsi lo svolgimento del congresso internazionale “Longevamente”, l’evento dedicato alla longevità sostenibile ideato e realizzato da Assomensana, l’associazione di promozione della salute nata nel 2004 con lo scopo di individuare le cause dell’invecchiamento mentale e diffondere le strategie per sviluppare e potenziare le abilità mentali a tutte le età. Il convegno ha radunato a Milano studiosi e ricercatori di tante discipline, affrontando il tema a 360°, a partire dalla nutrizione fino alla socializzazione, dalle condizioni bio-fisiologiche alla cura della persona.
Ne abbiamo parlato col responsabile scientifico del convegno, il professor Giuseppe Alfredo Iannoccari, Docente in Scienze Umane all’Università Statale di Milano e Presidente di Assomensana.
Professore, cosa possiamo dire circa le cause dell’invecchiamento?
Nelle nostre ricerche noi facciamo riferimento principalmente a due teorie dell’invecchiamento. Una è quella che attribuisce la ridotta efficienza del sistema cerebrale al deterioramento del materiale genetico, dovuto alla mancata corretta riparazione degli errori che si accumulano nei geni nel momento della replicazione del DNA. L’altra ipotesi esplicativa dell’invecchiamento è che ci sia una sorta di orologio biologico che regola il declino del sistema cerebrale stesso.
Come si manifesta questo declino?
Secondo il modello di Park, l’invecchiamento comprende due aspetti: quello di tipo anatomico e quello funzionale. Per il primo si verificano a livello cerebrale tutta una serie di episodi, come: l’assottigliamento della corteccia, il venir meno delle ramificazioni dendritiche, la ridotta irrorazione cerebro-vascolare; tutto ciò determina il deterioramento del materiale cerebrale. Per quello funzionale abbiamo un abbassamento dei livelli funzionali che sono condizionati da ciò che accade a livello anatomico e quindi c’è una ridotta velocità di elaborazione delle informazioni, un ridimensionamento della memoria di lavoro, un’incapacità di svolgere attività complesse. Esemplifico: se prima andando a fare la spesa e eravamo in grado di memorizzare un certo numero di cose da acquistare, col passar del tempo questa capacità si riduce. Viene meno anche la capacità di focalizzarsi su un compito specifico; i nostri processi attentivi iniziano a deficitare, così come anche i meccanismi inibitori, cioè quelli che consentono di escludere dal campo dell’attenzione tutto ciò che in quel momento non ci interessa (i cosiddetti distrattori)o sul focus principale.
L’insieme di queste due componenti, anatomica e funzionale, determina il livello di efficienza cerebrale; che è totalmente individuale: due soggetti coetanei non necessariamente hanno lo stesso livello di declino.
Cosa fare prima che il fenomeno si manifesti pienamente?
Il nostro approccio parte dall’idea di prevenzione, anzi la amplia e la supera col concetto di pro-attività, cioè lavorare d’anticipo e impegnarsi per acquisire salute quando ancora si è in salute. Noi ci focalizziamo sul tema dell’efficienza cognitiva, sviluppando metodi per mantenerla elevata a tutte le età e rallentare il declino cognitivo. Abbiamo un atteggiamento multidisciplinare: Anche il congresso che si è appena svolto ha ampiamente dimostrato che non c’è un’unica una causa dell’invecchiamento ma entrano in gioco molti fattori: si è parlato infatti di biochimica, di ormoni, di sistema endocrino, di potenziamento cognitivo, di stili di vita e così via. Quanto alle indicazioni da fornire al grande pubblico, è pur vero che è difficile lanciare messaggi generali ed evitare il linguaggio specialistico e che spesso assistiamo a comunicazioni illusorie e fuorvianti. Possiamo comunque dire alcune cose.
Ad esempio?
Che la cosiddetta alimentazione mediterranea al momento è l’indicazione più proficua per assicurare il mantenimento di adeguati livelli di salute. Anche sul versante dell’attività fisica, resta confermato che l’esercizio fisico regolare e periodico giova anche a livello cerebrale. Esaminando le ricerche più recenti abbiamo trovato che l’attività fisica e la stimolazione cognitiva hanno effetti complementari, cioè il loro abbinamento consente di attivare la neurogenesi, cioè la produzione di nuovi neuroni, e anche di prolungare l’arco di vita dei neuroni così generati (che di per sé morirebbero rapidamente).
Poi c’è un’altra indicazione di massima che possiamo riassumere in una affermazione spesso ripetuta anche dal professor Veronesi: “tutto ciò che fa bene al cuore fa bene anche al cervello”.
La stimolazione cognitiva è quella che, con espressione più ad effetto, si può indicare come “allenamento della mente”: in pratica?
Noi, come Assomensana, proponiamo la stimolazione cognitiva da una decina d’anni; abbiamo iniziato quando ancora non c’erano praticamente attività in questa direzione. Abbiamo quindi cercato di suscitare curiosità e creare cultura su questo tema e le ricerche scientifiche stanno dando sempre più conferme della bontà dell’intuizione iniziale. Quando una persona vive in un ambiente “arricchito”, è sottoposta a stimoli e sollecitazioni continue, si è visto anche a livello sperimentale che ciò provoca una riduzione del decadimento cellulare e un irrobustimento del substrato neurologico. Lo possiamo spiegare anche grazie a scoperte come quella del NGF di Rita Levi Montalcini o con gli studi di Yves Bard, del Max Planck Institute, che ha individuato le neurotrofine, proteine che nutrono i neuroni, prodotte quando il soggetto è sottoposto a stimolazione cognitiva. In sintesi: un cervello stimolato vive più a lungo e funziona meglio.
Come si sviluppa la vostra proposta?
Abbiamo messo a punto un programma, che divulgativamente chiamiamo ginnastica mentale, che proponiamo nei nostri centri e comprende una serie di attività relative alle principali funzioni che vanno: dall’attenzione alla concentrazione, dal linguaggio alla memoria prospettica, fino alla creatività e al pensiero laterale.
È un programma che sottoponiamo regolarmente a verifica, con test iniziali e finali; finora le verifiche ci hanno confermato gli affetti positivi prodotti dalla ginnastica mentale.
E per chi non può partecipare a questi programmi?
Proponiamo cinque semplici esercizi che tutti possono fare durante la giornata per “allenare” la mente; ricordando sempre che qualunque azione, da quelle a livello più mentale a quelle a livello fisiologico, ha la sua massima efficacia se integrata in un insieme organico di interventi e di apporti derivanti da diverse discipline.
Il primo esercizio consiste nell’apprendere una notizia, da un qualunque media, e ripeterla almeno a tre persone: questo facilita la memorizzazione duratura e più completa di ciò che si è appreso; l’esercizio, ovviamente, va ripetuto ogni giorno
Il secondo esercizio riguarda la fluenza verbale: si pensi al frequente fenomeno della “parola sulla punta della lingua”. Per due giorni e per 5-10 minuti, si scrivono su un quaderno tutte le parole che ci vengono in mente e iniziano con la A; il nostro sistema centrale capisce che quelle parole ci interessano e ce le rende più facilmente disponibili. Poi il terzo giorno cambiamo lettera, e dopo tre giorni cambiamo ancora; poi possiamo anche rendere meno noiosa l’operazione, inventandoci particolari varianti: parole che iniziano con una certa sillaba, o che contengono delle sottoparole e così via. Il risultato sarà di velocizzare la nostra capacità di “afferrare” le parole.
Terzo. Il cervello è interessato alle novità: allora, per favorire la sua attivazione, possiamo cambiare spesso la disposizione degli oggetti e delle procedure con cui facciamo certe semplici azioni: ad esempio, fare con la sinistra operazioni solitamente eseguite con la destra. In tal modo stimoliamo il fenomeno della neuro plasticità, cioè la riorganizzazione dei pattern neurali che presiedono alle varie azioni.
Gli altri due esercizi?
Uno si può fare quando ci si corica prima di dormire: si ripensa a ciò che si è fatto durante la giornata ma non in termini emotivi o valutativi (come forse molti già fanno) ma puramente in termini di orari, di sequenza dei fatti, di immagini, di nomi. Avremo così un duplice beneficio: il cervello recepisce che quelle informazioni ci interessano e durante il sonno, nella sua consueta opera di riorganizzazione dei dati, le consolida e ne facilita la successiva memorizzazione. L’altro vantaggio è che col tempo matureremo la percezione che la vita non vola via, ciò che abbiamo vissuto si sedimenta, acquisisce spessore ed evitiamo di perdere tutta una ricchezza che è contenuta nella normale quotidianità. Certo, è probabile che i primi tempi l’esercizio non possa essere completato e che ci si addormenti prima di essere arrivati a mezzogiorno….
L’ultimo consiglio è di intrattenerci in attività che potenziano attenzione e concentrazione, che sono le gambe della memoria. In che modo? Cercando di prolungare il più possibile le attività in cui siamo impegnati, evitando di distrarci e di saltare continuamente da un’attività all’altra, rinunciando cioè al cosiddetto multishifting, pratica purtroppo oggi molto diffusa e favorita anche dagli strumenti tecnologici che oggi tutti abbondantemente utilizziamo. In effetti oggi la nostra vita quotidiana è così frammentata e polverizzata che fatichiamo a prestare attenzione a qualcosa per un periodi superiore ai tre minuti. Bisogna quindi incrementare le attività che ci portano a stare concentrati per periodi dai 20 ai 40 minuti; ciò aiuta ad irrobustire tutta la nostra struttura cognitiva, a partire dalla memoria che trae grande vantaggio da una buona capacità di attenzione e concentrazione.
Prima o poi si invecchia comunque: cosa dire che non sia illusorio o irrealistico?
L’allungamento della vita attiva è un fenomeno recente, in parte inaspettato per la specie umana ma è un trend certamente in crescita: secondo alcune stime, in Italia dagli attuali 15.000 ultracentenari si passerà ai 200.000 nel 2050.
Certo l’invecchiamento è un fenomeno al quale non ci si può sottrarre. Al di là di tanta confusione e spesso di poca chiarezza in merito, il problema principale è di prepararsi a invecchiare; questo è il nuovo atteggiamento da coltivare nei confronti della vecchiaia. Un intervento al convegno parlava di “invecchiamento positivo” e di “saggezza che si trasforma in salute”.
Di invecchiamento ci si deve comunque occupare, per tante ragioni, non ultima quella economica e sociale. Probabilmente avremo, e le prossime generazioni ancor più, la fortuna di starci per tanti anni quindi è importante prepararsi quando ancora la salute c’è, come dicevo. Poi, perché no, potrebbe anche essere divertente invecchiare bene.