Un gigantesco database con oltre un milione di record che descrivono le specie marine presenti nell’oceano antartico: è il Census of Antarctic Marine Life (CAML), un progetto dedicato all’Antartide iniziato nel 2005 e concluso nel 2010. Il CAML faceva parte di un insieme di progetti nati dal Census of Marine Life (CoML) che era un grande progetto ombrello nato nel 2000 nell’ambito del quale per la prima volta nella storia è stato effettuato un censimento della fauna marina a livello globale. Sotto l’ombrello del CoML sono stati avviati, insieme al CAML, una quindicina di programmi specifici, indirizzati uno all’Artico, uno alle barriere coralline, uno ai margini continentali, uno ai microbi, uno allo zooplancton e così via.



Stefano Schiaparelli, biologo-ecologo dell’Università degli Studi di Genova e del Museo Nazionale dell’Antartide di Genova, ha lavorato nell’ambito del CAML ed era l’unico italiano a partecipare a questo censimento; ha svolto vari ruoli, tra i quali quello di organizzare il Simposio finale che si è tenuto proprio a Genova, presso il Museo dell’Antartide nel 2009 e ha curato la pubblicazione degli atti in un volume speciale della rivista scientifica Deep-Sea Research II – Topical Studies in Oceanography.



A margine di un seminario sulla biodiversità dell’Oceano Meridionale tenuto presso il Cnr Ise – Istituto per lo Studio degli Ecosistemi di Verbania Pallanza, ha spiegato a il sussidiario.net il valore dei risultati raggiunti dal progetto. «I risultati del CAML sono molteplici. L’acquisizione più rilevante mi sembra quella che ci porta a considerare l’Antartide non così isolata come si pensava in passato, superando quindi un paradigma che sembrava consolidato. Il continente antartico infatti è circondato da una corrente circumpolare molto forte che individua due masse d’acqua aventi caratteristiche fisico-chimiche marcatamente diverse: una antartica molto fredda e l’alta extra antartica più calda.



Si pensava che, dal punto di vista biogeografico, tale corrente rappresentasse una barriera all’arrivo di nuove specie dagli altri continenti o all’uscita di specie antartiche; e che quindi la fauna antartica fosse rimasta isolata per circa trenta milioni di anni. Invece, considerando la cosiddetta circolazione termoalina (quel grande “nastro trasportatore” di acque calde e fredde che distribuisce il calore su tutto il pianeta, ndr), si è scoperto che essa può anche trasportare specie biologiche in forma di larve; di conseguenza l’Antartide si dimostrato essere un centro di distribuzione di specie nei mari profondi di tutto il mondo».

Quando ci sono le ere glaciali – spiega Schiaparelli – le correnti fredde profonde sono molto intense e si ha un’esportazione di specie al di fuori dell’Antartide; invece, durante le fasi interglaciali si ha il processo contrario. Il fenomeno viene denominato “pompa di biodiversità” perché all’alternarsi dei cicli glaciali e interglaciali agisce come un motore biologico che immette e preleva nuove specie, ridistribuendo le popolazioni. È un meccanismo simile a quello verificatosi sulle nostre Alpi con la vegetazione: quando un ghiacciaio ha tagliato in due un’area occupando una valle, i fiori delle due parti sono rimasti isolati e hanno dato poi origine a specie diverse. Ogni ciclo glaciale quindi estingue specie e ne produce di nuove; e l’alternarsi dei cicli glaciali è notevole: ne sono stati studiati almeno 38.

«Uno dei risultati più vistosi che proprio il nostro gruppo ha trovato a questo proposito è stata la scoperta che uno dei molluschi che vivono nel Mediterraneo, la Pagodula echinata, deriva da una specie che si è originata solo cinque milioni di anni fa nell’Oceano meridionale; e gli esempi di questo tipo sono ormai numerosi, come documentato ampiamente dalla letteratura scientifica».

Altro risultato di questo grande censimento della fauna antartica è stato la compilazione e l’aggiornamento degli elenchi delle specie e la loro messa a disposizione di tutti. «È interessante notare che tutta l’informazione è stata codificata in mappe che permettono di evidenziare le zone più o meno conosciute; questo è fondamentale per chi studia la biodiversità e prima del CAML queste informazioni non erano disponibili».

Il risultato finale del CAML è stato appena pubblicato nell’Atlante Biogeografico dell’Oceano Meridionale: un volume gigantesco, che riporta la distribuzione di tutte le specie antartiche e la loro ecologia e dallo scorso ottobre è totalmente disponibile e anche scaricabile dal web.

Un ulteriore fenomeno particolarmente studiato sono le comunità marine esistenti sotto le calotte polari che si estendono in mare e che si sono recentemente frantumate. «Lungo la penisola antartica c’erano due piattaforme che alcuni anni fa si sono staccate (piattaforme Larsen A e B): il fenomeno è stato monitorato dai satelliti ma non si sapeva quali comunità marine vivessero al di sotto. I ricercatori del CAML sono andati a studiarle e, anche qui per la prima volta, sono stati raccolti dati scientifici relativi a organismi che vivono sotto i ghiacci».

Il CAML inoltre ha prodotto sequenze di DNA degli organismi studiati, che hanno permesso di confrontare le specie nelle varie aree: «Nel 2007-2008 c’è stato l’Anno Internazionale Polare nel corso del quale 18 spedizioni scientifiche hanno solcato i mari del Sud acquisendo campioni nuovi che poi sono stati sequenziali producendo una mole enorme di informazioni circa la distribuzione delle specie dalle profondità marine fino in superficie».

Non mancano però i problemi ancora aperti. Schiaparelli osserva la singolare asimmetria che esiste tra le diverse regioni dell’Oceano Meridionale negli sforzi di campionamento e di ricerca dei dati sulla biodiversità. «Cito sempre il caso della spedizione di Scott, nella quale in pieno inverno antartico sono state rischiate delle vite per andare a prendere tre uova di pinguino imperatore che si pensava potessero chiarire alcuni importanti aspetti dell’evoluzione degli uccelli. In realtà, le informazioni recuperate non erano molto diverse da quelle reperibili in qualunque uovo di gallina! Per contro adesso, stando a casa comodamente seduti, basta collegarsi a un satellite per poter contare le coppie di pinguini che stanno covando. Questi sono due esempi estremi. Resta comunque il fatto che la presenza di una specie in un certo momento in un certo luogo, rappresenti il dato fondamentale di ogni studio della biodiversità, e tutte le statistiche che si possono applicare partono da questa semplice informazione. Tuttavia, vi possono essere notevoli distorsioni nella percezione della biodiversità di un’area dato che, spesso, i dati raccolti in un determinato posto dipendono dalla frequenza delle spedizioni e dei campionamenti effettuati. È difficile quindi capire quante specie siano realmente presenti in uno specifico ambiente se non si applicano opportune correzioni statistiche per bilanciare il numero di osservazioni tra le varie aree. Per l’Antartide il problema è particolarmente serio perché le possibilità di indagine sono limitate ad alcune aree, con la conseguenza che ci sono zone statisticamente visitate pochissimo, altre troppo».

D’altra parte si tratta di dati importanti, perché con essi si può costruire un robusto database col quale poi si può modellizzare la distribuzione delle specie e metterle in relazione con i parametri ambientali; «e possiamo anche provare a ipotizzare le condizioni future al variare, ad esempio, del parametro oggi più critico che è la temperatura».

Per il futuro quindi ci vorrà un altro CAML? Per ora ci sono due progetti dello SCAR (Scientific Commettee on Antarctic Research) e Schiaparelli partecipa a quello denominato AntEco (State of the Antarctic Ecosystem) che è orientato a creare nuovi modelli distribuzionali delle specie acquisendo dati non solo del mare ma anche delle specie terrestri.

 

(Michele Orioli)