C’è un nuovo agente di contrasto che permetterà di aumentare notevolmente l’affidabilità della Risonanza Magnetica Nucleare: è una nuova molecola, studiata e messa a punto da un gruppo di ricercatori del Politecnico di Milano, della Fondazione Istituto Neurologico “Carlo Besta” di Milano e della “Fondazione Centro Europeo di Nanomedicina” (CEN). L’hanno denominata PERFECTA e l’hanno presentata sulla rivista The Journal of the American Chemical Society della Società Chimica Americana (ACS): sarà impiegata come agente di contrasto super-fluorurato per ottenere immagini in vivo ad alta risoluzione nella Risonanza Magnetica Nucleare, uno degli strumenti diagnostici più precisi ed efficienti in medicina.



I risultati ottenuti dalle sperimentazioni in vitro hanno superato le migliori attese ponendo questo nuovo mezzo di contrasto nettamente al di sopra di quelli attualmente disponibili. Sulla base di questi dati, il team scientifico milanese sta sviluppando diverse applicazioni sperimentali in vivo.

Ne parliamo con uno degli autori della ricerca, Pierangelo Metrangolo, Professore Straordinario di Fondamenti Chimici delle Tecnologie, Dipartimento di Chimica, Materiali e Ingegneria Chimica “Giulio Natta” del Politecnico di Milano, che spiega a Ilsussidiario.net il valore del passo avanti compiuto e le potenzialità applicative di PERFECTA.



Da dove è nata l’esigenza di trovare un nuovo mezzo contrasto?

Attualmente la risonanza magnetica si occupa di visualizzare l’idrogeno che è, come è noto, un componente base dell’acqua; quindi la risonanza magnetica tradizionale cerca di seguire le proprietà magnetiche del nucleo di idrogeno nell’acqua. Il problema è che il nostro organismo è fatto prevalentemente di acqua quindi se iniettiamo un dato agente di contrasto o una molecola farmaceutica nell’organismo è difficile seguirla perché gli idrogeni di questa molecole sono gli stessi di quelli dell’acqua: abbiamo un background troppo intenso e non riusciamo a distinguere i segnali dello sfondo da quelli della molecola. 



Voi invece avete pensato di ricorrere al fluoro, perché?

A differenza di quanto accade per l’idrogeno, nel nostro organismo non abbiamo atomi di fluoro, se non un fluoro inorganico che si trova a livello dei denti e delle ossa (ecco perché assumiamo fluoro per rinforzare i denti). Quindi facendo una risonanza magnetica nucleare incentrata sul nucleo del fluoro il nostro organismo appare nero; allora, se iniettiamo un agente di contrasto a base di fluoro otterremo un’immagine brillante sullo sfondo scuro.

 

A che risultati siete arrivati?

C’è l’opportunità di combinare la risonanza magnetica tradizionale con questa nuova al fluoro; le due modalità devono andare insieme, perché forniscono informazioni complementari e quindi danno analisi sempre più sensibili. Fin dal 1995 i ricercatori avevano iniziato a lavorare su questo tema e dopo continui raffinamenti si era arrivati a utilizzare due tipi di molecole adatte allo scopo. La nostra è un po’ come la terza generazione di molecole che presenta il vantaggio di una maggior efficacia rispetto alle due precedenti. Nel nostro gruppo ci stiamo lavorando da un po’ di tempo, circa cinque anni, nei quali abbiamo sviluppato due progetti di ricerca, uno finanziato dalla Fondazione Cariplo e uno dal Ministero della Salute e alla fine siamo arrivati a una molecola estremamente performante.

 

Per quali possibili applicazioni?

Ci possono essere diverse modalità di applicazione. La cosa sorprendente è che dopo la pubblicazione dell’articolo sulla rivista dell’ACS siamo subito stati contattati da sei gruppi internazionali interessati a studiare tutte le possibilità applicative del nuovo mezzo di contrasto attraverso risonanza al fluoro. Si può pensare di utilizzarlo, ad esempio, per analisi su un tessuto tumorale per avere una visualizzazione ottimale; oppure di “etichettare” con questo agente di contrasto delle cellule come quelle dendritiche, del sistema immunitario, iniettarle in un organismo e studiare come migrano ad esempio nei linfonodi, ottenendo così un efficace monitoraggio del sistema immunitario. 

Qualcuno ci ha proposto di studiare il consumo di ossigeno all’interno di un tessuto tumorale perché questo agente di contrasto permette di avere un segnale molto sensibile alla presenza di ossigeno e il tessuto tumorale è particolarmente carico di ossigeno.

Ma sono solo alcune delle numerose possibilità. Il punto di partenza è che ora abbiamo trovato il nuovo tool: adesso noi stessi e altri ricercatori in tutto il mondo siamo impegnati ad applicarlo in differenti campi.

 

E per quanto riguarda le problematiche ambientali e di sicurezza?

Va detto anzitutto che i composti fluorurati tipicamente non sono tossici; e anche la nostra molecola ha dimostrato tossicità praticamente nulla: il 90% delle cellule nelle quali l’abbiamo iniettata sopravvive dopo cinque giorni. È sicuramente una tossicità nettamente più bassa rispetto agli altri marcatori che presentano tossicità verso il 40% delle cellule. L’unica caratteristica negativa dei composti a base di fluoro è che si bioaccumulano, cioè né il nostro organismo né l’ambiente circostante riescono a degradarli e il rilascio nell’ambiente di sostanze persistenti non certo un fatto positivo. In realtà però la nostra molecola è anche biodegradabile: a un certo punto l’organismo riesce a metabolizzarla. Stiamo ancora studiando in dettaglio i suoi processi metabolici ma possiamo già affermare che si tratta di una sostanza non persistente.