Gli astronomi sanno da tempo che la storia del nostro universo è segnata da episodi catastrofici come gli scontri tra galassie. Un po’ meno lo sa il grande pubblico, che continua a immaginare il cosmo come un insieme immutabile e perfettamente regolare, sostenuto peraltro in questa ingenua visione dalla bellezza di osservazioni notturne, come quelle di queste notti invernali, che a tutto fanno pensare fuorché a delle catastrofi di grandi dimensioni.



In realtà la configurazione dell’universo, così come ci è rivelata oggi dai potenti strumenti moderni come il telescopio spaziale Hubble, è il risultato, provvisorio, di un cammino evolutivo dove le colossali collisioni galattiche hanno svolto un ruolo importante. Le galassie infatti – secondo le più aggiornate ricostruzioni degli astrofisici – sono nate mediamente piccole; poi, mentre procedeva l’espansione cosmica cui è soggetto lo spazio-tempo e tutto ciò che contiene, hanno iniziato a scontrarsi e ad ogni scontro la “vincitrice” si ingrandiva a spese della vittima. E più una galassia diventava grande, più aumentava la sua capacità di attrarre gravitazionalmente verso di sé altre galassie minori, distruggendole e inglobandole. È quello che, con espressione un po’ macabra, viene a volte indicato come “cannibalismo galattico”.



Il frutto di tali “incidenti” non è sempre la totale distruzione delle piccole malcapitate; il più delle volte la galassia sconfitta resta legata all’altra tanto da diventarne una galassia “satellite”. Anche la vincitrice comunque, come in tutti i combattimenti che si rispettino, non esce totalmente indenne: reca i segni della lotta mostrando delle deformazioni rispetto alla forma originaria geometricamente perfetta ed elegante; ad esempio, molte galassie a spirale vedono uno dei loro bracci allungarsi verso la satellite, rompendo la precedente armoniosa simmetria. Col tempo spesso molte ferite si rimarginano e così la galassia principale ritrova il suo equilibrio dinamico e assume le forme spettacolari che telescopi ci rivelano e che l’occhio spaziale di Hubble ha fotografato per noi rendendocele familiari.



Quello che non era ancora stato registrato erano collisioni in epoche recenti tra piccole galassie. Ed è quello che hanno individuato i ricercatori del Niels Bohr Institute, dell’Università di Copenhagen, osservando e studiando i satelliti della più famosa delle galassie, la bellissima Andromeda (la M31 del catalogo Messier, o la NGC 224 del catalogo NGC).

La galassia di Andromeda è una grande galassia a spirale, come la nostra Via Lattea, dalla quale dista “solo” 2,3 milioni di anni luce. Può essere vista a occhio nudo nelle notti serene, tra il quadrato di Pegaso e Cassiopea. Non si possono però certo vedere a una semplice occhiata i satelliti dei quali anche lei, data la sua lunga carriera cosmica, è provvista. La Galassia di Andromeda è infatti circondata da uno sciame di piccole galassie; gli astronomi ne hanno contate più di venti e hanno, con poca fantasia, dato loro nomi come Andromeda I, II, III, IV ecc. Ora gli astronomi dell’Università di Copenhagen, che operano presso il Dark Cosmology Centre, hanno iniziato a studiarle da vicino e hanno puntato i riflettori su Andromeda II, una galassia sferoidale nana che si trova in un’orbita distante circa 600.000 anni luce dal centro della galassia madre ed è molto piccola, di dimensioni enormemente inferiori a quelle della Via Lattea: corrisponde infatti a circa dieci milioni di masse solari, contro i più di cento miliardi di Andromeda o della nostra galassia.

A seguito delle osservazioni compiute con DEIMOS (Deep Image Multi-Object Spectrograph) dal telescopio Keck II delle Hawaii, Andromeda II ha attirato l’attenzione per il suo comportamento sorprendente. Come ha spiegato l’astrofisico Nicola C. Amorisco, «in una galassia nana le stelle si muovono spesso in modo casuale ma in Andromeda II non è così. Abbiamo potuto rilevare una scia di stelle che si muovono in modo diverso rispetto al resto e in modo molto coerente. Queste stelle sono in rotazione attorno al centro della galassia e vanno a configurare un anello quasi completo».

Il flusso di stelle in rotazione è interamente costituito da stelle vecchie e dalle loro proprietà i ricercatori possono trarre conclusioni su questo drammatico evento cosmico; come hanno fatto nell’articolo appena scritto sulla rivista Nature.

Questo movimento delle stelle suggerisce che ciò che si sta osservando sia un effetto drammatico della collisione tra due galassie nane che lascia le sue conseguenze sulla dinamica del residuo. Amorisco e il suo team spiegano che le collisioni con successiva “fusione” fra tali piccole galassie sono fenomeni prevedibili durante il processo di formazione galattico; ma sono rari, e finora non erano mai stati osservati. Andromeda II è il primo caso conosciuto di fusione di galassie così poco massicce, di dimensioni inferiori al miliardo di masse solari; ed è un ottimo esempio per illustrare l’indipendenza dalla scala dimensionale del processo di formazione delle galassie.