Se viaggiando in macchina non ne potete più della congestione del traffico cittadino o siete infastiditi dal trovare frequenti buche e fessure nel fondo stradale, pensata a un futuro (che si sta avvicinando) in cui una serie di sensori installati sulle strade in grado di comunicare lo stato della viabilità o il formarsi di crepe nell’asfalto, dando informazioni utili a chi sta viaggiando e anche a chi si occupa di manutenzione, magari aiutando a individuare l’ora del giorno meno trafficata per intervenire a riparare le crepe senza creare ingorghi.
È solo un piccolo esempio tra i tanti dei nuovi scenari che la rapida evoluzione della rete sta dischiudendo e che prospettano cambiamenti ovunque. Sono gli scenari di quella che stiamo imparando a chiamare l’Internet of Things, l’Internet degli oggetti, ma che secondo una delle realtà più presenti su questa frontiera, la multinazionale Cisco, ormai può essere benissimo denominata Internet of Everything (IoE), Internet di tutto.
Così ne tratteggia i contorni John Chambers, Presidente e CEO di Cisco Systems. «Per definirlo in parole semplici, diremo che l’Internet of Everything è la connessione intelligente di persone, processi, dati e cose sulla rete. Un importante elemento abilitatore dell’IoE è l’intelligenza della rete, che le consente di gestire, controllare, scalare in modo adeguato a supportare l’incredibile tasso di crescita delle connessioni disponibili. Per ogni nuova persona, processo, dato o oggetto che va “online”, le possibilità di connessione tra tutti questi elementi si ampliano in modo esponenziale. L’IoE ne aumenta il valore e la rilevanza. A creare il valore non è l’atto di connettersi, e nemmeno il numero di connessioni: a creare valore, è ciò che le connessioni rendono possibile».
L’evoluzione tecnologica permette di connettere oggetti che non avremmo mai preso in considerazione come utenti della Rete; siamo in un momento che vede aggiungersi milioni e milioni di “cose” alla ragnatela di connessioni che ci circonda: nel 2012 erano dodici miliardi, nel 2015 saranno 15 miliardi, nel 2020 quaranta miliardi; e così via, in un percorso teso a raggiungere il 99% di mondo ancora “non collegato”.
«Sì perché per ora – dice a Ilsussidiario.net David Bevilacqua, Vice Presidente South Europe di Cisco – poco meno dell’1% di ciò che può essere connesso alla Rete lo è effettivamente. L’IoE riguarderà una parte rilevante del non connesso; molta della connessione sarà “machine to machine” ma questa serve poco se le macchine intelligenti non vengono integrata con i dati e la loro analisi, i processi da cambiare e le persone, che poi sono al centro di tutto. Noi abbiamo lanciato questa visione dell’Internet of Everything per uscire dalla focalizzazione sulle “things”.
Ritornano quindi nelle parole di Bevilacqua i quattro attori dell’IoE indicati da Chambers: persone, processi, dati e cose. Ciò che apre le porte all’era dell’Internet of Everything, è l’evoluzione dell’intelligenza e delle funzionalità della Rete, che permette di offrire agli oggetti – e alle persone che interagiscono con esse, ai dati che generano, ai processi in cui s’inseriscono – elementi quali: la capacità di riconoscere e agire in funzione del contesto, una maggior potenza di calcolo, la capacità di procurarsi autonomamente l’energia necessaria per operare.
Bevilacqua – che è reduce dalla settimana del Cisco Live, dedicato al IoE, che ha visto convergere al MiCo Milano Congressi 7000 tra partner, clienti, sviluppatori e appassionati – porta l’esempio del sistema di raccolta rifiuti di Nizza: «lì ci sono i sensori sui raccoglitori dell’immondizia, i dati che vengono trasferiti a un software che li elabora, le persone che li interpretano; ma poi ci sono i processi che devono cambiare. Se non guardiamo questi quattro elementi in modo complessivo e sistemico per restare legati alla “things”, anche il fatto che queste possano comunicare tra loro non serve gran che».
L’Internet of Everything fa evolvere e radicalizza trend che le imprese di tutto il mondo ben conoscono, quali la consumerizzazione dell’IT, guidata dalla disponibilità ubiqua di connettività e di mobilità e dalle abitudini digitali individuali, che fanno sì che i dipendenti si attendano un’esperienza tecnologica al lavoro simile a quella che hanno nella vita personale. Il Forum conclusivo della Cisco Live si intitolava “La nuova rivoluzione industriale” ma sono molti i segnali che fanno pensare a cambiamenti che oltre all’industria andranno a modificare i nostri comportamenti quotidiani. «Da un lato è una rivoluzione industriale, è l’industrializzazione di Internet, è un cambiamento del modo in cui le aziende lavorano. Ma oggi ogni trasformazione tecnologica si traduce subito in mutamenti dell’esperienza dell’uomo, che secondo me sono di segno positivo: una vita più sostenibile, meno affannata, meno inquinante e inquinata, con più tempo a disposizione ….».
È una strada ormai imboccata e che non può che procedere. «È chiaro che – e penso all’Italia – se non lo interpretiamo come Paese, rischiamo di perdere il treno. E penso che non debba essere un processo monodirezionale; ci deve essere il pubblico e il privato: c’è un fattore di infrastrutture, di cultura che va guidato e organizzato coerentemente; ma deve intervenire il privato perché il pubblico da solo non può farcela. Ci vuole maggior sensibilità da parte delle imprese».
Dal punto di vista tecnologico si profila un’evoluzione nelle architetture di sistema, volta a garantire sicurezza, flessibilità, rapidità, scalabilità, semplicità di gestione dell’ automazione di reti che operino in modo sempre più autonomo, aperto e interconnesso. Un fattore cruciale per la gestione efficace di queste transizioni tecnologiche è il ruolo della rete; aziende come Cisco stanno già lavorando alla rete del futuro: una rete sicura, agile, sensibile al contesto; capace di trasferire all’utente le corrette policy di accesso ad informazioni e applicazioni; una rete in grado di auto-configurarsi, auto-ottimizzarsi, auto-ripararsi, auto-proteggersi; capace di gestire le domande massive di dinamicità, automazione e gestibilità dei nuovi modelli cloud; capace di integrare programmabilità, applicazioni aperte, funzioni di analisi che trasformano dati grezzi in informazioni pronte all’uso.
Resta nell’aria il problema della sicurezza; si dice: aumentano le connessioni, aumentano i rischi. Bevilacqua vuol essere realista: «È un tema da non sottovalutare; ma non può essere un fattore che blocca. È vero che ci si apre a dei rischi, ma ciò è accaduto in ogni trasformazione tecnologica. Vuol dire che c’è molto da lavorare in quell’area. E le assicuro che l’attenzione alla sicurezza informatica è una delle concrete priorità di aziende come la nostra».
(Mario Gargantini)