Di fronte ai continui episodi di allagamenti, inondazioni, dissesto idrogeologico in genere sono subito chiamati in causa i meteorologi che non hanno saputo prevedere in tempo i fenomeni estremi, che ormai sono sempre più frequenti. Ma sono ugualmente coinvolti amministratori, tecnici ambientali e soprattutto ingegneri, gli uni responsabili di non aver attuato i dovuti controlli e provvedimenti, gli altri di aver progettato o costruito infrastrutture inadeguate e facilmente vulnerabili. Il settore dell’ingegneria civile che si occupa di questi problemi in realtà è uno dei più attivi e propositivi. Al Politecnico di Milano, ad esempio, all’interno del Dipartimento di Ingegneria Idraulica, Ambientale, Infrastrutture Viarie e Rilevamento c’è una sezione dedicata alle Scienze e Ingegneria dell’Acqua, tra i cui ambiti di interesse troviamo temi come: analisi e modellazione del rischio idrogeologico (alluvioni e frane); tecniche di controllo in tempo reale nelle reti di drenaggio urbano; interventi strutturali a difesa dal rischio idrogeologico; uso razionale delle risorse idriche (gestione e pianificazione). Tra i diversi gruppi di ricerca attivi su questi argomenti, ce n’è uno, guidato dal professor Marco Mancini, che si occupa dell’idrologia di bacino, cioè dell’integrazione dei processi idrologici elementari al fine di determinare la risposta del bacino idrografico alle sollecitazioni meteoriche. Tra i suoi compiti c’è lo sviluppo di modelli matematici che simulano i processi idrologici del bacino idrografico; modelli da applicare sia su scala locale che nella valutazione dell’impatto che il cambiamento climatico può determinare sulle condizioni ambientali future. Col professor Mancini abbiamo parlato delle emergenze idrogeologiche di questo periodo.
Perché l’Italia (in molte zone) è così fragile?
La fragilità italiana del sistema dei corsi d’acqua e dei suoi versanti e quindi l’esposizione al rischio di piena dei suoi territori è il risultato di una lunga cattiva gestione di un territorio naturalmente difficile dal punto di vista della fisica dei processi di piena, e ad elevata pressione insediativa proprio su quelle aree maggiormente pericolose. Paradossalmente ciò è avvenuto maggiormente con i piccoli corsi d’acqua, molto numerosi in Italia e causa di costosi e diffusi danni che sono sotto gli occhi di tutti a causa di una errata minore percezione del corso d’acqua da parte di amministratori e cittadini indotta dall’osservare alvei asciutti nei nostri climi per la maggior parte dell’anno fatto salvo quando piove con una certa intensità.
Insomma, si sottovaluta il problema.
A complicare ulteriormente la cosa si aggiunge la superficiale consuetudine che tutti hanno con l’elemento acqua, che la evidenzia come una sostanza che assumendo le forme del contenitore è facilmente gestibile da chiunque svilendo di fatto la qualità e l’accuratezza di una corretta progettazione, che mostra le sue pecche poi solo all’occorrenza di una piena. Se a poi a ciò aggiungiamo quella confusione di competenze che affligge la nostra società per cui ciascuno si sente in grado di intervenire sull’acqua, indipendentemente della propria formazione tecnico-scientifica e un’ingerenza politica forte nella gestione della cosa pubblica si possono capire il motivo dei molti danni alluvionali di questi giorni, aspetti che si sono assai amplificati col decentramento dall’autorità centrale alle regioni e alle provincie.
C’è un problema di inadeguata progettazione delle infrastrutture idriche? Oppure di inadeguati sistemi di prevenzione e monitoraggio?
La progettazione di interventi per la difesa idraulica dovrebbe essere il rimedio alle diffuse situazioni di rischio idraulico, ma, come nel caso di una cura medica, l’individuazione della terapia in un territorio altamente vulnerabile come quello nostro impone analisi delicate e progettazione accurata in grado di contemplare l’insieme di opere strutturali e non strutturali, e di costituire un giusto mezzo tra inserimento ambientale e grado di sicurezza. Andrebbero condotte da specialisti in grado di vedere il problema specifico all’interno di un quadro più ampio della sistemazione dell’intero bacino idrografico, allo stesso modo che un buon medico considera la cura per una specifico problema del paziente anche in funzione dei suoi effetti sul resto dell’organismo.
Quindi è anche un problema di formazione?
Le nostre scuole di ingegneria preparano tecnici validi nel cui bagaglio culturale questi concetti sono ben presenti, auguriamoci che siano messi in grado di operare.
Come ogni cura, la progettazione e realizzazione degli interventi deve essere tempestiva per sconfiggere la malattia, ma ciò vale anche per i nostri corsi d’acqua?
La realizzazione dell’intervento, se auspicata in teoria, è minata da un numero eccessivo di enti che hanno competenza sui corsi d’acqua e che devono dare la loro approvazione al progetto. Questo fatto ovviamente allunga i tempi degli iter progettuali, tanto che spesso si assiste in seguito a situazione emergenziali alla nomina di commissari dai poteri speciali la cui presenza definisce di fatto come il sistema ordinario funziona male.
C’è poi la questione della manutenzione: le soluzioni tecniche sono adeguate? Se sì, c’è un difetto di organizzazione?
La manutenzione fluviale permette di mantenere la sagoma della sezione fluviale, mantenendo la funzionalità idraulica della sezione fluviale e delle sponde arginali, rimuovendo l’eccesso di vegetazione e i depositi di materiale solido che naturalmente si formano nell’alveo. Essa non va vista, come spesso è accaduto, come un intervento non ambientalmente corretto, ma come la giusta misura tra il taglio indiscriminato della vegetazione e la sua rimozione selettiva compatibile alla sicurezza idraulica. Di quest’ultima ne costituisce un ingrediente fondamentale, come peraltro la manutenzione è garanzia di funzionamento di qualsiasi sistema complesso. Ciò vale per la nostra salute come per l’auto che usiamo e anche per i corsi d’acqua che scorrono nelle nostre valli fluviali fortemente urbanizzate.
In Italia per molti anni la manutenzione non è stata la cenerentola degli interventi?
Sì, sia perché in questo nostro paese tutto ciò che è ordinario è secondario all’eccezionale, sia per una mancanza di fondi sufficienti, sia perché molte volte la sua realizzazione ha trovato il veto di enti più attenti alla protezione di specie vegetali che al grado di sicurezza delle popolazioni. Con il risultato che oggi molti corsi d’acqua presentano sezioni fortemente ostruite da sedimenti e vegetazione. Mi auguro che il concetto di una manutenzione moderna, sia maggiormente sviluppato in modo congiunto tra i tanti enti che gestiscono i corsi d’acqua. Un aspetto che migliorerebbe sensibilmente il grado di sicurezza attuale di molti corsi d’acqua italiani.
Esistono sistemi di allerta in grado di essere tempestivi e di fronteggiare anche eventi estremi (come le piogge di questi periodi)?
I sistemi di allerta unitamente a procedure di protezione civile sono tra le opere di mitigazione del rischio di piena note come opere non strutturali. Essi sono modelli numerici di previsione meteorologica e idrologica in grado di prevedere eventi di piena pericolosi per una determinato tratto di un corso d’acqua con un preavviso dalle 48 alle 24 ore. Essi quindi non diminuiscono la pericolosità di esondazione di un corso d’acqua, ma ne riducono i danni, perché permettono l’attuazione di misure di protezione in anticipo che riducono la vulnerabilità dei beni esposti alla piena. Spesso a fronte di una loro non applicazione sono tacciati di inutilità e quindi di non affidabilità, soprattutto sui piccoli corsi d’acqua per la difficoltà di prevedere l’esatta posizione e intensità della precipitazione meteorica. Dimenticando in questo caso che il costo di un mancato allarme in ambienti urbani è sicuramente ben più elevato del falso allarme, soprattutto allorché il costo di intervento è piccolo rispetto al danno atteso.
Un esempio?
Si pensi al costo esiguo dell’attivazione di divieti di sosta per le auto lungo le strade vicino ai corsi d’acqua in caso di allerta meteo, come alla chiusura degli ingressi delle stazioni della metropolitana, alla messa in sicurezza di macchinari nelle aree industriali, all’attivazione di misure di autoprotezione nelle industrie e nelle case poste in area esondabile. Personalmente ritengo che essi costituiscano un’azione indispensabile nei nostri territori, sia in condizione di manifesta insufficienza o assenza di opere di difesa idraulica, sia ove queste siano presenti per coprire la parte di rischio residuo esistente in ciascuna opera di difesa fluviale.
È possibile intervenire ingegneristicamente per potenziare i corsi d’acqua più deboli, per creare strutture di contenimento, per imbrigliare le acque più pericolose?
La risposta è affermativa ma la progettazione deve essere accurata e partire da analisi approfondite come prima detto, non limitandosi a un analisi solamente locale degli effetti di un intervento.
Ci sono esempi significativi all’estero cui guardare e da cui imparare?
Con amarezza devo dire che ancora una volta dobbiamo guardare all’estero non perché ci mancano le tecniche di analisi e le metodologie di progetto che spesso sono di eccellenza, ma per una mancanza di buona gestione e programmazione degli interventi sui corsi d’acqua, per un eccesso di ingerenza della politica nella scelta e nella messa in opera della soluzione tecnica idonea. L’acqua, essendo un bene pubblico, ha subìto in Italia, sopratutto dal dopoguerra in poi, quelle stesse vicende che hanno interessato la “cosa pubblica”, che spesso hanno visto prevalere l’interesse personale al di sopra di quello dello Stato, il tutto condito da una intrigata selva di leggi e di enti, che aiuta a confondere le idee ai più.
Se si aggiunge a ciò la superficiale familiarità che tutti hanno con l’elemento acqua, che la evidenzia come una sostanza che assume le forme del contenitore, ben si spiega il disordine idraulico in cui è degenerato l’intero settore dell’acqua. Tale motivo, unito a un sistema fisicamente fragile quale quello della nostra penisola, ma allo stesso tempo unico, è sicuramente la ragione di un dissesto idrogeologico dai danni elevati e di una gestione idrica, energetica, irrigua e non ultima ambientale molto lontano dalla ottimale. Credo comunque che si possa ancora sperare di cambiare le cose in un prossimo futuro, ammesso però di avere come ingredienti una classe politica sana e una classe tecnica competente.