Nell’epoca della comunicazione multimediale, della scienza comunicata con effetti speciali, sembrerebbe perdente un evento che stabilisce tra le sue regole quella di “non utilizzare immagini”. Invece non è sempre così. Anzi. La riprova è il successo di una manifestazione come FameLab: si tratta di un talent-show per giovani ricercatori scientifici con il talento della comunicazione, che mette a disposizione dei partecipanti tre minuti e una manciata di parole per spiegare al pubblico e alla giuria in modo accessibile e divertente un argomento scientifico che li appassiona. In palio, per i migliori comunicatori, un premio in denaro, la possibilità di partecipare a una masterclass dedicata alla comunicazione scientifica e l’accesso alla competizione internazionale.



FameLab è una gara, ideata nel 2005 dal Cheltenham Festival e promossa a livello mondiale dal British Council in 24 differenti paesi; per l’Italia l’evento è organizzato da Psiquadro-Perugia Science Fest, in collaborazione con il British Council Italia. Per la presentazione dell’edizione 2014, avvenuta ieri a Milano, è stato chiamato un ospite d’eccezione, l’astronauta dell’ESA Paolo Nespoli, uno che è abituato alle sfide, anche le più impegnative. 



Nespoli ha anche una grande sensibilità per la comunicazione; anche per quella attraverso le immagini: le foto della Terra scattate da lui durante la sua ultima missione sulla Stazione Spaziale Internazionale (ISS), sono una fonte di meraviglia e sono, nei suoi frequenti incontri col pubblico più vario, occasione per raccontare le sue esperienze e per riflettere sulla bellezza e insieme sulla fragilità di questo nostro Pianeta. Come vede allora questa scelta di rinunciare alle immagini?

«È una bella sfida. Ricordo sempre un vecchio professore dei tempi dell’università che diceva: “il vero professore di matematica è quello che riesce a spiegarla senza andare alla lavagna”: impresa impossibile, a mio parere, ma lui spesso ci provava e non senza qualche risultato. Le immagini sicuramente aiutano la comunicazione e danno qualcosa di più; è anche vero però che ogni tanto distraggono e possono allontanare dal cuore del discorso. Questa di FameLab è una scelta che trovo interessante, in un’ottica di minimalismo, per stimolare al massimo la creatività che si appoggia solo sulle risorse della persona». 



Se mancano le immagini, c’è però tutta la potenza della parola. Anche questa tuttavia condizionata dal vincolo di non superare i tre minuti. Nespoli ha vissuto un’esperienza analoga, sempre sulla ISS, quando ha inaugurato una nuova forma di comunicazione col pubblico “terrestre” utilizzando Twitter e quindi condensando nei fatidici 140 caratteri le osservazioni, le emozioni, i pensieri che si affollavano nella sua mente viaggiando a 28.800 km/h in orbita a 400 chilometri dalla superficie terrestre. «Inizialmente ero spaventato da Twitter: 140 caratteri sono veramente pochi e quando ho cominciato a twittare ero in difficoltà. Poi mi sono accorto che si poteva fare. Ci vuole tempo, però; e devi pensare più profondamente a quello che vuoi dire, lavorare sulle parole, su tutte le loro valenze. Può sembrare un esercizio futile; ma alla fine si rivela vantaggioso; mi sono meravigliato di come si possa esprimere un concetto complesso con pochi e calibrati termini. È una sfida che aiuta alla concentrazione, e anche a un utilizzo sapiente del tempo».

Tornando a FameLab, oltre all’enfasi sulla parola, c’è anche la possibilità di utilizzare la mimica e anche degli oggetti, che in modo figurato, analogico o allusivo possono supportare il racconto (sempre che un talk di tre minuti si possa definire “racconto”). Così si sfideranno i giovani tra i 18 e i 40 anni che parteciperanno dapprima alle selezioni locali in sette città (Ancona, Genova, Milano, Napoli, Perugia, Trento e Trieste), poi (due per ogni città) alla FameLab Masterclass – un workshop di formazione in comunicazione della scienza – e quindi alla finale nazionale in programma a Perugia il 3 maggio prossimo. Il vincitore di FameLab Italia parteciperà alla finale internazionale di FameLab International, gareggiando con 23 concorrenti di altrettanti paesi del mondo in giugno durante il Cheltenham Science Festival 2014.

In tutte queste fasi, dicono gli organizzatori, le performance dei giovani comunicatori vengono valutate principalmente in base a criteri di correttezza, chiarezza e carisma comunicativo: quest’ultimo è un po’ vago e può implicare aspetti che poco hanno a che fare con la conoscenza scientifica; mentre i primi due sono sacrosanti e dovrebbero valere per ogni comunicazione.

Questa idea dei tre minuti resta comunque un po’ dura da digerire. «Pensiamo al lavoro – fa notare Nespoli – che comporta la formulazione di un pensiero in poco tempo: raccogliere le idee, caratterizzarle, eliminare quelle che non servono, metterle nel giusto ordine, focalizzare un problema, togliere le ridondanze; sono tutte operazioni complesse e faticose e che non siamo abituati a svolgere perché quando parliamo non facciamo economie, le parole non costano …». Per arrivare quindi a dire poco, bisogna sapere tanto. «Certo, ed è paradossale: non è che avendo solo tre minuti ti serve meno preparazione e conoscenza; anzi, te ne serve di più. Il problema è lì».

Resta ancora qualche perplessità derivante da tutto il contesto delle kermesse di FameLab: qualcuno avverte il rischio di dare un’immagine di scienza basata sull’immediato, sull’effetto spettacolare, sull’emotività, a scapito di una effettiva diffusione delle conoscenze e di una riflessione sulla loro portata. 

Non si tratta di stroncare l’entusiasmo di tanti giovani, o di tarpare la creatività che può svilupparsi in contesti non formali. L’importante è non attribuire a iniziative come questi talent un valore più grande di quanto ne abbiano, soprattutto sul piano formativo; forse tra i vincitori nasceranno alcuni comunicatori scientifici, più difficilmente degli scienziati o degli educatori. Un conto è comunicare e catturare il pubblico, un conto è educare e far cogliere il valore non solo strumentale delle scienze: per questo obiettivo non serve spettacolarizzare il sapere e non bastano neppure dosi massicce di pillole di 180 secondi.