Partono oggi, con i primi appuntamenti a Rovereto, Mori (Trento) e Riccione, i Mendel Day: un ciclo – alla sua seconda edizione – di iniziative e incontri (una ventina) che nei prossimi due mesi percorreranno l’Italia per parlare di scienza, vita, ragione, fede. Così ne ha sintetizzato il senso, in un articolo pubblicato su Il Timone di gennaio, Francesco Agnoli, ideatore e principale promotore del progetto: «I Mendel day sono proposti per ricordare che la genetica penetra l’intelligenza del Creatore posta nel creato; per rammentare che la vita non è cosa nostra, ma realtà che obbedisce a leggi e che nello stesso tempo sprofonda nel Mistero; per tornare ad uno sguardo, sulla natura e sull’uomo, religioso, cioè stupito, amorevole, estraneo ad ogni riduzionismo materialista. Dietro il genoma, infatti, c’è un mondo e, soprattutto, una domanda: di Chi ci parla “l’intelligenza” della vita?». 



Alla domanda verrebbe subito da rispondere col titolo del libro di Francis Collins, colui che ha concluso la mappatura il genoma umano e che ha definito il Dna “il linguaggio di Dio”; nel medesimo libro Collins così esprime la sua visione, raggiunta dopo un tormentato percorso di ricerca: «La scienza è l’unico modo per capire il mondo naturale, e i suoi strumenti quando sono utilizzati correttamente posso generare profonde intuizione all’esistenza materiale. Ma la scienza non ha potere per rispondere a domande come “Perché l’Universo è nato?”, “Che cosa significa l’esistenza umana?”, “Cosa accade dopo la nostra morte?”. Una delle più forti motivazioni del genere umano è scoprire le risposte alle questioni profonde, e noi abbiamo bisogno di portare tutto il potere di entrambe i punti di vista, scientifico e spirituale, per comprendere il visibile e l’invisibile».



Quella unitarietà di posizione che vede compresenti in Collins, senza dualismi o concordismi, lo scienziato e il credente, è l’esperienza di molti altri uomini di scienza; alcuni dei quali verranno raccontati dallo speciale palcoscenico dei Mendel Day: dall’abate Gregor Mendel, naturalmente, fino a un più recente testimone di quella stessa posizione umana, come lo scopritore della trisomia 21 Jérôme Lejeune. 

Il monaco di Brno è arrivato alle sue celebri tre leggi dell’ereditarietà dopo un paziente e attento lavoro sperimentale, facendo tesoro di diverse conoscenze non solo biologiche ma anche matematiche (in particolare statistiche) e ben saldo nella certezza che debba esistere una regolarità in una natura creata, con un atto di amore, da un Dio Legislatore universale: «Dal momento che Dio ha creato l’intero universo, perché le leggi naturali dovrebbero esistere solamente nella fisica e nella chimica? Forse esse esistono anche in biologia, ma nessuno le ha cercate nel modo giusto». 



La sua è stata una ricerca scientifica sempre sorretta e sospinta dalla convinzione che «le forze della natura agiscono secondo una segreta armonia che è compito dell’uomo scoprire per il bene dell’uomo stesso e la gloria del Creatore». Forse in questo aveva presente la prospettiva indicata dal suo maestro, sant’Agostino, che aveva scritto: «La bellezza della terra è come una voce muta che si leva dalla terra. Tu l’osservi, vedi la sua bellezza, la sua fecondità, le sue risorse; vedi come si riproduca un seme facendo germogliare il più delle volte una cosa diversa da quella che era stata seminata. Osservi tutto questo e con la tua riflessione quasi ti metti ad interrogarla… Pieno di stupore continui la ricerca e scrutando a fondo scopri una grande potenza, una grande bellezza e uno stupefacente vigore. Non potendo avere in sé né da sé questo vigore, subito ti vien da pensare che, se non se l’è potuto dare da sé, gliel’ha dato lui, il Creatore. In tal modo ciò che hai scoperto nella creatura è la voce della sua confessione che ti porta a lodare Dio». 

Non sarà difficile, in questi Mendel Day, scoprire il filo rosso che lega, in una inedita doppia elica, il monaco-scienziato moravo e il genetista francese: è lo sguardo umano carico di tenerezza per la persona, il senso profondo della dignità di ogni singolo uomo, voluto e amato da Dio; e insieme il rispetto per una natura meravigliosa e conoscibile. Diceva Lejeune: «lo Spirito che governa l’universo e che ha dettato le sue leggi, si è preso il disturbo di modellare il suo proprio ritratto nell’unica creatura vivente capace di ammirare la creazione. Se siamo stati creati ad immagine e somiglianza di Colui che ha fatto le leggi dell’universo, allora il fatto che possiamo avere una certa comprensione dell’universo diventa plausibile». E ancora: «Difendere ogni paziente, prendersi cura d’ogni uomo, implica che ciascuno di noi debba essere considerato “unico” e “insostituibile”». 

Come erano unici e insostituibili per Mendel tutti gli ospiti dell’Istituto moravo per i sordomuti, del quale era responsabile, o i tanti malati e poveri da lui assistiti; analogamente per Lejeune, i bambini affetti da sindrome di Down dell’Ospedale Necker Enfants Malades di Parigi, pensando ai quali così esortava i medici e tutti i collaboratori: «Quando i genitori sono inquieti davanti a un bambino malato, noi non abbiamo il diritto di farli attendere neanche una notte».