Tra i tanti aspetti sorprendenti dell’insegnamento di Giovanni Paolo II, ha colpito tutti il suo affronto deciso e propositivo del tema dei rapporti tra la scienza e l’esperienza religiosa. La sequenza temporale degli interventi sull’argomento del papa polacco è già un elemento significativo.
A due mesi dall’elezione, nell’udienza del mercoledì (6 dicembre 1978), aveva toccato il tema – sul quale sarebbe tornato più volte – delle ricerche sull’origine dell’universo e sulla originalità dell’uomo, dichiarando grande rispetto per le diverse teorie ma segnalando la loro insufficienza a dar conto nella sua integralità di un fenomeno come quello umano.
Qualche mese dopo usciva quel formidabile documento che è l’enciclica Redemptor Hominis, che in numerosi passi offre elementi per una realistica valutazione di quella che possiamo chiamare tecnoscienza e invita tutti all’assunzione di più precise responsabilità: «Lo sviluppo della tecnica e lo sviluppo della civiltà del nostro tempo, che è contrassegnato dal dominio della tecnica stessa, esigono un proporzionale sviluppo della morale e dell’etica. Invece quest’ultimo sembra, purtroppo, rimanere sempre arretrato».
Nel 1979 papa Wojtyla non si lasciava sfuggire l’occasione del centenario della nascita di Einstein, intervenendo nel merito dapprima al convegno “Sul problema del cosmo” promosso dall’Istituto dell’Enciclopedia Italiana” e poi, in novembre, alla seduta plenaria della Pontificia Accademia delle Scienze. In entrambi i casi aveva messo in risalto, richiamandosi alla posizione culturale del padre della teoria della relatività, alcuni fattori che sono alla radice di un autentico atteggiamento scientifico: «La vostra scienza è per l’uomo una via maestra alla meraviglia … La ragione scientifica dopo un lungo cammino ci fa quindi riscoprire le cose con meraviglia nuova; ci induce a riproporre con rinnovata intensità alcune delle grandi domande dell’uomo di sempre … ci porta a misurarci ancora una volta sulle frontiere del mistero, quel mistero di cui Einstein ha detto che è “il sentimento fondamentale, che sta accanto alla culla della vera arte e della vera scienza” e, aggiungiamo noi, della vera metafisica e della vera religione».
L’intervento alla Accademia ha segnato un punto fondamentale nella storia dei rapporti tra la scienza e la Chiesa.
In un contesto che vedeva presenti tutti i più grandi scienziati del mondo, di ogni credo religioso e non, sotto i riflettori degli osservatori internazionali, il Papa accostava la commemorazione di Einstein al ricordo di Galileo e si guadagnava le prime pagine dei giornali annunciando l’iniziativa del riesame del celebre “caso”: «auspico che teologi, scienziati e storici, animati da uno spirito di sincera collaborazione, approfondiscano l’esame del caso Galileo e, nel leale riconoscimento dei torti, da qualunque parte provengano, rimuovano le diffidenze che quel caso tuttora frappone, nella mente di molti, alla fruttuosa concordia tra scienza e fede, tra Chiesa e mondo».
L’anno seguente, oltre ad alcuni discorsi in occasioni particolari, vanno segnalati due interventi, anche per l’eco che hanno suscitato: quello all’Unesco, in giugno, col pressante appello «la causa dell’uomo sarà servita se la scienza si alleerà alla coscienza»; e quello, in dicembre, per l’udienza a un gruppo di scienziati vincitori di premi Nobel. In questa circostanza, dopo aver ribadito che «se la distinzione fra gli ordini di conoscenza è rispettata e se sia la scienza che la fede procedono la loro ricerca senza dimenticare i principi metodologici che rispettivamente le caratterizzano, non c’è pericolo che raggiungano risultati contraddittori», Giovanni Paolo II affermava con forza che il problema oggi non è più l’opposizione fra scienza e fede: «Una nuova era è cominciata: gli sforzi dei teologi e degli scienziati devono ora mirare allo sviluppo di un dialogo costruttivo, rendendo possibile l’esame sempre più profondo dell’affascinante mistero che è l’uomo». Il momento culminante tuttavia di questa serie di riflessioni e pronunciamenti sulle questioni scientifiche è stato, sempre in quel 1980, il discorso rivolto il 15 novembre a scienziati e studenti convenuti nella Cattedrale di Colonia, nel ricordo di sant’Alberto Magno, patrono degli scienziati, che nella città tedesca aveva esercitato la sua molteplice attività di predicatore, Vescovo e scienziato. Quel discorso è importante almeno per tre motivi.
È la sintesi di una serie di contenuti che il pontefice svilupperà in seguito in numerose e diverse occasioni, anche in luoghi particolari (come al Cern di Ginevra, visitato nel 1982) o su temi specifici (parlerà dell’ambiente, del quale dovremmo essere “custodi intelligenti e nobili”; o dell’evoluzione, invitando a non considerarla più come “una mera ipotesi”).
Una sintesi, quella di Colonia, centrata sull’idea della scienza come “ricerca della verità”, che procede con una adeguata metodologia, rispettando la distinzione dei diversi ordini di conoscenza e riconoscendo di non essere in grado da sola “di dare una risposta completa al problema dei significati, da cui è posta in crisi”.
In secondo luogo, il discorso contiene una indicazione chiara per gli scienziati credenti a seguire l’esempio di “intellettualità cristiana” di Alberto: non per sviluppare “una scienza cristiana”, ma piuttosto per costruire un soggetto cristiano maturo che operi nella scienza senza dualismi, con libertà, senza “temere la perdita di un orientamento unitario”.
Infine, nella parte conclusiva del discorso, emerge tutta la carica culturale e missionaria del pontificato di Giovanni Paolo II, che ribalta completamente la posizione anche di molta intellighenzia cattolica proponendo anche su questi temi una Chiesa, cioè un’esperienza personale, non più arroccata in una timorosa difensiva ma decisamente all’attacco, in modo sfidante ed esaltante: «Oggi è la Chiesa che prende le difese: – della ragione e della scienza, riconoscendole la capacità di raggiungere la verità, il che appunto la legittima quale attuazione dell’umano; – della libertà della scienza, per cui questa possiede la sua dignità di un bene umano e personale; – del progresso a servizio di una umanità, che ne abbisogna per la sicurezza della sua vita e della sua dignità».