Tra i voli aerei di linea e le missioni spaziali si collocano i voli ipersonici: una tipologia di viaggio di cui si parla da alcuni anni e che oggi vede una accelerazione delle ricerche e dei programmi sperimentali. Se ne sta trattando proprio in questi giorni a Roma presso l’ASI (Agenzia Spaziale Italiana) nel primo simposio internazionale dedicato al volo ipersonico. L’evento è organizzato dal CESMA (Centro Studi Militari Aeronautici “Giulio Douhet”) dell’Associazione Arma Aeronautica e si intitola: “Hypersonic flight: from 100.000 to 400.000 ft”; lo scopo del simposio è di fare il punto sugli ultimi sviluppi nel campo del volo ipersonico e identificare le possibili sinergie, a livello nazionale ed internazionale, per promuovere le tecnologie di questo settore sia per le attività spaziali che per quelle che si svolgono nello spazio suborbitale. 



Ne abbiamo parlato con il Generale Giuseppe Cornacchia, coordinatore dell’evento.

Cosa si intende per volo ipersonico?

Il volo ipersonico, già praticato da tempo e non solo con i velivoli spaziali, è qualunque volo che si svolga con velocità superiori a Mach 5, cioè circa 6000 km/h. Faccio notare, per inciso, che il numero di Mach è un riferimento che utile per noi abituati alla dimensione terrestre; quando si vola nello spazio il numero di Mach perde un po’ di senso, mancando l’onda d’urto prodotta dall’atmosfera. Comunque, sopra Mach 5 parliamo di velocità ipersonica.



Quali sono i motivi della sua importanza e della sua attualità di voli di questo tipo?

Non sono motivi soltanto militari: E questo simposio lo sta mostrando. Occorre anzitutto precisare che stiamo parlando di volo ipersonico controllato, in analogia a quanto accade con i normali voli di linea. Si sta quindi verificando quali sono le possibilità che si raggiungano velocità ipersoniche con un velivolo che compia un tragitto da un punto a un altro della superficie terrestre, con decollo e atterraggio dalle stesse basi oggi utilizzate e soprattutto che possa essere controllato e manovrabile.

Un secondo parametro interessante è la quota: si parla di voli non nello spazio ma entro l’atmosfera e al di sopra della attuale sede dei voli tradizionali che è la troposfera. Andiamo quindi dai 20-30 km fino a 120, entro una fascia di quella sfera stratificata che è la nostra atmosfera che ancora consenta di trovare adeguata presenza di gas. Qui si pone infatti il primo problema. Questi velivoli, per potersi sostenere, hanno bisogno dell’aria; ma più in alto andiamo più questa scarseggia. Allora, per mantenere la stessa capacità di sostentamento c’è un solo elemento su cui poter giocare: è la velocità. Ecco quindi l’attualità delle ricerche volte a ideare e mettere a punto sistemi tecnologici che ci permetteranno un domani di volare in modo regolare entro quella parte di atmosfera che oggi ci è di fatto preclusa.   



Quali sono i principali avanzamenti tecnologici, nel campo della propulsione, che favoriscono lo sviluppo di questi velivoli?

Sia a livello di ricerca pura, in ambito universitario, che di ricerca applicata in veri centri e dimostratori tecnologici, sono in atto diversi studi. Si va dai motori ad impulso con onda di detonazione, allo statoreattore (o Scramjet) che non utilizza parti rotanti per comprimere l’aria ma solo l’energia cinetica del flusso d’aria entrante. Tra le varie proposte per avere una base propulsiva adatta, una che mi sembra molto interessante è quella del motore ibrido: con questo si intende la capacità di generare spinta in atmosfera con il motore a getto tradizionale che poi potrebbe trasformarsi, alle quote più alte, in uno statoreattore.

Un’altra soluzione che vedo adottata in molti casi è quella dei motori a razzo, che si rifanno ancora ai primi modelli immaginati da von Braun: con dei serbatoi di ossigeno che possono essere utilizzati per mantenere la spinta nel momento in cui si riduce la quantità di gas disponibile.

Sono comunque tecnologie tutte da validare. Un esempio significativo è quello del Progetto IXV (Intermediate eXperimental Vehicle), finanziato dall’ESA (Agenzia Spaziale Europea) e che vede come capocommessa del team industriale la Thales Alenia Space Italia, che prevede una parte di volo ipersonico e per il quale è prevista un primo test di volo nel prossimo autunno.

Quali sono i principali avanzamenti tecnologici, nel campo dei materiali, che favoriscono lo sviluppo di questi velivoli?

Le ricerche e le prove sui materiali si concentrano prevalentemente sulla capacità di resistenza alle alte temperature. Con l’aumento della velocità in effetti il problema principale è costituito dall’innalzamento termico, soprattutto delle parti frontali: dobbiamo prendere in considerazione temperature dell’ordine dei 500 gradi e anche di più. È quello che aveva già rappresentato un problema critico nelle prime missioni spaziali al loro rientro nell’atmosfera; e infatti qui le nostre ricerche si sovrappongono con quelle in atto da tempo in campo spaziale. Si stanno studiando materiali compositi e leghe speciali in grado di resistere a simili shock termici; e ci sono anche soluzioni integrative, attualmente in fase di verifica, date da sistemi di raffreddamento interni al velivolo.

Quali sono i principali programmi europei e internazionali sull’Hypersonic flight?

È difficile indicare uno o più programmi prioritari nell’ambito del volo ipersonico; anche per via delle sovrapposizioni, prima accennate, con altri programmi di più ampio spettro come quelli legati al rientro in atmosfera delle navicelle spaziali o quelli relativi ai collegamenti con la Stazione Spaziale Internazionale. In questo senso, i progetti che potrebbero dare maggior impulso nel nostro settore li vedo nella citata IXV, che dovrebbe dare un notevole contributo nella verifica dei due requisiti prima indicati della manovrabilità e controllabilità.

Bisogna anche dire che in questo campo i programmi non possono che essere sovranazionali; e, nel caso dell’Europa, sono stati fatti notevoli investimenti nel programma Horizon 2020 che hanno dato particolare spinta al settore. Interessante è anche la collaborazione dell’Europa col Giappone che sta conducendo una approfondita ricerca sulla propulsione ibrida.

Per quanto riguarda l’Italia, posso dire che ci stiamo collocando molto bene nella ricerca di base che in quella applicata.