Anche i grandi scienziati hanno dei tentennamenti, soprattutto quando si tratta di formulare teorie che hanno l’ambizione di spiegare l’universo nel suo insieme, cioè le teorie cosmologiche. È successo ad Albert Einstein, che con la sua teoria della relatività generale ha posto la base fisico-matematica per descrivere la complessità del cosmo ma che poi, di fronte al compito di elaborare un modello di universo, ha vissuto un’esperienza oscillante. Il recente ritrovamento di un suo manoscritto con quattro pagine di appunti su questo tema, lo documenta ampiamente e getta una luce interessante sull’intreccio inevitabile della fisica con la più generale concezione filosofia degli scienziati; un intreccio che in Einstein era particolarmente stretto.



Il manoscritto è del 1931, redatto in tedesco col titolo “Zum kosmologischen Problem” (Sul problema cosmologico) ed è rimasto finora inutilizzato, nonostante la montagna di studi e di ricerche svolte negli ultimi sessant’anni sui lavori e sul pensiero del celebre fisico. Eppure non era nascosto o segreto: era disponibile e ben visibile negli Albert Einstein Archives della Hebrew University di Gerusalemme; solo che era stato catalogato male, come bozza di un altro scritto di Einstein. L’ha portato alla pubblica attenzione il fisico irlandese Cormac O’Raifeartaigh, dell’Istituto di Tecnologia di Waterford, che poi, con i colleghi Brendan McCann, Werner Nahm e Simon Mitton l’ha tradotto in inglese e ne ha fatto un’accurata analisi che ha pubblicato, inquadrandola in un più ampio ragionamento, sul sito di pubblicazioni scientifiche open arXiv.



“Un articolo interessante e ben costruito, anche dal punto di vista storico”, dice a ilsussidiario.net l’astrofisico Carlo Baccigalupi della Sissa di Trieste. Gli autori, nella loro “visita guidata” al manoscritto einsteiniano, prendono le mosse dai riferimenti di Einstein al problema del collasso gravitazionale nella teoria newtoniana e dalla ben nota vicenda della teoria del 1917 di un universo statico, quando il padre della relatività aveva dovuto introdurre forzatamente una costante gravitazionale per far funzionare la teoria. È la celebre vicenda che in seguito Einstein ricorderà come il suo “più grande errore”.



In proposito Baccigalupi osserva che “la discussione proposta in questo articolo su arXiv è senza dubbio attuale, in quanto nel 2011 è stato assegnato il Premio Nobel della Fisica a Saul Perlmutter, Adam Riess e Brian Schmidt che, attraverso l’osservazione dell’esplosione di diverse decine di supernovae, sono giunti alla scoperta dell’accelerazione nell’espansione cosmica; un effetto che secondo la Teoria della Relatività Generale di Einstein è prodotto proprio da una Costante Cosmologica”.

Einstein a quel tempo aveva abbandonato l’idea di un universo statico ma il problema si era riacceso sul finire degli anni venti del secolo scorso, con la misura da parte di Edwin Hubble della velocità di allontanamento delle galassie e con la relativa legge che porta il suo nome; e quindi con la conferma dell’espansione dell’universo. Così Einstein ci ha riprovato, elaborando un modello cosmologico diverso da quello del 1917 ma pur sempre basato sull’idea di uno stato stazionario, con la possibilità di continua formazione di materia per giustificare tale configurazione in un cosmo che si espande.

La conversione di Einstein all’idea evolutiva dell’universo e a quello che diventerà il modello del Big bang è stata tormentata ed è passata attraverso questo manoscritto, redatto quasi certamente – notano O’Raifeartaigh e colleghi – dopo il 1929, cioè dopo la pubblicazione dei risultati di Hubble e dopo un soggiorno di tre mesi di Einstein in California dove ha incontrato Hubble stesso e gli altri astronomi dell’Osservatorio di Mount Wilson. I fisici irlandesi fanno anche maliziosamente notare che il nome di Hubble è deformato in Hubbel in questo manoscritto come in successivo testo di Einstein: segno di una sua “non totale familiarità con gli scritto di Hubble”.

Resta da interpretare come mai questi appunti non siano mai stati pubblicati; ma la risposta sembra facile: l’autore si è presto convinto che il modello stazionario non funzionava e già nel 1931 e nel 1932 svilupperà dei modelli dinamici noti come modelli Fridman-Einstein e Einstein – de Sitter. “Le riflessioni di Einstein sulla robustezza o meno del modello stazionario dell’Universo, riprese successivamente da Fred Hoyle e collaboratori come riportato in questo articolo di O’Raifeartaigh, non hanno potuto beneficiare di un’evidenza che non lascia dubbi, come quella arrivata troppo tardi per loro, solo negli anni ‘60, con la scoperta della radiazione cosmica di fondo. È stata questa la prova di una fase ad altissima temperatura e densità che l’Universo ha attraversato circa quattordici miliardi di anni fa, che noi oggi chiamiamo Big Bang; e che resta l’attuale pilastro del modello di Universo in espansione”.

In ogni caso, sembra che il fiuto fisico-filosofico di Einstein gli abbia fatto decidere di abbandonare i modelli stazionari di universo perché – conclude O’Raifeartaigh – troppo “forzati e non realistici”.