Ne sentiremo senz’altro parlare nei prossimi mesi, in vista di Expo Milano 2015, quando il tema delle esigenze alimentari del Pianeta sarà sviluppato nei suoi molteplici risvolti: sentiremo parlare di sapori, di aromi e di gusti e probabilmente scopriremo aspetti e termini poco conosciuti anche in un’esperienza, come quella del gusto, che è così familiare e quotidiana. Si sono già avute anticipazioni di queste novità durante le iniziative pre-Expo tuttora in corso; in particolare, proprio sul tema dei sapori è stato offerto un gustoso “assaggio” durante uno degli eventi del ciclo “Aperitivo per Expo”, offerto dall’Università degli Studi di Milano e incentrato sui temi della prossima Esposizione Universale.
Quanti gusti conosciamo? Con questa domanda la professoressa Giovanna Speranza, del Dipartimento di Chimica dell’Università degli Studi di Milano, iniziando la conferenza organizzata dall’Istituto Lombardo Accademia di Scienze e Lettere, ha attirato l’attenzione dei partecipanti che sono rimasti ancor più stupiti nel sentire la risposta: i gusti sono cinque. La professoressa Speranza, riprendendo i contenuti di un articolo pubblicato nell’autunno scorso sulla rivista specializzata La Chimica e l’Industria, ha riassunto quello che da tempo le scienze alimentari e biochimiche hanno approfondito relativamente al nostro sistema gustativo.
È ormai accertato che tale sistema è in grado di distinguere cinque sapori: dolce, amaro, salato, acido o aspro e umami. Mentre i primi quattro sono noti a tutti e comunemente accettati, il quinto gusto, l’umami, è stato ufficialmente riconosciuto come tale solo a partire dal 2000, quando sono stati identificati nelle cellule gustative recettori specifici per il glutammato, che di questo gusto è la sostanza più rappresentativa. Ma, «se umami è una parola sconosciuta alla maggior parte dei consumatori, certamente non lo sono le peculiari sensazioni di sapidità tipiche degli alimenti ricchi di sostanze umami che da sempre fanno parte della nostra alimentazione quotidiana, ad esempio il pomodoro o il parmigiano reggiano».
Quindi, noi tutti consumatori abbiamo familiarità con il gusto umami ma non con il termine che lo descrive; che ha, come è immaginabile, un’origine storica. L’umami è stato scoperto più di un secolo fa, nel 1908, da Kikunae Ikeda, professore dell’Imperial University di Tokyo, che ha percepito un gusto mai identificato prima e distinto da qualsiasi combinazione degli altri quattro; lo ha individuato in alcuni tipici cibi giapponesi, in particolare nel brodo preparato con tonno essiccato (katsuobushi) e con alghe marine (kombu). Ikeda ha definito la nuova sensazione gustativa come il “quinto sapore” e lo ha chiamato umami, derivando il termine dalla parola giapponese umai che significa saporito.
Da buon scienziato, si è posto subito l’obiettivo di isolare le sostanze che ne erano responsabili e la prima sostanza identificata è stato il glutammato monosodico (MSG); a questa sono seguiti altri composti, come l’inosina-5’-monofosfato (IMP), individuata nel 1913 dal suo allievo Kodama; o come la guanosina-5’-monofosfato (GMP), evidenziata nel 1960 da un altro ricercatore nipponico.
I composti umami, e in particolare il MSG, sono dotati di un proprio gusto caratteristico «che di per sé – osserva Speranza – non è particolarmente piacevole e che peraltro poche persone conoscono». Tuttavia hanno una caratteristica che è alla base della loro importanza applicativa: anche al di sotto della soglia di percezione, senza quindi conferire al cibo un gusto specifico, sono in grado di potenziare gli effetti sensoriali (flavor) di altre componenti dell’alimento, con conseguente aumento dell’appetibilità e del gradimento del cibo stesso. Da qui la denominazione di “esaltatore (o potenziatore) di aroma” (flavor enhancer) attribuita all’MSG e ad altri composti dotati di analoghe proprietà organolettiche.
Prodotti particolarmente umami sono le carni, il prosciutto, il riccio di mare, lo sgombro, il tonno essiccato, le vongole. Nel latte materno il contenuto di MSG risulta fino a dieci volte superiore a quello del latte bovino Tra gli alimenti di origine vegetale, il contenuto di acido glutammico libero è elevato negli asparagi, nelle patate e nei piselli, ma soprattutto nel pomodoro, che può essere considerato il vegetale più umami della dieta mediterranea (provate a pensare cosa sarebbe una pizza senza pomodoro…).
C’è una proprietà di questi composti (i MSG e i 5’-ribonucleotidi) che li rende ancor più interessanti ed è la loro capacità di interagire sinergicamente. È stato infatti osservato che la soglia di percezione di MSG è molto ridotta in presenza di IMP o GMP e viceversa. Ne consegue che l’effetto umami prodotto dall’impiego congiunto di MSG e di uno o entrambi i ribonucleotidi risulta di gran lunga maggiore di quello atteso come somma degli effetti dei singoli composti umami. «Questo fenomeno di sinergismo è di estrema rilevanza pratica perché consente di diminuire sensibilmente le concentrazioni di esaltatori di sapore da aggiungere ai cibi per ottenere l’effetto desiderato, con una sostanziale riduzione (25-30%) dei costi di produzione e senza conseguenze sulle proprietà organolettiche dell’alimento. Per cui nei prodotti commerciali, MSG e uno o entrambi i ribonucleotidi sono generalmente usati in combinazione».
La storia dell’umami però non è finita con le scoperte dei giapponesi. In questi ultimi anni le ricerche di nuovi composti umami si sono particolarmente intensificate, «anche in considerazione dell’aura negativa che circonda il MSG, ritenuto (a torto) responsabile di una serie di reazioni allergiche e intolleranze collettivamente note come “sindrome da ristorante cinese”, nonostante l’assoluta mancanza di dati scientifici che supportino questa ipotesi».
Molti nuovi composti umami sono stati isolati da alimenti trasformati, in particolare in seguito a essiccamento, un processo che, come è noto, aumenta la sapidità dei cibi. L’approccio utilizzato è quello della cosiddetta “sensomica”, cioè «il frazionamento guidato da analisi sensoriale finalizzato a individuare composti con proprietà gustative e molecole con attività di esaltatori di aroma in cibi complessi e trasformati». L’articolo citato riporta alcuni composti umami recentemente identificati: come la teanina e la teogallina, responsabili del gusto umami del cosiddetto “mat-cha”, un thè verde giapponese; o come l’(S)-morelide, un composto chiave nella definizione del profilo aromatico dei funghi morchella; oppure l’acido N-(1-deossi-D-fructo-1-il)-L-glutammico, presente nei pomodori essiccati in quantità significative (fino all’1,5% in peso); e altri ancora. Anche numerosi peptidi, per la maggior parte derivati dai cosiddetti idrolizzati di proteine vegetali HVP (Hydrolyzed Vegetable Proteins), sono caratterizzati da attività umami più o meno intensa.
Infine c’è da aggiungere che, in combinazione con il flavor enhancement proprio delle sostanze umami, è stato evidenziato un altro effetto sensoriale: il kokumi, un nome che corrisponde al vocabolo inglese yummy (nice to eat). Le sostanze con proprietà kokumi «generano in bocca sensazioni di pienezza, rotondità, persistenza del sapore d’impatto e, più in generale, di prolungamento della percezione gustativa». Sostanze di questo tipo sono state isolate in formaggi, funghi, legumi, spezie e vegetali quali aglio e cipolla.
«A differenza dell’umami, il kokumi non è considerato un gusto base e i meccanismi fisiologici che ne determinano la percezione non sono stati ancora chiariti».