Guardando grattacieli, torri e opere di ingegneria sono sempre profondamente colpito e una serie di reazioni più o meno sensate si fanno strada nella mia mente. La prima è di stupore di fronte alla bellezza di ciò che l’uomo può costruire. Se ben pensata e realizzata, un’opera umana è di intensa bellezza e, a volte, compete con le meraviglie della natura. La seconda reazione è meno sensata e risveglia in me il bambino che si divertiva a distruggere il castello di costruzioni assemblato con tanta attenzione dal padre… e provava gusto nel farlo. 



Mi domando quante cose potrebbero andare storte durante e dopo la costruzione. A seconda dell’opera che osservo immagino catastrofi che la coinvolgano e mi domando: sarà un’opera che resisterà al tempo? Ci sarà ancora dopo di me? La terza reazione è, se vogliamo, più seria e rigorosa e riguarda il modo in cui ciò che osservo è venuto su dal niente. Guardando ponti o strade che permettono di viaggiare rapidi, sospesi su valli o forando montagne, viene spontaneo chiedersi come sia stato possibile realizzarli. 



È a quest’ultima questione che il convegno “Nuove frontiere di modellazione geotecnica 3D”, tenutosi nei giorni scorsi presso l’Università degli Studi di Milano-Bicocca, ha fornito alcune interessanti risposte. La geotecnica è una branca dell’ingegneria che affonda nelle conoscenze della geologia e delle scienze dei materiali. Entra in gioco nelle prime fasi della costruzione di opere di ingegneria civile nel momento in cui si deve gestire l’interazione fra le opere stesse e il sito nel quale esse sorgeranno. 

Il convegno – molto partecipato da professori, liberi professionisti e studenti – è stato organizzato dalla software house CSPfea, che ha lanciato l’ultima release di un software per la modellazione geotecnica tridimensionale (MIDAS GTS); hanno offerto il loro patrocinio l’Università degli Studi di Milano-Bicocca e il Politecnico di Milano sul versante universitario e una serie di sigle associative che rappresentano liberi professionisti nel campo della geologia, dell’ingegneria e dell’architettura. 



Questi dati non sono fine a se stessi ma mi permettono di soffermarmi su un aspetto interessante della manifestazione e cioè l’interazione fra il mondo universitario e il mondo dell’industria. Come ha infatti sottolineato uno dei chairmen, l’ingegner Paolo Segala della CSPfea, non sarebbe stato possibile sviluppare un prodotto competitivo come questo software se non grazie ai continui suggerimenti e controlli anche da parte del mondo della ricerca universitaria. È questo un esempio di rapporto virtuoso fra queste due realtà, che ha notevole valore per la crescita di entrambe: da un lato permette all’università di aggiornarsi sulle problematiche odierne e dall’altro fornisce alle aziende le conoscenze del mondo della ricerca.

Mi ha particolarmente impressionato la varietà e difficoltà dei problemi che la geotecnica si trova ad affrontare. Spesso la soluzione di questi problemi, proprio per la loro complessità, richiede l’utilizzo di software che si affiancano all’abilità dell’uomo. Per approfondire quanto detto vorrei ricorrere a due esempi che prendo in prestito da due dei seminari nel programma del convegno. 

Il primo riguarda la modellizzazione dei cosiddetti legami costitutivi, ovvero delle forze che tengono insieme i terreni dove vengono realizzate opere di ingegneria. Parte del lavoro della geotecnica consiste nel mappare nel modo più accurato possibile la conformazione di questi terreni prima della costruzione. È quindi necessario studiare come questi particolari materiali reagiscono a tutti gli stimoli che possono subire durante e dopo i lavori. Si capisce, pur non essendo addetti ai lavori, che il comportamento di un terreno argilloso non è di facile comprensione come può essere quello dell’acciaio o del cemento. Ancora si capisce come siano essenziali questi studi preliminari per la realizzazione di una qualsivoglia opera. 

Il secondo esempio del fascino e difficoltà della modellazione geotecnica viene dalla costruzione di quello che si avvia ad essere l’edificio più alto del pianeta: la Kingdom Tower. Questa torre mastodontica sarà la prima a superare il chilometro di altezza e verrà costruita nella patria dei grattacieli mozzafiato: il Medio Oriente. Qualcuno potrà osservare che questo mostrare i muscoli costruendo edifici che si rincorrono in altezza quasi in un nuovo medioevo bolognese sia fine a se stesso e di cattivo gusto. Da uomo semplice, io resto comunque colpito. 

Il lavoro della geotecnica diventa ancor più essenziale per costruzioni che si spingono al limite. Nel suo intervento, l’ingegner JaeSeok Yang ha mostrato i modelli delle fondamenta della Kingdom Tower: per una torre di quelle dimensioni sono necessari centinaia di piloni di cemento del diametro di un metro e mezzo e di lunghezza variabile tra i 40 e i 200 metri che sostengono una piattaforma sulla quale verrà costruito l’edificio. È compito della geotecnica verificare che il terreno resista a queste spaventose sollecitazioni.

Ho voluto descrivere il fascino di questa branca dell’ingegneria partendo da due fra gli innumerevoli esempi che si potrebbero scegliere. Due pollici in alto per un convegno che, oltre ad essere un buona esemplificazione del rapporto virtuoso fra ricerca e industria di cui sopra, è stato abbastanza didattico da permettermi di imparare queste poche cose. Nel chiudere non posso quindi non segnalare altri due eventi organizzati dalla CSPfea con la collaborazione o il patrocinio di numerose altre sigle: il primo a Bologna, il 16 ottobre, riguarderà l’analisi del comportamento del vento nelle aree urbane; il secondo a Gubbio, il giorno seguente, sull’innovazione nella gestione dei progetti.