Per dirla con Clint Eastwood, il mondo si divide in due: i film ai quali la celeberrima definizione fantozziana “è una boiata pazzesca” viene affibbiata tanto per dire e quelli che invece se la meritano in pieno. Interstellar, il filmone di fantascienza del momento di cui è co-produttore il famoso cosmologo Kip Thorne, rientra a buon diritto nella seconda categoria.
Non solo è un pastrocchio inguardabile, ma è anche profondamente diseducativo, perché dà alla gente un’idea del tutto fuorviante della scienza. Per questo è davvero difficile capire perché venga così esaltato, anche da noti scienziati, che oltretutto in passato erano stati molto critici con Gravity, che pure di errori ne conteneva (vedi articolo precedente), ma molto meno numerosi e molto più perdonabili. Personalmente ho l’impressione che in certi ambienti della cosmologia odierna (solo alcuni, sia chiaro: ma influenti) si stia progressivamente perdendo il senso della realtà, finendo per confondere sempre più spesso scienza e fantascienza anche sul lavoro, dopodiché non stupisce che accada pure sul set (dove oltretutto rende, e tanto).
E in effetti Interstellar è un vero e proprio manifesto dello scientismo buconerista alla Hawking, di cui non per niente Thorne è uno dei più cari amici. Nelle pubblicità ci viene continuamente ripetuto che “contiene la prima rappresentazione scientificamente corretta di un buco nero”. Beh, si, è vero: peccato però che sia anche l’unica. Per il resto il film è un’accozzaglia di idee sconclusionate, teorie indimostrate e/o indimostrabili, buonismo sentimental-pacifista a go-go e nichilismo scientista un tanto al chilo, il tutto condito dal più sovrano disprezzo per ogni minimo tentativo di riflessione critica. Esattamente come i libri di Hawking.
L’unica differenza è che almeno i libri di Hawking sono pieni di splendide figure, mentre Interstellar è pure brutto, al punto che riesce a spoetizzare perfino Saturno, che è tutto dire. Il colore predominante è il grigio sporco, le astronavi sono anonime e sgraziate, la tanto strombazzata rappresentazione del buco nero sarà anche corretta ma non ha il minimo fascino, dei due mondi alieni che ci vengono mostrati uno è tutto ricoperto di acqua, l’altro di ghiaccio (sai che fantasia!), l’attraversamento del wormhole è roba già vista e rivista (Contact, Deep Space Nine), la caduta nel buco nero un’occasione malamente sprecata (buio, lampi, un po’ di chiasso e stop).
Quanto al finale, con la scienziata che strilla “Eureka! Eureka!” e l’eroe che si prepara per una nuova missione in un hangar spaziale che sembra un parcheggio sotterraneo di Carugate, con tanto di piloni di cemento a vista (ovviamente color grigio sporco), è roba che ammazzerebbe perfino 2001. In definitiva, milioni di dollari di effetti speciali hanno prodotto una sola scena memorabile (quella della grande onda, che non a caso monopolizza tutti i trailer) e una sola immagine davvero bella (quella dell’entrata del wormhole, rappresentata correttamente come una sfera e non come il solito imbuto, il che anche dal punto di vista scientifico è una novità molto più interessante del buco nero, ma, chissà perché, nessuno ne parla).
E il peggio deve ancor venire. Lasciamo pure stare il fervorino darwinian-moralistico iniziale per cui “non siamo noi i padroni del pianeta, ma la Piaga, perché respira azoto, che è più abbondante dell’ossigeno” (e il diritto di voto ai batteri, che stanno dappertutto, non lo vogliamo dare, brutti antidemocratici che siamo?). Sorvoliamo anche sui dialoghi (un pestifero mix tra Bruce Willis sotto anfetamine e i Baci Perugina, per fortuna ridotto ai minimi termini, giacché metà del tempo la passano ad ansimare che neanche Sandra Bullock in Gravity). E stendiamo ancora un velo pietoso sulla demenziale teoria dell’amore che, essendo “quantificabile” (ah sì? e da quando?), sarebbe una vera forza fisica che può “connettere le dimensioni”.
I guai seri cominciano proprio con le (presunte) spiegazioni scientifiche. Per esempio: il primo pianeta visitato dai nostri eroi gira intorno a un buco nero. Possibilissimo, contrariamente a quel che si crede: quel che è impossibile, però, è che sia illuminato a giorno. E come fanno a esserci onde alte come montagne se non tira un alito di vento? E se lì il tempo rallenta per la gravità del buco, perché non rallenta anche per il loro collega che li aspetta in orbita quasi alla stessa distanza? E come è possibile che arrivino in pochi mesi al pianeta successivo, che orbita intorno a un’altra stella, se ci hanno messo due anni solo per arrivare dalla Terra a Saturno? In tutti questi casi (e in moltissimi altri) Thorne e soci neanche tentano di dare il benché minimo straccio di spiegazione.
E meno male, perché quando lo fanno è peggio. Qui più che Hawking viene in mente Buck Rogers che si risveglia in una caverna, si guarda intorno per un paio di secondi e dice: “È evidente che un gas radioattivo mi ha fatto dormire per 500 anni, quindi adesso mi trovo nel futuro”, dopodiché esce e comincia a menare i cattivi. Solo che quello era un fumetto del 1929 senza alcuna pretesa di scientificità, qui invece…
Per esempio: dobbiamo attraccare all’astronave che gira come una trottola impazzita dopo un sabotaggio? Basta dire con aria da duro: “Non è impossibile, è necessario” e oplà, tutto risolto (e poi qualcuno si lamentava delle acrobazie della Bullock…). Oppure: da dove viene il wormhole? Semplice: l’hanno fatto “loro”. Loro chi, scusate? “Loro, degli esseri che vivono in 5 dimensioni”. Ah, beh, sì, beh… E dove troviamo i dati che ci permetteranno di completare la formula che salverà l’umanità? Ma è ovvio, in un buco nero: “Dato che quello è il mistero assoluto, può benissimo essere che ci sia anche quello che cerchiamo”. Fantastico! Ma poi come facciamo a comunicarlo all’esterno, se niente può uscire da un buco nero? Beh, ma “questa è quella che nel gergo dei fisici si chiama una singolarità gentile, quindi può anche darsi che qualcosa lasci uscire”. Eh, già, bestie noi che non ci avevamo pensato! Sì, ma ormai sulla Terra saranno tutti morti: bisognerebbe mandare un segnale nel passato, ma così a occhio sembra un tantino complicato… Ma no, niente paura, basta usare la gravità: infatti “la gravità è l’unica forza che si muove tra le dimensioni, e il tempo è una dimensione, quindi…”
Quindi basta buttarsi in un buco nero, al cui interno, come tutti sanno, si trova una struttura a metà strada tra una fabbrica dismessa e un cubo di Rubik (comunque tutta rigidamente squadrata, pur trovandosi in un posto in cui lo spazio stesso è curvo) che dà sul retro della libreria di casa nostra. Qui nel giro di pochi secondi impareremo come entrare in contatto con nostra figlia bambina buttando giù i suoi libri in modo da usarli come codice Morse per dirle di non farci partire (pur sapendo che è inutile, perché è già successo). Poi, stavolta agendo sulla polvere del pavimento e disponendola in codice binario (usarla per formare delle parole no, eh?), le daremo le coordinate della base segreta della Nasa perché invece possa aiutarci a partire (un po’ schizofrenici? ma no, è la logica pentadimensionale!).
Infine prenderemo i “dati quantici” rilevati all’interno del buco nero da un robot fatto da quattro parallelepipedi rotanti (ovviamente di color grigio sporco) e dotato di un discutibile senso dell’umorismo e li passeremo a lei adulta, di nuovo in codice Morse ma stavolta agendo sulle lancette del suo orologio, giusto per semplificarle le cose, tanto è un genio è capirà lo stesso (“È papà che mi dice come salvare il mondo!”). Dopodiché potremo aspettare fiduciosi che i misteriosi alieni dissolvano il buco nero (impossibile ma necessario, tanto per ripeterci, altrimenti niente lieto fine) e ci facciano uscire esattamente nel luogo e nel momento giusto perché i nostri amici ci trovino (probabilità: una contro tutte le stelle dell’universo, ma chissenefrega?) e ci portino in salvo su una stazione spaziale in orbita intorno a Saturno, dal cui hangar che sembra un garage partiremo infine al salvataggio della Bella In Pericolo di turno, come ogni eroe che si rispetti.
Citando a memoria non giuro sulle virgole, ma su tutto il resto sì: che ci crediate o no, Interstellar è questo.
Sintesi finale: non guardatelo. Se proprio avete voglia di fantascienza e qualche euro da spendere, andate in edicola e compratevi i DVD di Goldrake rimasterizzati: saranno meno scientifici, ma in compenso molto più divertenti. E anche molto più sensati, soprattutto ora che il nuovo doppiaggio ha eliminato molte delle assurdità della versione originale: cosa che invece neanche il campione mondiale dei doppiatori riuscirebbe mai a fare con Interstellar.