Si è appena conclusa a Milano la “Settimana del Clima”, organizzata dalla Scuola di scienze dell’Università di Milano-Bicocca che ha messo a confronto rappresentanti di enti scientifici, istituzioni accademiche e mondo economico-industriale sui grandi temi legati alla questione dei cambiamenti climatici, oltre a coinvolgere numerosi giovani in momenti di conoscenza e di approfondimento. E si è conclusa con una proposta concreta messa subito in atto: la costituzione di un centro interdipartimentale progettato per rafforzare la ricerca interdisciplinare sul clima, mettendo insieme tutte le competenze presenti all’interno dell’università milanese, da quelle delle scienze naturali a quelle delle scienze socio-economiche per studiare in maniera globale il fenomeno. Il progetto – denominato CLIMIB, Centro interdipartimentale sul clima – coinvolge nove dipartimenti: Biotecnologie e Bioscienze, Fisica “G. Occhialini”, Informatica Sistemistica e Comunicazione, Matematica e Applicazioni, Scienza dei Materiali, Scienze dell’Ambiente e del Territorio e di Scienze della Terra, Scienza della Formazione, Sociologia e Ricerca Sociale, e Psicologia.
Ilsussidiario.net ne ha parlato con l’animatore dell’iniziativa, il professor Cesare Corselli, docente di paleontologia e paleoecologia dell’Università di Milano-Bicocca.
Professore, da dove nasce l’idea di costituire il centro CLIMIB?
La proposta di un centro interdipartimentale viene dalla considerazione che il problema del cambiamento climatico, come si evince anche dagli ultimi recenti rapporti dell’IPCC, è un problema che colpisce tutte le attività umane e di conseguenza invoca l’apporto di tutte le discipline: dalla psicologia, alla sociologia, alla giurisprudenza, alle diverse discipline scientifiche fino ad arrivare alla fisica, nell’ambito della quale si elaborano i modelli climatici che sono poi la base per ogni ragionamento anche riguardo al futuro. Allora c’è la necessità anzitutto di far parlare tra loro queste diverse componenti, le persone di aree disciplinari diverse, che difficilmente dialogano: ognuna fa la sua parte ma ci sono poche occasioni di scambiare risultati, idee, opinioni.
Perché in questo momento?
Perché è recentemente stato diffuso dall’IPCC il documento del working group di contenuto fisico, cioè quello dedicato al tema dell’adattamento e in questi giorni sta uscendo il terzo rapporto, quello sulla mitigazione. Quello che verrà chiesto a tutti nel prossimo futuro riguarda proprio questi due temi: adattamento e mitigazione, cioè come impostare l’economia e l’organizzazione sociale in genere, in modo tale da non raggiungere i livelli di riscaldamento climatico peggiori prefigurati dai modelli.
Questa quindi è una prima ragione che vi ha spinto a lanciare il CLIMIB; ce ne sono altre?
Ce ne sono almeno altre due. La prima è legata alla natura delle università come luoghi di formazione: è chiaro che l’argomento dei cambiamenti climatici, in tutte le sue sfaccettature, deve essere portato agli studenti, cioè ai dirigenti di domani, che dovranno fronteggiare un problema che ricadrà su di loro pesantemente se non verranno portate avanti subito le misure di mitigazione e adattamento che si stanno studiando.
E la terza ragione?
Un terzo aspetto, che a mio avviso è importante quanto gli altri due, è quello della divulgazione. Ogni cittadino deve poter essere informato nel modo corretto e reso consapevole delle situazioni, perché poi possa fare le sue scelte e contribuire alle decisioni.
Che tipo di attività verranno attivate col CLIMIB?
All’università Bicocca noi già svolgiamo numerose attività di ricerca nel settore clima, e se ne è potuta avere una dimostrazione eloquente in questi giorni con l’iniziativa della Settimana del Clima. Ora col CLIMIB cercheremo di avviare anche ricerche interdipartimentali e interdisciplinari che possano coinvolgere competenze diverse per poter dare contributi ancor più significativi. Porto solo un esempio: siamo abbastanza specializzati sul paleoclima del passato recente, abbiamo il più grande laboratorio del ghiaccio d’Italia se non d’Europa, che si occupa del clima attraverso lo studio dei ghiacciai artici, antartici e anche continentali; ma abbiamo anche ricercatori che si occupano di trasporti fluviali, di sedimenti fluviali e marini, di come i mutamenti climatici possono essere verificati nello studio di tali sedimenti; sono ricerche condotte attraverso i cosiddetti “proxy”, cioè i resti degli organismi vissuti nella colonna d’acqua e poi sedimentati, a partire dai quali si possono ricostruire gli scenari storici delle grandi masse d’acqua. Il dialogo intenso tra questi ricercatori potrebbe essere molto fecondo.
La ricerca italiana in materia di ambiente e clima ha dei numeri da giocare nel contesto internazionale?
Certamente. Proprio in vista di questa iniziativa, ho cercato della documentazione sulle principali riviste internazionali e ho trovato 109 articoli solo di ricercatori che operano nella nostra università Bicocca; e non solo quelle di chimici, fisici, biologi ma anche di psicologi, sociologi, economisti. Quindi possiamo ben ritenere di avere una visione a 360 gradi e di essere nelle migliori condizioni per affrontare un argomento che non è proprietà riservata di nessun ambito specialistico, oltre ad essere responsabilità di tutti. Inoltre, devo dire che la nostra iniziativa potrà essere allargata alle altre università milanesi e potrà valorizzare al massimo le potenzialità di ricerca e innovazione di una città come Milano che, anche in questo campo, sono enormi.
Sui temi dell’ambiente e del clima l’impressione generale, per i non specialisti, è sempre più quella di una certa confusione, di posizioni contraddittorie e poco sostenibili. Come mai?
Un motivo è proprio la carenza di dialogo e confronto tra diverse linee di ricerca. Con l’iniziativa del CLIMIB vorremmo quindi contribuire a una maggiore chiarezza, a trovare gli strumenti e le occasioni per dare omogeneità a tante analisi, previsioni e proposte. Personalmente ritengo anche che col paradigma economico attuale, che tende ad affrontare anche questi problemi privilegiando gli aspetti di business, sia molto difficile risolvere il problema del cambiamento climatico in tempi utili. Ci vuole un mutamento di paradigma. Ma questo non può essere imposto dall’alto e tanto meno possiamo imporlo noi scienziati. Deve partire da ciascuno, dall’interno di ogni persona, che dovrà decidere del possibile cambiamento anche dei suoi comportamenti quotidiani. Noi possiamo e dobbiamo fornire le conoscenze utili per supportare le decisioni.
Ci sono comunque fondati motivi per essere preoccupati?
Ci sono, e non sono legati solo al puro dato del riscaldamento globale: questo infatti trascina con sé una serie di altre implicazioni su tutti gli ambienti e i contesti di vita, minacciando grandi ecosistemi, come pure nicchie ecologiche e, in primis, la nostra stessa nicchia ecologica, di noi abitanti di questo Pianeta. Certo, la preoccupazione è maggiore se si pensa alle generazioni future. Alcuni scenari parlano dei primi effetti vistosi, se non verranno attuate le misure di mitigazione e adattamento, già dal 2030-2040: bisogna quindi evitare che i giovani sottovalutino il problema. Il nostro tentativo va in questa direzione.