Ha fatto un certo effetto la notizia che la celebre Pietà Rondanini di Michelangelo, attualmente visitabile nella Sala degli Scarlioni al Castello Sforzesco di Milano, si appresta ad essere trasferita; verrà collocata nell’ex Ospedale degli Spagnoli, una sala a se stante sempre all’interno del Castello, completamente restaurata per ospitare un vero e proprio museo dedicato all’opera ultima e incompiuta di Michelangelo. Un’operazione delicata, come si può immaginare, frutto di una preparazione accurata per la quale è stato coinvolto il Centro Beni Culturali del Politecnico di Milano che ha coordinato l’attività di diversi gruppi di ricercatori dell’Ateneo che hanno collaborato con il Comune di Milano e la Soprintendenza del Castello Sforzesco per la realizzazione della nuova collocazione della scultura. Il professor Alfredo Cigada, del Dipartimento di Meccanica del Politecnico, è a capo di un gruppo di ricerca che ha svolto una funzione di consulenza, misura e verifica per la progettazione e la realizzazione del basamento su cui sarà collocata la celebre scultura. L’abbiamo incontrato alla vigilia dei primi collaudi del nuovo basamento, che si svolgeranno la prossima settimana.



Come si è sviluppato il progetto che ha portato alla realizzazione del basamento?

Si è sviluppato, come al solito in casi simili, in più fasi. Le sopraintendenze avevano individuato una maggior esposizione della sala in cui verrà collocata la Pietà rispetto al traffico cittadino; quindi c’è stata subito la richiesta di un basamento in grado di filtrare le vibrazioni che arrivano dall’esterno. Nella discussione attorno a questo problema, avviata anche con la supervisione di un dell’ISCR (Istituto Superiore di Conservazione e Restauro), si è pensato di considerare anche la questione sismica. È ben vero che Milano non è una zona a forte rischio sismico; d’altra parte in quel periodo c’era stato il terremoto in Emilia che aveva destato qualche preoccupazione anche per i monumenti milanesi. Quindi è arrivata la richiesta di un basamento che fosse in grado anche di eliminare le vibrazioni dovute a un eventuale sisma.



Come si possono considerare entrambi gli aspetti?

La situazione è piuttosto complessa; e anche a livello internazionale sono pochissimi gli esempi del genere: ci sono diversi esempi di basamenti antisismici ma sistemi di abbattimento delle vibrazioni ambientali e soprattutto sistemi combinati dei due effetti non ce n’erano. Si tratta sempre di vibrazioni ma di due tipi molto diversi: quelle ambientali sono continuative, di basso livello e su una banda di frequenze superiore; quelle da sisma sono molto più forti ma hanno una durata contenuta e sono a frequenze inferiori. Deve quindi essere diversa la filosofia con la quale si progettano questi sistemi protettivi: per esempio per le vibrazioni sismiche non ci si preoccupa della direzione verticale mentre per quelle ambientali conta come le altre due nel piano orizzontale.



Quindi cosa avete fatto?

Sono stati seguiti due approcci differenti per i due tipi di basamento che vengono disposti in serie: nella parte inferiore c’è la piattaforma antisismica, basata sul principio di permettere il movimento del bene da proteggere senza creare dei vincoli che portino a delle sovrasollecitazioni, che portano alla rottura. In pratica si fa una sorta di compromesso tra piccole accelerazioni e massimi spostamenti: ci sono delle guide a bassissimo attrito che lasciano “libera” la struttura di muoversi.

E per le altre vibrazioni?

Per le vibrazioni ambientali è diverso. C’è un sistema vibrante con una frequenza propria (frequenza di risonanza) molto bassa e tutto ciò che è a frequenza superiore viene filtrato; il problema è riuscire a realizzare sistemi con quelle frequenze senza intaccare altri aspetti, ad esempio senza creare strutture troppo rigide.

Quali tecnologie sono state implementate?

Un prerequisito fondamentale era che si utilizzasse una tecnologia semplice e funzionale, non dipendente dall’elettricità, anche perché in caso di evento catastrofico la prima cosa che viene a mancare è la corrente elettrica; quindi abbiamo scartato tutti i sistemi a controllo attivo perché non possiamo permetterci che l’assenza di alimentazione elettrica condizioni la risposta del sistema. Un altro requisito era la possibilità di garantire una manutenzione pressoché nulla. Detto questo, si è optato, per la parte sismica, per dei pattini a ricircolazione di sfere: di fatto sono delle guide che permettono lo scorrimento a bassissimo attrito anche in presenza di carichi verticali molto elevati. Per la parte relativa alle vibrazioni ambientali ci sono delle gomme realizzate con degli elastomeri a rigidezza controllata: semplificando un po’, è come se fossero dei tasselli di gomma, tutti però uguali e con la rigidezza voluta. Complessivamente quindi, si tratta di un sistema passivo a manutenzione auspicabilmente zero.

 

Come si è arrivati alla costruzione vera e propria del basamento?

Inizialmente ci siamo rivolti ad alcuni istituti dei quali conoscevamo le competenze tecniche e l’esperienza sul campo; mi riferisco in particolare al laboratorio del Jacobs School of Engineering dell’università di San Diego (California), che ha delle dotazioni strumentali per gli studi sismici uniche al mondo, con una tavola vibrante enorme in grado di collaudare strutture anche di grandi dimensioni. Poi abbiamo avuto contributi e suggerimenti, sempre per la parte sismica, dal centro per gli studi sulla conservazione di beni culturali del Getty Museum.

 

Chi ha realizzato la struttura?

Abbiamo interpellato una trentina di aziende in tutto il mondo, chiedendo un pre-progetto per un basamento che fosse antivibrante e antisismico. Abbiamo avuto parecchie proposte molto interessanti, con tecnologie diverse ma alla fine la scelta è caduta sulle società giapponesi Miyamoto per la progettazione e THK per la realizzazione del basamento; il tutto sempre in costante collaborazione con il nostro gruppo del Politecnico. C’è da osservare che la Miyamoto aveva maturato una significativa esperienza sia all’interno dei musei sia per la salvaguardia dei server delle reti informatiche: nei server la distribuzione delle masse è abbastanza simile a quella delle statue.

 

Adesso il basamento è pronto; cosa resta ancora da fare?

I basamento è stato realizzato. Noi però vogliamo avere una prova sul campo che dimostri la bontà del sistema: Allora, mediante tecniche di prototipazione rapida è stata costruita una replica esatta della Pietà, con lo stesso marmo preso dalla cava vicina a quella dove si riforniva Michelangelo, fatta in modo da poter rappresentare la stessa distribuzione delle masse. Questo è importante perché purtroppo la Pietà Rondanini ha un baricentro piuttosto periferico e, dato che la statua viene lasciata libera di muoversi, in caso di sisma si può incorrere nel rischio del ribaltamento. Le prove quindi verranno effettuata la prossima settimana in un laboratorio particolarmente in grado di simulare dei sismi su sei gradi di libertà e cioè l’ex ISMES di Bergamo, un istituto storico per il collaudo di strutture antisismiche.