Sono visibilmente preoccupati i due esperti italiani che hanno anticipato ieri i principali contenuti del Quinto Rapporto di Valutazione (AR5) dell’IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change), che affronta le tematiche a livello globale e regionale di impatti, adattamento e vulnerabilità ai cambiamenti climatici. Le notizie non sono buone e l’andamento degli stessi lavori del Working Group II (WGII) e della 38esima riunione Plenaria Generale dell’IPCC, tenutisi a Yokohama (Giappone) nei giorni scorsi, conferma la criticità della situazione. La riunione avrebbe dovuto concludersi nel pomeriggio del 29 marzo, invece si è prolungata durante la notte fino al 30 marzo: il testo della Sintesi per i decisori politici (Summary for Policy maker, SPM) è stato approvato formalmente alle 15:15 di domenica dopo aver raggiunto il consenso sul testo del secondo volume del AR5.



Uno dei due italiani è Sergio Castellari, dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV) oltre che del Centro Euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici (CMCC) e presente in quanto Focal Point IPCC per l’Italia; l’altro è Riccardo Valentini dell’Università della Tuscia e del CMCC e  uno dei due autori principali responsabili del capitolo “Europa” del rapporto.



In realtà il: il contributo italiano al WGII AR5 è stato molto ampio, comprendendo Marco Bindi (Università di Firenze), Carlo Rondinini (Università La Sapienza), Leslie Lipper (FAO), Francesco Bosello (Università Milano, CMCC, FEEM), Filippo Giorgi (ICTP-UNESCO), Maria Vincenza Chiriacò (Università della Tuscia, CMCC), Olaf Jonkeren (JRC Ispra), Luca Montanarella (JRC, Ispra), Antonio Navarra (INGV, CMCC), Cristina Sabbioni (ISAC-CNR), Donatella Spano (Università di Sassari, CMCC).

«Questo rapporto – dice Castellari –  aveva come obiettivo quello di valutare come i rischi e i potenziali benefici stanno modificandosi a causa dei cambiamenti climatici, cercando di fare il punto su come gli impatti e i rischi legati ai cambiamenti climatici possono essere ridotti e gestiti mediante l’adattamento e la mitigazione. Sono stati valutati i bisogni, le opzioni, le opportunità, la resilienza, i limiti associatati all’adattamento ai cambiamenti climatici».



La preoccupazione dei nostri due scienziati si comprende esaminando alcuni dei messaggi chiave che emergono dal rapporto. A partire dalla constatazione, peraltro evidente, che le attività umane stanno interferendo con il sistema climatico e che tale interferenza pone seri ischi per la società e i sistemi naturali, che già ne hanno subito gli impatti negli ultimi decenni. In molte regioni del pianeta le modifiche nella precipitazione piovosa e nevosa e nei ghiacci stanno provocando alterazioni nei sistemi idrologici impattando sulle risorse idriche (in qualità e quantità).

In generale «sulle coltivazioni agricole sono più comuni gli impatti negativi che quelli positivi. Gli impatti di recenti eventi estremi climatici (onde di calore, siccità, inondazioni, nubifragi e incendi boschivi) hanno mostrato una grande vulnerabilità della nostra società e di alcuni ecosistemi».

Passando alla situazione dell’Europa, viene individuata la regione mediterranea/sud europea come quella più a rischio a causa dei molteplici settori che vengono impattati: turismo, agricoltura, attività forestali, infrastrutture, energia, salute della popolazione. I cambiamenti climatici, si osserva, possono introdurre disparità economiche all’interno dell’Europa favorendo regioni meno affette ed aggravando quelle più esposte, come appunto quella mediterranea.

«Le proiezioni climatiche per il futuro mostrano un possibile aumento di temperature in tutte le regioni europee, un possibile aumento di precipitazione nell’Europa Settentrionale e un possibile calo di precipitazione nell’Europa Meridionale. Finora gli eventi estremi meteorologici hanno provocano significativi impatti in Europa in molti settori economici, provocando effetti sui sistemi sociali. È inoltre previsto un calo nella fornitura dei cosiddetti servizi ecosistemici in risposta ai cambiamenti climatici nell’Europa meridionale nell’area alpina».

L’Europa Meridionale quindi è particolarmente vulnerabile ai cambiamenti climatici e molti settori potranno essere colpiti negativamente, come : turismo, agricoltura, foreste, infrastrutture, energia, salute. «Il rischio di inondazioni costiere e fluviali potrà aumentare in Europa a causa dell’aumento del livello marino e l’aumento degli eventi di intensa precipitazione; senza misure di adattamento i danni cresceranno in maniera sostanziale».

Ma la lista dei potenziali danni in Europa è ancor più lunga: si parla di calo nella produzione termo-elettrica durante l’estate; di crescita della domanda di sistemi di raffreddamento; di probabile calo della produzione di cereali; di rischio di scarsità di disponibilità idrica, soprattutto nel Mediterraneo, dovuto al concomitante aumento della domanda di acqua per irrigazione, uso domestico e industriale e riduzione di precipitazioni, scarsa capacità di reintegro delle risorse idrico e aumento dell’evaporazione.

Si elencano ancora i possibile aumento del rischio di incendi boschivi nell’Europa meridionale; le probabili modifiche negli habitat delle specie, con estinzioni locali; la probabile riduzione dell’habitat delle piante alpine.

Si impone allora il tema dell’adattamento ai cambiamenti climatici, che può prevenire buona parte dei potenziali danni. Castellari ne è convinto: «Alcuni impatti sono già in corso e sono inevitabili; ma l’adattamento è necessario. A livello mondiale l’adattamento sta entrando in alcuni processi di pianificazione, ma non è ancora attuato in maniera estensiva. Bisogna attuare un’azione congiunta: ridurre le emissioni di gas-sera e contemporaneamente adattarsi. In questo modo è possibile trasformare il rischio in una piattaforma di azione».

In Europa le politiche di adattamento si stanno sviluppando su tutti i livelli di governo: alcuni piani di adattamento sono integrati nella gestione delle coste e delle risorse idriche, nei sistemi di protezione ambientale e pianificazione territoriale, nei sistemi di gestione dei rischi connessi ai disastri. «Certo, aumenteranno i costi relativi a misure di adattamento per gli edifici e al rinnovamento delle difese da inondazioni; e alcuni impatti saranno comunque inevitabili».

Per l’Italia Castellari è il Coordinatore Scientifico della Strategia nazionale di adattamento che, ci conferma, è quasi pronta. La strategia è stata elaborata dal Ministero Italiano dell’Ambiente, della Tutela del Territorio e del Mare (MATTM) a partire dalla metà del 2012, dopo un incontro preliminare del febbraio dello stesso anno su “Stato delle conoscenze riguardo ai cambiamenti climatici in Italia” e a seguito di un accordo tra MATTM e Centro Euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici: è nato così il Progetto SNAC (Strategia Nazionale di Adattamento ai cambiamenti Climatici) la cui conclusione è prevista per il giugno prossimo.