Cent’anni fa moriva tragicamente tra le fiamme, all’età di 64 anni, don Giuseppe Mercalli. Quel fuoco, che aveva tante volte affrontato a viso aperto, con coraggio e sicurezza, presso i crateri dei vulcani, l’aveva colpito a tradimento nel sonno nella sua abitazione di Napoli: un piccolo appartamento, al quinto piano, che per vent’anni era stato specola, museo, biblioteca e laboratorio.
Il nome di Mercalli è ben noto per la celebre Scala dei terremoti, ma la sua attività scientifica (come racconta uno degli autori di questo articolo, Adriano Gelmini, in un più ampio saggio in “Scienza e fede – I protagonisti”, DeAgostini 1989) è stata di grande rilievo non solo in sismologia ma in generale nella geologia e soprattutto nella vulcanologia. E questa attività è stata vissuta – anche questo è poco noto – in profonda unità con l’esperienza religiosa, come sacerdote rosminiano, consacrato a Milano nel 1872, molti anni prima di ottenere la libera docenza in Sismologia e Vulcanologia.
Aveva avuto grandi maestri, in particolare il celebre abate Antonio Stoppani, l’autore de Il Bel Paese, che l’aveva indirizzato agli studi geofisici, aveva guidato i suoi primi passi nella ricerca e l’aveva fatto accogliere, ancora studente del Politecnico, come socio della Società Italiana di Scienze Naturali. Da Stoppani era stato coinvolto nel 1878 nella redazione del terzo volume della collana “Geologia d’Italia” che la casa editrice Vallardi aveva iniziato a pubblicare: il volume era quello dedicato ai vulcani e ai fenomeni a essi collegati. È stata questa la circostanza che ha deciso il suo orientamento verso la Vulcanologia; da allora, con l’entusiasmo del missionario e la tenacia del pioniere ha condotto un’intensa attività di osservazione percorrendo chilometri e chilometri, facendo osservazioni minute e scrupolose, confrontando i suoi dati con quelli di altri, proponendo con prudenza opinioni e ipotesi.
Salì sul Vesuvio per la prima volta il 24 settembre 1878: non si accontentò di guardare, esaminare, toccare, ma approfittando dei densi vapori del vulcano che il vento spingeva verso il nord-est, non ebbe paura di calarsi dentro il cratere, di scendere le pareti scoscese del vulcano dalla parte opposta, per controllare più da vicino il fenomeno. In precedenza, sempre su consiglio dello Stoppani, aveva visitato l’enorme cratere di Bolsena; aveva percorso quell’immensa distesa di cenere, lapilli e scorie che formano la campagna romana. Dal 1878 al 1891 si recherà più volte alle isole Eolie per studiare meglio il monte Vulcano e lo Stromboli, per osservarne da vicino il comportamento e confrontarlo con quello dei tempi passati; arrivando a conclusioni sicure sulla natura delle eruzioni dello Stromboli e correggendo errori in cui erano caduti precedenti osservatori.
Nel 1892 ecco l’approdo di Mercalli a Napoli, dove divenne il cronista della vita del vulcano, fissando i momenti più interessanti su lastre fotografiche e pubblicando con precisione e puntualità le osservazioni fatte. Cercò di migliorare le strutture dell’Osservatorio, di adeguarle alle necessità dei tempi. La camera di via della Sapienza gli serviva anche da l’osservatorio sismico e “il miglior apparecchio da laboratorio era proprio lui, la sua persona, la sua sensibilità”, il suo grande intuito quasi “telepatico”. Di lassù avverti il terremoto che nel 1908 scosse la Calabria e la Sicilia, e quello del 1910 di Calitrì, di cui seppe rilevare intensità e provenienza. Nel 1911 finalmente la tanto attesa nomina a Direttore dell’Osservatorio vesuviano, considerato all’epoca come l’Osservatorio più prestigioso d’Europa.
Il meglio del suo instancabile lavoro è raccolto e sistemato nel volume: I vulcani e i fenomeni vulcanici in Italia, che contiene un importante apporto di notizie sulla storia del vulcanesimo e un “quasi nuovo” contributo sui fenomeni sismici. Nel volume si trova anche un ampio e aggiornato catalogo dei terremoti d’Italia, dei quali molti erano scarsamente conosciuti o addirittura ignorati dai sismologi del tempo. Vi è inoltre il primo esempio di “carta sismica d’Italia”, punto obbligato di riferimento o di partenza, per tutte quelle che saranno compilate in seguito. Una curiosità: alla compilazione del libro – in particolare al capitolo XI, quello del catalogo dei terremoti italiani – aveva collaborato anche il futuro Papa Pio XI, allora semplice religioso e bibliotecario a Desio.
Poi c’è l’esperto di terremoti: se è straordinario il contributo portato da Mercalli nella vulcanologia, la sua fama però è più legata ai terremoti, per via della classificazione che porta il suo nome. Ma la sua importanza come sismologo, come si è già visto, va oltre la scala Mercalli: il suo interesse non si limitò ai terremoti italiani, ma si estese anche a quelli esteri, come quelli che colpirono la Spagna e l’Etiopia; e la teoria degli epicentri, insieme con quella degli ipocentri, da lui sostenuta quasi da solo, oggi è accettata da tutti.
C’è da aggiungere che il suo ricordo, oltre alla “Scala”, ci viene anche conservato da un minerale, la mercallite (prodotta dell’attività fumarolica del Vesuvio e costituita da solfato acido di potassio). La sua eredità, oltre ai numerosi libri, articoli e rapporti di ricerca, ha anche dei componenti “materiali”, ben visibili nei copiosi reperti raccolti nel corso delle sue osservazioni: erano tanti da poterne fare un museo, ma ne ha sempre regalati alle varie scuole in cui insegnava e ai musei. Al Museo Civico di Storia Naturale di Milano, ad esempio, ha donato molti fossili tra i quali 23 nuove specie e due varietà plioceniche da lui scoperte nel territorio di Viterbo. Come pure una piccola bomba del Vesuvio che, nell’esplosione del 1900, gli era caduta addosso rovente bruciandogli il vestito.
Resta anche il ricordo di momenti difficili, di sospetti, critiche e persino diffide da parte di ambienti tradizionalisti. Il motivo erano le sue aperture all’evoluzionismo: per lui la teoria dell’evoluzione non era quella bestia nera che altri cattolici, meno preparati, demonizzavano. Alla pubblicazione di un opuscolo del gesuita Padre Bosisio, dove nella lettura dell’opera dei “sei giorni della Bibbia e del diluvio” si esigeva dai “buoni cristiani” un’adesione “letterale”, Mercalli replicava con un pamphlet nel quale sosteneva che la fede è un “rationabile osbequium” e richiamava l’incauto Padre a non voler abusare “scioccamente” degli antichi testi, per opporsi ai “trovati moderni” della scienza umana, come già avvertiva Sant’Agostino.