Da qualche tempo si parla dei concentratori solari luminescenti (LSC, Luminescent Solar Concentrators): si tratta di dispositivi costituiti da una lastra plastica o vetrosa nella quale sono incorporate specie otticamente attive dette “cromofori” che assorbono parte della luce solare e la riemettono all’interno della lastra. Sfruttando il fenomeno fisico detto “riflessione totale”, lo stesso che agisce nelle ben note fibre ottiche delle telecomunicazioni, la luce viene convogliata verso i bordi dove è trasformata in energia elettrica da piccole celle solari poste lungo gli spigoli.



Finora però non era possibile realizzare concentratori solari luminescenti di dimensioni sufficienti per un impiego in situazioni reali (vetrate, serre, coperture trasparenti ecc…) per il fatto che i cromofori standard riassorbono gran parte della loro stessa fluorescenza. È un processo noto come “riassorbimento” e comporta che la luce emessa da un cromoforo sia appunto riassorbita dal cromoforo successivo cosicché la sua intensità diminuisce progressivamente, fino ad azzerarsi, avvicinandosi al bordo della lastra. La realizzazione di materiali privi di ri-assorbimento è quindi la sfida principale per l’affermazione di questa tecnologia.



Ora, grazie alle nanotecnologie, si è aperta una nuova prospettiva concreta per i LSC: un gruppo del Dipartimento di Scienza dei Materiali dell’Università di Milano-Bicocca coordinato da Francesco Meinardi e da Sergio Brovelli, ha messo a punto nuovi concentratori solari luminescenti in grado di catturare e concentrare la luce solare senza dispersione; lo studio alla base della scoperta è stato appena pubblicato sulla rivista Nature Photonics.

«Il problema del riassorbimento – ha detto a ilSussidiario Sergio Brovelli – è comune a quasi tutti i cromofori, siamo essi molecole o nanoparticelle. Questo perché la natura stessa progetta i materiali luminescenti in modo che siano il più efficiente possibile, e che quindi non sprechino energia emettendo luce meno energetica di quella che hanno assorbito. Questa caratteristica è generalmente un vantaggio quando si vogliono realizzare dispositivi ottici come i LED, ma diventa un limite stringente per la tecnologia della concentrazione solare a luminescenza. In quest’ultima, infatti, il riassorbimento limita enormemente l’efficienza ottenibile, che diventa sostanzialmente irrisoria in dispositivi di ampie dimensioni, ovvero in cui la luce deve percorrere grandi distanze all’interno del materiale attivo».



Succede quindi che in concentratori a base di cromofori tradizionali, la luce emessa da una molecola o nanoparticella viene ‘intercettata’, ovvero riassorbita, da un altro cromoforo prima di raggiungere il bordo della lastra, e di conseguenza la sua intensità convertibile dalle celle fotovoltaiche poste lungo il perimetro crolla terribilmente.

«La nostra strategia per superare questo limite è stato ingegnerizzare delle speciali nanoparticelle a semiconduttore in modo da renderle incapaci di riassorbire la propria luminescenza. Per fare ciò, abbiamo, in collaborazione col il gruppo guidato da Victor Klimov al Los Alamos National Laboratory in Nuovo Mexico, realizzato delle nanoparticelle composte da un piccolo cristallo di dimensioni di un milionesimo di millimetro ricoperto da una particella più grande, analogamente a come un nocciolo è ricoperto da uno spesso guscio (da cui il nome tecnico di nanocristalli core-shell). In questi speciali sistemi, il guscio, che ha un volume cento volte superiore a quello del nocciolo, è responsabile dell’assorbimento della luce solare, mentre il nocciolo dell’emissione. Caratteristica fondamentale, il guscio è completamente trasparente alla luce emessa dal nocciolo (che ha gap energetico più piccolo) e quindi può propagare nel concentratore raggiungendo i bordi indisturbata».

In questo modo è quindi possibile realizzare dispositivi di grandi dimensioni applicabili a contesti reali come vetrate di palazzi, finestre, serre, padiglioni fieristici e ricoperture in genere, rendendo questi elementi architettonici, tipicamente passivi, delle sorgenti di energia rinnovabile. Ma non si tratta solo di un’ipotesi. Il contributo più importante dello studio dei nanotecnologi della Bicocca e di Los Alamos è la dimostrazione pratica che questi sistemi sono pronti per lo scale up industriale. «Fino ad ora infatti, a causa del riassorbimento, si erano effettivamente prodotti solo dispositivi di pochi millimetri di dimensioni. La capacità invece di fabbricare LSC efficienti di grandi dimensioni apre enormi orizzonti sia industriali che architettonici, ridefinendo di fatto il concetto di finestra, che diventa ora un elemento energeticamente attivo.

Un ulteriore aspetto di rilievo del nostro studio è che il nostro prototipo è stato prodotto con una variante della procedura industriale per la sintesi del plexiglass. Una modificazione di fatto minima, e quindi immediatamente implementabile per la realizzazione di lastre industriali arricchite con nanoparticelle attive senza aggiunte di costo. Di conseguenza, con i necessari investimenti e coinvolgimento industriale, ci aspettiamo che questa tecnologia possa raggiungere il mercato reale in tempi brevi».

In questa direzione, il gruppo di Brovelli e Meinardi si sta ora occupando di realizzare concentratori di colore e grado di trasparenza controllato. «Sono aspetti importantissimi per questa tecnologia in quanto non solo ne determinano l’efficienza (intuitivamente, maggiore è la trasparenza minore è la luce trattenuta e quindi l’energia elettrica prodotta) ma anche la destinazione d’uso. Immaginiamo, per esempio, vetrate colorate rivestire edifici come musei o aeroporti, mentre lastre neutre in tonalità di grigio adattarsi meglio ad ambienti di lavoro o abitativi. Insomma, i gradi di libertà forniti da questo tipo di dispositivi sono molteplici e li rendono adatti ad altrettanti mercati».

Schema di funzionamento del nuovo sistema di nanoparticelle luminescenti