Nel 2006 era stato lui a scoprire l’ammasso (cluster) di galassie classificato come JKCS 041 che oggi balza in primo piano nella cronache scientifiche: è Stefano Andreon, astronomo dell’INAF – Osservatorio Astronomico di Brera, che è primo firmatario di un articolo pubblicato sulla rivista Astronomy & Astrophysics. Allo stesso ammasso JKCS 041 è dedicato un articolo su The Astrophysical Journal, redatto dal team guidato da Andrew Newman alla Carnegie Institution for Science. La novità di queste ricerche è che hanno portato alla misura precisa della distanza di un oggetto tra i più lontani nell’universo; anche se il termine “oggetto” non rende proprio l’idea, trattandosi di un gruppo di galassie ciascuna delle quali è composta da un centinaio di miliardi di stelle, in buona parte circondate da un corteo di pianeti e altri corpi celesti. Ilsussidiario.net ha incontrato Andreon per conoscere meglio i risultati conseguiti dai due gruppi.   



Le vostre sono state due ricerche indipendenti o coordinate?

Quelli resi noti in questi giorni sono i risultati di un progetto dedicato all’osservazione dell’ammasso JKCS 041: i dati erano molti e quindi si è deciso di dividere tra i due gruppi, quello statunitense e il nostro, la pubblicazione dei risultati; e così sono usciti due articoli sullo stesso oggetto. Il lavoro in realtà è iniziato sette anni fa, dopo che l’ammasso è stato individuato da noi; successivamente c’è stata la conferma grazie alle osservazioni del telescopio spaziale “Chandra”, che misura in raggi X, con i dati pubblicati nel 2009 e la prova della presenza di gas caldo a 80 milioni di gradi. Dal 2009 a oggi abbiamo tentato, senza successo, di misurare la distanza precisa dell’ammasso usando anche telescopi da terra: in particolare il VLT (Very Large Telescope) e il LBT (Large Binocular Telescope, le cui misure sono ancora in corso); poi siamo passati alle osservazioni spettroscopiche telescopio spaziale Hubble.



E Hubble cosa vi ha permesso di misurare?

Col telescopio Hubble abbiamo potuto misurare la distanza di ogni singola galassia che c’è lungo la linea di visione dell’ammasso; ciò è stato fondamentale per capire quali galassie appartengono all’ammasso e quali sono solo nello spazio interposto tra noi e l’ammasso. È un po’ come se lei volesse osservare da lontano un gruppo di persone: se tra lei e loro ci sono altre persone, non riuscirà a distinguere bene quali sono quelle del gruppo e quali sono in mezzo. Quindi un grosso lavoro è stato quello di individuare ogni singola galassia dell’ammasso e per far questo l’unico strumento che si è rivelato adeguato è stato Hubble.



Qual è quindi la distanza precisa di JKCS 041 secondo i vostri calcoli?

Le distanze a questi livelli si misurano calcolando il cosiddetto red shift, cioè lo spostamento verso il rosso dello spettro della luce emessa, indicato con la lettera zeta. Abbiamo misurato z=1.803, cioè una distanza corrispondente a un momento critico nella storia della formazione delle galassie: quando, circa 10 miliardi di anni fa, in ambienti ancora poco affollati le galassie stavano crescendo in dimensioni a un ritmo a dir poco tumultuoso.

 

Questo è l’ammasso più lontano o ce ne sono ancor più distanti?

Credo che sia l’ammasso più lontano che si conosca e abbiamo indicazioni chiare che si tratta proprio di un ammasso, riconoscibile dal tipo di emissioni. Ci sono indizi di altri oggetti più lontani ma non abbiamo dati sufficienti per dire se si tratta di strutture già nello stadio di ammasso o ancora in stadi evolutivi precedenti. 

 

Oltre alla misura della distanza, quali altri risultati avete ottenuto?

Abbiamo potuto individuare le singole galassie dell’ammasso e studiare le loro caratteristiche. Sorprrendente è stata la scoperta che le dimensioni delle galassie  a questo stadio, cioè 10 miliardi di anni fa, sono molto simili a quelle delle galassie osservate nell’universo locale che quindi sono vecchie di 13 miliardi di anni; ciò significa che negli ultimi 10 miliardi di anni le galassie non sono cresciute in dimensioni.

 

Di che dimensioni stiamo parlando?

Usando l’unità di misura più adatta per oggetti come le galassie, cioè il chiloparsec (kpc, 1  kpc=3261 anni luce), parliamo di dimensioni galattiche tra uno e qualche kpc. Per fare un raffronto, il nostro Sole, e noi con lui, siamo a 8 kpc dal centro della Via Lattea. Quindi abbiamo riconosciuto nell’ammasso JKCS 041 molti oggetti decisamente più piccoli della nostra galassie e qualcuno un po’ più grande.

 

Sono galassie di che tipo?

Sono galassie ellittico lenticolari, che in pratica non formano nuove stelle e rimangono con la loro dotazione di stelle acquisita; quindi sono già “vecchie”, hanno circa 1,5 miliardi di anni in un’epoca in cui l’universo ha tre miliardi di anni. La cosa sorprendente è che così le galassie di JKCS 041 evolveranno in modo da arrivare lentamente ad assomigliare in modo incredibile a quelle di altri ammassi dell’universo vicino, come ad esempio l’ammasso Coma, che abbiamo già ben studiato.

 

Quali informazioni nuove si possono ricavare, da questi vostri studi, circa la storia e l’evoluzione delle galassie?

Possiamo dire che qualunque cosa succeda alla galassie, questo deve succedere nei primi tre miliardi della loro vita. Abbiamo visto ad esempio che le galassie della zona centrale dell’ammasso sono quasi tutte galassie quiescenti, cioè che hanno smesso di generare nuove stelle, così come avviene nell’ammasso Coma; e sempre come in questo ammasso, le dimensioni delle galassie sono proprio quelle adeguate alla loro massa; e ancora, sono quasi tutte coetanee. Ciò non fa che ribadire quanto già accennato e cioè che gli eventi fondamentali per la vita delle galassie accadono nei primissimi anni della storia cosmica. 

Quello che vediamo a z=1.8 (cioè 10 miliardi di anni fa) è sostanzialmente eguale a quello che vediamo a z=0 (cioè oggi): apparentemente sembra non succedere nulla di drammatico, a livello dell’ammasso, negli ultimi 10 miliardi di anni. Ovviamente si tratta di valutazioni medie, di tipo statistico; a qualche galassia possono capitare cose sconvolgenti, come entrare in collisione con altre, o ricevere apporto di nuovo materiale e così via; ma queste saranno eccezioni: la regola è piuttosto quella di una stabilità.

 

Queste vostre ricerche si possono considerare concluse o avete in programma altre indagini?

A me piacerebbe proseguire su due linee. La prima è poter allargare il campo di osservazione ad altri oggetti primordiali, visto che finora ne abbiamo analizzato solo uno e quindi non siamo in grado di trarre conclusioni generali. Il prossimo passo quindi sarà studiarne altri con lo stesso livello di dettaglio. Ciò presenta alcune difficoltà: anzitutto bisogna trovare un altro oggetto con questo red shift, ma come ho detto, non ce ne sono attualmente conosciuti. Poi bisogna trovare gli strumenti per poter fare uno studio altrettanto dettagliato, strumenti che consentano di ottenere dati di qualità tale da poter poi sviluppare analisi precise. 

 

E la seconda linea di ricerca?

Consiste nell’andare ancor più a fondo nello studio di JKCS 041. Ci piacerebbe molto fare un’indagine a raggi X più approfondita per poter studiare nel dettaglio le proprietà del gas inter-ammasso: gli ammassi sono pieni di un gas ad altissima temperatura e noi vorremmo studiarne le proprietà termodinamiche a livelli finora impossibili. Abbiamo già fatto richiesta, sempre al telescopio Chandra, di un tempo di osservazione adeguato allo scopo e vedremo se ci sarà accordato. Infine ci piacerebbe studiare il nostro cluster anche nelle onde radio, che danno importanti informazioni, ad esempio sul tasso di formazione stellare. Insomma, avendo a disposizione un oggetto primordiale come questo, posto ai limiti dell’universo osservabile, io vorrei scandagliarlo il più possibile, passarlo al setaccio in modo sempre più fine e puntuale; così come, quando ero studente di dottorato, ho potuto studiare l’ammasso Coma che invece è nell’universo vicinissimo.