Parlare di stima del rischio di frane e inondazioni in un Paese come l’Italia desta subito interesse e attese. Anche per questo non può passare sotto silenzio una recente pubblicazione sulla rivista internazionale Journal of Geophysical Research che rende conto di uno studio condotto da un gruppo di ricercatori dell’Istituto di Ricerca per la Protezione Idrogeologica (IRPI) e dell’Istituto di Scienze dell’Atmosfera e del Clima (ISAC) del Consiglio Nazionale delle Ricerche (Cnr) che ha portato alla implementazione di una tecnica innovativa per misurare le precipitazioni al suolo via satellite. «Il nuovo sistema – ha detto a ilsussidiario.net Luca Brocca che ha guidato il team autore della ricerca – potrebbe contribuire a stimare il rischio di frane e inondazioni anche in zone non servite da sistemi tradizionali di misura a terra».
Spiegando più in dettaglio di cosa si tratta, Brocca fa riferimento ai sistemi tradizionali di previsione che in genere utilizzano informazioni caratterizzanti le nubi: studiando e caratterizzando le nubi e il loro carico di acqua, si cerca di stimare e di calcolare la quantità di acqua precipitata e assorbita dal terreno. «Col nostro sistema abbiamo cercato di invertire la tendenza, applicando un approccio che potremmo chiamare bottom-up, contrapposto a quello tradizionale top-down: cioè, invece di partire dall’alto si parte dal basso, invece di guardare le nubi si prende in considerazione l’acqua contenuta nel suolo. Ci sono per questo già da alcuni anni metodi che consentono di valutare il quantitativo di acqua al suolo tramite misure da satellite. Il nostro algoritmo non fa altro che prendere le stime del satellite e da lì ricavare il quantitativo di acqua caduta».
Esistono già dei sistemi di controllo dell’acqua assorbita dal terreno: a questi sistemi vien applicato un nuovo algoritmo, denominato Sm2Rain, sviluppato dai ricercatori dell’IRPI-Cnr. «Il nostro Sm2Rain si avvale di misure del contenuto d’acqua rimasto al suolo acquisite da satellite; in particolare, l’algoritmo utilizza come dati le quantità dell’acqua assorbita dal terreno, di quella evaporata e di quella che resta in superficie». Dapprima l’algoritmo è stato applicato ai dati rilevati con sensori a terra e sono state fatte verifiche e controlli in situazioni diverse e in varie zone in tutto il mondo. Il passo successivo è stato quello di utilizzare i dati da satellite e i risultati sono stati decisamente soddisfacenti.
«Il nostro sistema è stato applicato praticamente in tutto il mondo. Naturalmente, l’algoritmo non funziona con la stessa efficacia in tutte le aree geografiche. Ad esempio non può dare risultati accettabili in zone desertiche o in altre come le foreste pluviali o le grandi catene montuose: il sistema infatti è strettamente connesso con la stima del contenuto d’acqua del suolo quindi, laddove questa stima risulta difficile o poco praticabile, anche l’algoritmo non dà risultati utili»
L’attività di Brocca e colleghi non si ferma a questi primi successi. Stanno infatti seguendo da vicino le possibilità aperte dai nuovi satelliti ambientali lanciati anche recentemente dalle agenzie spaziali: come la missione Global Precipitation Measurement (GPM). La GPM è stata avviata dalla Nasa nel febbraio scorso e si avvale di una costellazione di satelliti per una serie di obiettivi scientifici quali: lo studio del ciclo dell’acqua, la microfisica delle precipitazioni, i processi atmosferici a grande scala, gli eventi estremi e altri ancora.
«La nostra prossima attività si concentrerà nello sviluppo di tutte le possibilità di integrazione della nostra tecnica con gli altri sistemi. Pensiamo di riuscire a dimostrare che in tal modo si ottengono risultati migliori e sempre più affidabili che consentano di quantificare con maggior precisione l’entità delle piogge e ridurre il rischio di frane e alluvioni».
Un ulteriore step sarà quello di rendere i risultati sempre più adatti a quello che è l’obiettivo dell’Istituto del Cnr dove opera Brocca, che è la protezione idrogeologica quindi la ricerca per la prevenzione delle piene e delle frane. «Quindi il lavoro consisterà nell’utilizzare i dati ricavati dal nostro sistema integrato con il satellite inserendoli nei vari modelli idrogeologici messi a punto appositamente per la previsione di fenomeni di piena e di eventi come le frane».