Ci vorrebbe Esiodo per raccontare l’Expo 2015 e tutta la varietà, la ricchezza e la problematicità dell’attività agricola in un periodo di alta tecnologia come il nostro. Le sue osservazioni di quasi tremila anni fa, sono state per secoli fonte di suggerimenti e di preziose indicazioni per il mondo contadino e comunque sono ancora interessanti; come è emerso nel racconto che ne ha fatto l’altro ieri Elio Antonello, astronomo dell’INAF Osservatorio Astronomico di Brera, esperto di archeoastronomia, parlando all’Istituto Lombardo Accademia di Scienze e lettere di Milano. «Gli antenati devono aver capito – ha detto Antonello a Ilsussidiario.net – fin dal Neolitico, quando si è sviluppata l’agricoltura, che i raccolti erano migliori se le attività avvenivano in precisi momenti dell’anno. E avevano cercato di fissarli prendendo dei riferimenti in cielo: per esempio, il sorgere e il tramontare di stelle. La prima testimonianza scritta in proposito è proprio di Esiodo».



Il grande poeta greco, vissuto nell’ottavo secolo a.C., era originario della Beozia, precisamente di Ascra, località presso il Monte Elicona, una delle sedi delle Muse (insieme al Parnaso), dove aveva dei terreni agricoli ereditati insieme al fratello Perse; quest’ultimo però, aveva sperperato la sua parte e stava cercando di impossessarsi di quella di Esiodo ricorrendo ai giudici e corrompendoli. Nel poema Le opere e i giorni, Esiodo si rivolge a Perse raccontandogli gli antichi miti sull’importanza della giustizia e ricordandogli la necessità del duro lavoro necessario per far fruttare i terreni. Così spiega l’attività da svolgere durante l’anno e ci permette di farci un’idea dei lavoro agricolo di tremila anni fa e, in particolare, di capire l’importanza assunta dall’osservazione del cielo; «facendoci anche render conto di come, per migliaia e migliaia di anni, i ritmi e le tecniche usati in agricoltura siano rimasti sostanzialmente invariati».



Antonello ha ricostruito, anche con l’ausilio di software astronomici oggi disponibili, il cielo della Beozia del tempo di Esiodo e può meglio decifrare le indicazioni del poeta. L’anno agricolo inizia in autunno, quando la stella brillante Sirio riempie la maggior parte della notte. È il momento di tagliare la legna e di prepararsi all’aratura: «c’era un segnale astronomico ad indicare il momento per iniziare ad arare: era il tramonto delle costellazioni del Toro, con le Pleiadi, e di Orione, la mattina, verso metà novembre. E l’avvertimento di Esiodo è perentorio: “non aspettare la fine di dicembre per arare, altrimenti raccoglierai poco o niente!”».



Interessante è anche la ricostruzione del modo con cui veniva calcolata la data del solstizio invernale: si osservava lo spostarsi del punto in cui sorgeva il Sole e dove questo spostamento invertiva la direzione – Esiodo lo chiama “il volger del Sole” – veniva posto un menhir; da lì si iniziava a contare i giorni dell’anno: ad esempio, contavano i 60 giorni per arrivare alla sera in cui la stella Arturo sorge proprio nel momento in cui tramonta il Sole. Siamo verso la fine di febbraio, quando il clima comincia a migliorare e si riprende il lavoro nei campi.

Ci sono passaggi nella narrazione di Esiodo che solo un astronomo può spiegare adeguatamente. Come quello relativo alle Pleiadi che “ad aprile inoltrato stanno per tornare e la chiocciola le fugge salendo sui tronchi”. Come mai le Pleiadi stavano tornando? «Le Pleiadi erano tramontate, insieme al Sole, alla fine di marzo; cioè, alla sera si erano viste per un momento subito dopo il tramonto dei Sole. Nelle sere successive non si vedevano più, perché ormai troppo vicine al Sole. Come dice Esiodo, stavano così nascoste, vicino al Sole, per quaranta giorni e quaranta notti; in effetti, i calcoli astronomici confermano questo dato per la Beozia all’epoca dei poeta. Le Pleiadi sarebbero allora riapparse verso maggio».

Oppure c’è la questione della data della pigiatura dell’uva. A settembre “quando Orione e Sirio sono giunti a mezzo cielo e Arturo può essere visto da Aurora dalle dita rosa, allora tutti i grappoli cogli e portali a casa … tieni i grappoli al Sole per dieci giorni e dieci notti; per cinque conservali all’ombra, al sesto versa nei vasi i doni di Dioniso giocondo”. «Per fare un vino normale – osserva Antonello – una volta vendemmiata, l’uva deve essere pigiata subito. Per un vino un po’ liquoroso la si tiene al Sole: oggi, ad esempio, per il Passito di Pantelleria i grappoli si tengono 30 giorni al Sole; per il Vin Santo, in Toscana, il periodo minimo di appassimento è 20 giorni. Quindi dobbiamo dedurre che quello di Esiodo era un vino un po’ liquoroso».

Infine c’è il caso di Spica, la stella più brillante della costellazione della Vergine, oggi ben visibile alle nostre latitudini. Spica in latino vuol dire appunto spiga: ma perché chiamare spiga in modo specifico proprio questa stella? Oggi la levata di Spica col Sole è all’inizio di novembre e la stella è visibile da novembre fino al settembre dell’anno successivo. Nel periodo di una cinquantina di giorni tra settembre e novembre non è visibile perché il Sole le sta passando vicino. 

Ma perché questa stella si chiama Spiga? Tramonto a settembre e levata a novembre: non c’entra con la mietitura. C’entra forse l’aratura? Al tempo dei Sumeri in Mesopotamia, 4000 anni fa, veniva già indicata come Spica, era la spiga d’orzo della Dea Shala. Però, parte della costellazione allora era indicata come solco dell’aratro; ciò ha senso se si pensa all’aratura autunnale, e la spiga avrebbe un significato tutt’al più simbolico. «Ma francamente a me non sembra giustificabile solo come simbolo; deve avere un significato più concreto».

Riconsideriamo le Pleiadi e la mietitura. Le varietà d’orzo nell’antichità, quando erano mature, avevano le spighe piuttosto fragili e i grani cadevano facilmente per terra e si perdevano. Per evitare questo inconveniente avevano capito che bisognava mietere molto in anticipo rispetto alla maturazione e lasciare seccare il grano. «A noi oggi sembra strana la distanza temporale tra mietitura e trebbiatura, perché siamo abituati a vedere le mietitrebbie che tagliano e separano subito il grano. Ma una volta era ben diverso. Esiodo ci dice che per trebbiare si aspettava una quarantina di giorni dopo la mietitura, fino alla levata di Orione. Un’altra conferma della separazione temporale tra mietitura e trebbiatura è data dalla tradizione ebraica: gli ebrei coltivavano l’orzo e il frumento; se ne parla nel libro di Rut».

Quanto alle Pleiadi, la domanda è se e quando in Beozia avrebbero potuto usare Spica al loro posto. Nel IX millennio a.C. in Beozia avrebbero potuto usare benissimo Spica come calendario sia per la mietitura sia la trebbiatura. Si potrebbe conclude che questa è l’origine del nome di questa stella. Gli archeologi trovano infatti in questo periodo la transizione da specie selvatiche a specie domestiche di grano. «Peccato, però che nel IX millennio a.C. in Beozia non c’era ancora il Neolitico con la sua agricoltura; c’erano solo i cacciatori raccoglitori. Ma attenzione. Le date delle levate e dei tramonti eliaci (cioè col Sole, elios) sono le stesse alla stessa latitudine, sullo stesso parallelo (tranne qualche ora di differenza). In prima approssimazione anche il clima dipende dalla latitudine, cioè è lo stesso per una stessa latitudine; in realtà, esso dipende anche da altri fattori, dall’orografia, dal mare ecc. Però, in prima approssimazione, diciamo che il clima e le date eliache sono uguali sullo stesso parallelo. Quindi in prima approssimazione si potrebbe supporre che le attività agricole, legate alle stagioni, avvengano nello stesso periodo a parità di latitudine. Allora se Spica poteva andare bene in Beozia, poteva probabilmente andare bene anche nell’Anatolia meridionale».

La conclusione di Antonello è convincente: «Guarda caso, questa regione fa parte di quella che gli archeologi chiamano mezzaluna fertile, dove è nata l’agricoltura. Quando? Gli archeologi hanno trovato nei resti di villaggi Neolitici dei chicchi di grano, quelli selvatici e poi progressivamente quelli domestici, risalenti proprio alla seconda metà dei IX millennio. Non c’era ancora una vera agricoltura: gli uomini la stavano imparando, e forse la stella Spica è stata utile proprio come calendario».