Torno qui su un aspetto di ricerca scientifica particolarmente caro a chi scrive: i buchi neri. Sono fra gli oggetti più affascinanti dell’Universo, eppure sono incredibilmente semplici. Pura gravità, niente altro. Spazio vuoto e pura gravita, che può solo pesare e ruotare. Dal punto di vista osservativo, caratterizzare e studiare i buchi neri si riduce a misurarne la massa e lo spin, cioè la velocità di rotazione.
Buchi neri cosiddetti “supermassicci” risiedono al centro della maggior parte delle galassie, e ne condizionano profondamente la loro evoluzione. Un buco nero supermassiccio può arrivare a pesare un miliardo di volte la massa del Sole, pur essendo racchiuso in un diametro simile a quello del Sole stesso. Tale massa ha evidentemente effetto sugli altri corpi celesti nelle sue vicinanze, quali stelle e nubi di gas. Massa così concentrata porta le stelle vicine su strette orbite: sebbene non osserviamo i buchi neri direttamente (perché sono neri, appunto), la misura di orbite stellari ha storicamente permesso l’identificazione della sorgente SgrA* in un buco nero supermassiccio proprio al centro della nostra Via Lattea.
Tali stelle in orbita devono però stare attente a mantenersi a un certa distanza dal loro scomodo compagno, o faranno una brutta fine. Così come la Luna alza e abbassa gli oceani sulla Terra dando origine al fenomeno delle maree, così i lembi stellari risentono della presenza del buco nero. La gravità del buco nero può essere talmente forte da strappare, distruggere, la stella stesse. Tali eventi sono estremamente preziosi per stimare l’intensità del campo gravitazionale del buco nero o, in altri termini, la sua massa.
E la rotazione? Mentre stimare la massa del buco nero è relativamente semplice, gli effetti di spin sono molto più elusivi. Mentre la massa genera gravità, misurabile da oggetti che orbitano a grande distanza dal buco nero stesso, gli effetti di spin entrano in gioco solo a piccole distanze, difficilmente raggiungibili dalle stelle prima di essere distrutte. Tali misure sono sulla frontiera dell’astrofisica delle alte energie, come testimonia lo studio presentato da Rubens C. Reis (University of Michigan, Ann Arbor, Usa) e collaboratori recentemente pubblicato sulla prestigiosa rivista Nature.
Il trucco sta nella rotazione; ma non quella del buco nero. La gravità di un buco nero è così intensa che “trascina” lo spaziotempo attorno a se: in altri termini, un osservatore (io, tu, o meglio, una particelle di gas) non può stare fermo vicino a un buco nero, ma è costretto a ruotare con esso. Per non ruotare, esso dovrebbe andare più veloce della luce, condizione proibita da ogni attuale legge fisica.
Particelle di gas in rotazione forzata attorno al buco nero emettono radiazione (luce) nei cui dettagli è inciso il loro moto. Deviazioni in righe spettrali emesse da nubi di gas in presenza di un buco nero rotante, possono rivelarne la rotazione e quindi permettere una misura dello spin del buco nero. Misure di questo tipo sono estremamente complesse, ai limiti della moderna strumentazione scientifica, tanto da essere spesso dibattute e controverse, con più gruppi di ricerca che presentano stime differenti.
Risulta dunque ancora più sbalorditiva la recente misura del gruppo di Reis, che ha spinto tale tecnica fino a un oggetto, RX J1131, distante 6 miliardi di anni luce, solo 7,7 miliardi di anni dopo la nascita dell’Universo. La velocità di rotazione di RX J1131 è estremamente elevata, circa metà della velocità della luce. Tale osservazione pone sfide alla nostra attuale comprensione dell’evoluzione galattica: come ha potuto l’Universo portare un buco nero a rotazione quasi estrema, in soli 8 miliardi di anni?
L’estrema semplicità ed eleganza dei buchi neri (solo due numeri: massa e spin), purtroppo fa sì che non ci siano troppo dettagli disponibili per rintracciare la loro formazione ed evoluzione. Con le attuali tecniche, persino se spinte all’estremo, molte di queste domande sono destinate a rimanere aperte. Eppure, la rivoluzione è dietro l’angolo, perché finora abbiamo solo guardato luce. Tutte le informazioni che abbiamo sull’Universo vengono da telescopi, che misurano luce. Eppure c’è altro: la gravità stessa. Bisogna andare a cercare i buchi neri mentre stanno diventando semplici, cioè mentre eliminano i dettagli superflui sotto forma di onde gravitazionali. Siamo sul nascere (nel 2016?) di un nuovo modo di fare astronomia: stay tuned!