Il sistema climatico terrestre è costituito da vari sottosistemi in connessione tra loro attraverso relazioni di azione/retroazione (dette comunemente feedback). La complessità di tali interazioni rende di fatto intrinsecamente non prevedibile il clima futuro. Partendo da condizioni iniziali che differiscono anche di poco, le previsioni climatiche forniscono infatti risultati che ben presto divergono in modo anche significativo. Nel delicato gioco di sponde che porta a definire il clima del Pianeta – e del quale sappiamo ancora troppo poco – l’oceano gioca un ruolo fondamentale e spesso sottovalutato. Gli oceani contengono circa il 97% delle acque del Pianeta e trattengono, nei loro primi 3 metri, la stessa quantità di calore contenuto nell’intera atmosfera. A parità di aumento di calore l’acqua reagisce in modo molto più “lento” dell’aria e quindi gli oceani fungono da regolatori termici per l’intero sistema climatico terrestre.



Quest’ultimo è garantito dalla circolazione a larga scala delle masse d’acqua del pianeta, che è sostanzialmente il frutto del continuo bilancio di azioni meccaniche legate al vento, di interazioni di massa (si pensi al fenomeno della marea), rotazione terrestre e bilanci di densità. Sorprenderà molti lettori apprendere che il principale “motore” delle correnti oceaniche a grande scala, è costituito dalle differenze di densità dell’acqua. In prima approssimazione, la densità dell’acqua marina dipende, oltre che dalla pressione, dalla temperatura e dalla salinità: per questo la circolazione indotta dalle sue variazioni viene detta termoalina. Acque più fredde e più salate diventano più dense e quindi tendono a sprofondare, richiamando a sua volta altre acque al loro posto. Acque più calde e meno salate tendono invece a stare in superficie. È la possibilità di sprofondare, trascinando verso il basso nutrienti, gas disciolti e sedimenti sospesi, il vero “motore” dei movimenti profondi degli oceani. A livello planetario questa circolazione generale avviene lungo una sorta di “nastro trasportatore” (conveyor belt) che si snoda attorno al globo, portando ogni particella a compiere un giro completo in circa 1.000 anni.



Le quantità in gioco sono impressionanti. Se consideriamo la sola cella termoalina del Nord Atlantico, che di fatto continua la corrente del Golfo nella sua parte orientale, ci troviamo di fronte a un immenso “fiume nel mare” la cui portata è di circa 15 milioni di metri cubi al secondo ed è in grado di riscaldare l’aria delle regioni del Nord Atlantico di 7-10 gradi centigradi. Questo “fiume” nell’oceano si spinge verso nord dove incontra venti freddi che ne abbassano la temperatura e lo fanno in parte evaporare. Ma acqua più fredda e più salata significa acqua più densa e quindi pesante che, sprofondando, genera una corrente (un altro fiume) sottomarino e freddo consentendo al nastro trasportatore di compiere un percorso chiuso.



La formalizzazione di queste considerazioni e il loro collegamento al clima del Pianeta ha in sostanza solo qualche decennio di vita e ancora oggi si ignorano moltissimi degli aspetti che ne guidano le dinamiche e i relativi feedback. Gli oceani rivestono anche altri ruoli fondamentali per il clima del Pianeta. Un’acqua divenuta sufficientemente densa sprofonda portandosi dietro anche frazioni considerevoli di anidride carbonica (CO2) dall’atmosfera, uno dei “gas serra” responsabili del riscaldamento globale. Questo fenomeno, chiamato pompa fisica, consente all’oceano di sequestrare ingenti quantità di CO2 per lunghi periodi, e contribuisce a mitigare l’effetto serra antropogenico del Pianeta. Gli oceani terrestri arrivano infatti a sommare una quantità di carbonio che attualmente è circa 50 volte superiore rispetto al contenuto atmosferico.

 

Da sottolineare anche che circa la metà della produzione primaria della Terra (cioè la conversione di acqua, CO2 e nutrienti inorganici in ossigeno e carboidrati) avviene proprio negli oceani, dove i più attivi produttori primari sono gli organismi fitoplanctonici, che a volte vengono poi “seppelliti” nei sedimenti. Il ripetersi di questi processi per milioni di anni ha prodotto l’ossigeno nell’atmosfera, oltre che riserve di gas, carbone e petrolio nel sottosuolo, grazie a un processo di rimozione della CO2 chiamato pompa biologica. Non sono molte le zone al mondo nelle quali le acque dense iniziano il loro viaggio verso il fondo; all’interno del mar Mediterraneo esse si formano, preferibilmente nel periodo invernale, nel nord Adriatico. Come precedentemente descritto, si tratta di flussi d’acqua che, essendo più pesanti a causa del freddo e dell’alto livello di salinità, sprofondando verso il basso, favorendo la riossigenazione dei fondali. Fanno quindi parte di un delicato meccanismo in grado di innescare una corrente profonda che fa scendere verso sud le acque fredde lungo la costa italiana e richiama dallo Ionio verso nord quelle calde, lungo il litorale orientale. Durante l’inverno 2014 però, il clima anomalo di gennaio ha fatto rallentare questo sistema di circolazione. Le temperature miti dell’inverno in corso e le abbondanti precipitazioni che hanno interessato il bacino Adriatico direttamente – e in maniera indiretta attraverso le portate dei fiumi, soprattutto il Po – hanno generato significative masse di acqua poco densa, che non riusciranno a raggiungere i fondali del sud Adriatico e dello Ionio.

 

Questi temi sono stati i principali obiettivi di ricerca della campagna oceanografica internazionale CARPET (Characterizing Adriatic Region Preconditioning EvenTs), condotta dai ricercatori dell’Istituto di Scienze Marine Cnr-Ismar a bordo della Nave Oceanografica “Urania” nel gennaio/febbraio 2014. Contrariamente a quanto si potrebbe ritenere, sono argomenti che non rimangono confinati negli ambiti della ricerca di base e hanno conseguenze pratiche nel breve e nel medio periodo. La scarsa produzione di acque dense influenzerà probabilmente da vicino gli ecosistemi marini; una diminuzione della formazione di acque dense tende a favorire l’originarsi di aree con una bassa concentrazione, o addirittura un’assenza di ossigeno sui fondali. Da un lato, il mancato mescolamento delle acque porterà meno ossigeno verso il fondo, dall’altro l’elevato apporto di nutrienti arrivati dai fiumi favorirà la proliferazione di micro alghe che, una volta decomposte, abbasseranno ulteriormente i livelli di ossigeno, favorendo possibili morie di peschi o molluschi. Inoltre le acque Adriatiche influenzano la circolazione del Mediterraneo, che a loro volta riveste un ruolo importante nei processi di formazione di acque dense al largo della Groenlandia e delle coste Norvegesi; queste sono aree chiave responsabili per il trasferimento del calore in tutto il pianeta attraverso la corrente termoalina globale. Se questo “nastro trasportatore” dovesse ulteriormente rallentare, dopo le prime evidenze legate (pare) al riscaldamento globale del Pianeta, rischieremo di dover fronteggiare un periodo molto freddo, quasi polare. Rimanendo al nord Adriatico, a crociera conclusa i dati indicano una temperatura dell’acqua sul fondo di circa 2 °C superiore alla media degli ultimi 30 anni. Questo fatto ha rallentato di molto il ‘rinnovamento’ delle acque, che nel solo gennaio-febbraio 2012, complice un inverno estremamente freddo, aveva invece interessato la maggior parte del volume, stabilendo un record assoluto di densità da quando sono iniziate le misure in Adriatico settentrionale ( circa un secolo fa). A distanza di soli due anni siamo quindi agli antipodi. Due scenari estremi che, forse, testimoniano una variabilità naturale accentuata dai cambiamenti climatici in corso.