La Geografia, emblema di saperi antichissimi e – come ricorda Franco Farinelli – “forma archetipa del sapere occidentale, matrice di ogni nostro modello di pensiero, serbatoio di quel che resta delle conoscenze dei sapienti greci”, soffre di un grave handicap: sembrerebbe, infatti, sconosciuta ai più, se non (ancora peggio) distorta e falsata. Molti segnali conducono a questa scoraggiante costatazione, almeno per coloro che alle potenzialità scientifiche e didattiche della Geografia profondamente credono. I più tangibili segnali si vedono nel mondo dell’educazione e della scuola.



Va subito precisato che con la locuzione “geografia sconosciuta” non s’intende l’ignoranza geografica, pure molto grave ed evidente a tutte le età e a tutti i livelli sociali, che comporta la formazione di mappe mentali assai labili e povere di informazioni. Grandi catene montuose, lunghissimi fiumi, metropoli con milioni di abitanti, Stati di grandi dimensioni non si sa come collocarli spazialmente; peraltro quest’ignoranza non riguarda soltanto aree geografiche lontane, ma molto spesso il proprio Paese. Un autorevole studioso come Luca Serianni, storico della lingua italiana, a proposito di questa concezione deformata su “cosa sia” la Geografia osserva: “Per molte persone, anche cólte, la geografia che si studia a scuola è poco più che una lista di dati: capitali di Stati, fiumi e monti di un continente, produzione economica di questa o quella area del mondo. Gli insegnanti della materia sanno bene che le cose non stanno così”.



Fatta questa puntualizzazione, le incomprensioni, cui si faceva riferimento, riguardano soprattutto l’essenza stessa della Geografia, il suo statuto disciplinare che si presenta debole se non incerto, mancando di un oggetto preciso. Anzi, i suoi oggetti di studio finirebbero per essere i citati monti, fiumi, città… nei loro lunghi elenchi e classificazioni: il ben noto nozionismo ed enciclopedismo geografico, che così poco appassiona e danneggia l’immagine della disciplina. 

La Geografia in realtà spazia su un’ampia gamma di conoscenze disciplinari, relative – ma soltanto per fare alcuni esempi – alla geomorfologia, alla climatologia, all’ecologia, alla demografia, all’antropologia culturale, all’economia. La Geografia ha, infatti, un campo di azione vastissimo, con competenze tanto diversificate da impedire a chiunque il loro possesso completo. Al geografo, quindi, non si richiede di essere un tuttologo (e del resto sarebbe impossibile), ovvero di possedere conoscenze di tante discipline, perché la Geografia non consiste in una somma di tanti addendi, ciascuno dei quali rappresenta una conoscenza specialistica e chiaramente definita. 



La Geografia, al contrario, è una scienza in grado di collegare, mettere in relazione conoscenze, anche di ambiti scientifici molto diversi, traendone letture e interpretazioni relative alla vita delle società nel pianeta, giacché il territorio è costituito non da elementi isolati, ma è sistema di relazioni, risultato di una serie di processi fisici, culturali e socio-economici. Tutto questo è ben noto ai geografi e ai pedagogisti più attenti. E non da oggi; basti pensare alle parole del filosofo e pedagogista statunitense John Dewey, agli inizi del Novecento, tuttora illuminanti: “Quando i legami sono spezzati, la geografia assume l’aspetto di quella mescolanza di frammenti isolati che troppo spesso vediamo. Sembra un vero sacco di straccio riempito di cianfrusaglie intellettuali. L’altezza di una montagna qua, il corso di un fiume là, la quantità di tegoli prodotti da una determinata città, il tonnellaggio di un naviglio in un’altra, i confini di una regione, la capitale di uno Stato”.

Non isolate nozioni, quindi, fornisce la Geografia, ma “elementi chiave essenziali, necessari per conoscere e comprendere il mondo”, come recita la Dichiarazione di Roma sull’educazione geografica in Europa, siglata il 5 settembre 2013 da: Associazione Italiana Insegnanti di Geografia, Association of Geographical Societies in EuropeEducation Commission of the International Geographic UnionEuropean Association of Geographers. Con la globalizzazione il mondo si è aperto, rendendo sempre più strategico per il futuro il sapere geografico. 

Eppure la Geografia non riesce a trovare la sua giusta posizione. Come prima rilevato, il mondo della scuola ne costituisce una chiara testimonianza; il riferimento va in particolare alla recente riforma Gelmini della secondaria di II grado, che ha provocato l’assenza della disciplina in tutti gli Istituti Professionali (in gran parte dei quali prima presente, come in quelli Per i servizi commerciali e turistici e Per i servizi alberghieri e della ristorazione) e in quasi tutti quelli Tecnici, nonché il ridimensionamento nel biennio dei Licei. La penalizzazione fortissima non trova giustificazione neppure nell’ottica del risparmio, che ha prodotto una riduzione complessiva del monte-ore, pesando così in maniera negativa su tutto il nuovo assetto.

L’eliminazione della disciplina in alcuni indirizzi per i Tecnici, dove aveva consolidate tradizioni, è incomprensibile: è il caso di Logistica e Trasporti, quando nel precedente Nautico rivestiva un ruolo indispensabile nella formazione di specifiche professionalità. Anche in indirizzi impostati sull’ambiente e il territorio (cfr. Agricoltura e sviluppo rurale e Costruzioni, ambiente e territorio) manca la Geografia, che questi concetti analizza e approfondisce. Quando, poi, è presente, subisce (ad eccezione dell’indirizzo turistico) un ridimensionamento pesante: come Amministrazione, Finanze e Marketing, dove è attivata solo nel primo biennio. 

Nel biennio liceale la Geografia è associata alla Storia (insieme tre ore settimanali); il ridimensionamento incide su una disciplina già ridotta ai minimi termini (due ore, e soltanto nel biennio). Tra queste due materie, poi, non vi è una reale integrazione (come in Francia) nella formazione accademica dei docenti. Un insegnante di materie letterarie tende a preferire, perciò, Italiano e Storia a scapito della Geografia, ridotta spesso a un’ora. La pratica didattica diviene ancora più punitiva delle stesse Indicazioni Nazionali dettate dalla riforma.

Val la pena ricordare come la pesante penalizzazione imposta dalla riforma abbia suscitato reazioni forti, prodotte in primo luogo dall’Associazione Italiana Insegnanti di Geografia (AIIG) con un lancio di un appello, sottoscritto da oltre trentamila persone.

In tale contesto il Ministro Carrozza (D.L. 12.10.2013, n. 104 convertito con L. 8.11.2013 n.128) ha recuperato, seppure in piccolissima parte, le consistenti perdite di orario, decidendo di valorizzare l’insegnamento dellaGeografia generale ed economica con l’assegnazione di un’ora negli Istituti Tecnici e Professionali (al primo o al secondo anno). Un’ora aggiuntiva è piccolissima cosa e comporta alcuni problemi organizzativi per il docente e per il dirigente scolastico, ma certamente è motivo di soddisfazione il fatto che sia stato dato un segnale, seppure simbolico, di riconoscimento del valore formativo e professionale della disciplina. 

Il rischio che quest’ora vada dispersa può essere evitato soltanto con l’assegnazione dell’insegnamento a docenti specialisti della disciplina. La recente nota del MIUR (1-4-2014 n. 3119) va in questa direzione, pur se non risolve i gravi e annosi problemi legati all’atipicità della classe di concorso Geografia (A039), che meriterebbero un approfondimento. È, comunque, inconcepibile che la disciplina sia insegnata da docenti del tutto privi, nella loro formazione universitaria, di esami di Geografia o di Geografia economica oppure da docenti con uncurriculum accademico in cui la disciplina sia del tutto marginale. Un’attenta revisione delle classi di concorso (attesa ormai da molti anni) potrebbe evitare tante incongruenze attualmente esistenti.