Alcune delle più importanti fonti di vitamina C presenti sulle nostre tavole hanno alle spalle una lunga storia evolutiva, caratterizzati da complesse selezioni e incroci di specie praticate dall’uomo. La dimostrazione arriva dalla “cronostoria” dei nostri agrumi principali – arancia, mandarino e mandarancio –ricostruita per la prima volta dall’International Citrus Genome Consortium, un consorzio internazionale di ricercatori di cui fanno parte scienziati italiani, statunitensi, brasiliani e francesi.



La partecipazione italiana è stata resa possibile dal progetto “Citrustart” finanziato dal Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali nel 2009 attraverso il Consiglio per la Ricerca e la Sperimentazione in Agricoltura (CRA). Al progetto, coordinato dal Centro di Ricerca per l’Agrumicoltura e le Colture Mediterranee di Acireale (CRA-ACM), hanno preso parte l’Istituto di Genomica Applicata (IGA) dell’Università di Udine e l’Istituto di scienze della vita della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa.



I primi risultati sono stati appena pubblicati sulla rivista Nature Biotechnology e ilsussidiario.net ne ha parlato col professor Michele Morgante, direttore scientifico dall’IGA e accademico dei Lincei.

Nella vostra ricerca pubblicata su Nature Biotechnology avete utilizzato metodologie di sequenziamento di nuova generazione e analisi bioinformatiche: ci può illustrare in breve queste metodologie?

La tecnologia utilizzata per effettuare i sequenziamenti di mandarino, arancio amaro, arancio dolce e pomelo, è una tecnologia di sequenziamento di nuova generazione (Next Generation Sequencing) di una azienda californiana che si chiama Illumina, mentre il genoma di riferimento di clementine è stato ricostruito utilizzando ancora dati provenienti da strumentazioni di tipo Sanger, che è la tecnologia che è stata utilizzata per 30 anni prima dell’avvento delle nuove tecnologie di sequenziamento avvenuto a partire dal 2005.



Dati di sequenziamento di nuova generazione nel nostro Istituto si utilizzano dal 2007 e in particolare l’Istituto di Genomica Applicata è stato il primo centro in Italia ad acquisire la tecnologia Illumina di sequenziamento nel 2008. Queste tecnologie hanno permesso un abbattimento dei costi e la velocizzazione delle procedure di sequenziamento, al punto tale che adesso è possibile sequenziare un genoma grande come quello degli agrumi in 24 ore.

Parallelamente alla mole di dati prodotta sono state eseguite analisi dati con sofisticate pipeline bioinformatiche, in collaborazione con gli altri partner del progetto, che hanno permesso di giungere alla costruzione dell’“albero genealogico” degli agrumi.

 

Il risultato delle ricerche quindi è stato la costruzione di un “albero genealogico” degli agrumi: ce lo descrive?

Ricerche precedenti avevano già permesso di individuare tre specie ancestrali come fonte primaria della diversità genetica presente negli agrumi ad oggi coltivati, a partire dalle quali con diversi incroci si sarebbero ottenute tutte le specie oggi coltivate. Le tre specie ancestrali sono mandarino, pomelo e cedro. Attraverso la ricostruzione di una sequenza di riferimento ad alta qualità del genoma di Citrus (ottenuta tramite il sequenziamento di una clementina) e il successivo ri-sequenziamento di diverse varietà di aranci e mandarini, è stato possibile ricostruire con un elevato grado di dettaglio come diversi incroci avvenuti fra le tre specie ancestrali abbiano portato all’ottenimento delle attuali specie coltivate: clementina, mandarino, arancio dolce ed arancio amaro. In realtà stiamo parlando di due delle tre specie ancestrali in quanto rimane ancora da esplorare la “discendenza” relativa al contributo di cedro, quella che ha dato origine a specie come note come il limone, il lime, la limetta e forse altri.

 

Può fare qualche esempio?

La ricerca pubblicata su Nature Biotechnology ha permesso di elucidare ad esempio come l’arancio dolce (quello comunemente consumato sulle nostre tavole) e l’arancio amaro, altresì detto di Siviglia (quello tanto apprezzato dagli inglesi per fare la cosiddetta “marmalade”) siano entrambe derivati da mandarino e pomelo ma mentre l’arancio amaro è un ibrido semplice che ha avuto il pomelo come madre ed il mandarino come padre, l’arancio dolce è invece il risultato di uno schema di incrocio ben più complesso in cui prima pomelo è stato incrociato con mandarino, poi la pianta risultante è stata incrociata con pomelo ed infine ancora con mandarino. La clementina è invece il risultato dell’incrocio fra arancio dolce e mandarino, mentre il mandarino W. Murcott risulta essere un nipote dell’arancio dolce. Infine dal confronto delle sequenze delle diverse specie e varietà è risultato chiaro che mentre ciò che oggi chiamiamo pomelo e consumiamo come tale è sostanzialmente corrispondente a quella che era la specie ancestrale Citrus maxima, quelli che oggi chiamiamo mandarini e consumiamo come tali sono tutte varietà in cui oltre al genoma della specie ancestrale di mandarino (Citrus reticulata) sono presenti anche segmenti del genoma del pomelo, indicando che siano il risultato essi stessi di incroci complessi fra le due specie.

 

Le nuove varietà via via sviluppate sono tutte frutto di interventi dell’uomo o ci sono casi di sviluppi “naturali”?

Non è stato determinato e forse non sarà mai possibile farlo quanti degli incroci che hanno portato alla formazione delle specie oggi coltivate siano il risultato di incroci spontanei che poi l’uomo si è limitato a selezionare e quindi propagare e quanti invece siano incroci che sono avvenuti grazie all’intervento umano. Ciò che invece sicuramente sappiamo è che la grande variabilità che vediamo negli agrumi in commercio oggi non è solamente dovuta alla diverse combinazioni di incroci che sono stati descritti nel lavoro di Wu e colleghi. Spesso all’interno di una stessa specie troviamo una vasta selezione di varietà; il caso forse più eclatante è quello dell’arancio dolce, dove troviamo le varietà “Tarocco”, “Moro”, “Biondi”, “Navel”, “Valencia” e così via. Queste varietà sono invece il risultato di una selezione dell’uomo a carico di eventi spontanei di mutazione.

Vale a dire?

Stiamo parlando di mutazioni somatiche spontanee, ovvero, mutazioni a carico della catena del DNA che sono avvenute su piante già sviluppate, generando così alcuni frutti modificati, che hanno mostrato caratteristiche fenotipiche apprezzabili dai coltivatori. Queste sono state quindi propagate per via vegetativa in modo da perpetuare la mutazione. Queste mutazioni sono responsabili della comparsa di tratti fenotipici caratteristici come ad esempio la spiccata pigmentazione delle arance rosse quali “Tarocco” e “Moro”, dovuta alla aumentata produzione di antocianine a causa di una modificazione strutturale in prossimità di un gene che ne controlla la sintesi.

 

Oltre all’aspetto puramente conoscitivo, ci potranno essere degli utilizzi pratici di questi risultati? E chi potrà utilizzarli?

Aver compreso l’origine delle attuali specie coltivate potrà in futuro servire ad indirizzare i programmi di miglioramento genetico per l’ottenimento di genotipi migliorati da un punto di vista qualitativo e nei riguardi della resistenza alle malattie. La conoscenza delle relazioni parentali che hanno portato alla costituzione delle specie coltivate potrà ad esempio permettere di ripetere l’esatta sequenza di incroci per ottenere ex-novo le stesse. Questo potrebbe tornare utile in un futuro in cui si renderà necessario ricostituire le varietà coltivate, ma con l’inserimento per mezzo di incrocio di geni di resistenza per contrastare l’attacco di patogeni che riducono drasticamente la produttività. Inoltre la stessa informazione, accoppiata alla catalogazione delle mutazioni somatiche che portano determinate caratteristiche importanti per il mercato, permetteranno ai coltivatori di costituire nuove varietà, in maniera mirata, per migliorarne contestualmente la resa e le caratteristiche organolettiche e strutturali per andare a meglio soddisfare le richieste di mercato. Infine, la possibilità di conoscere quali mutazioni caratterizzino uno specifico clone di arancia, permetterà lo sviluppo di test diagnostici per il riconoscimento varietale e la protezione delle denominazioni, nonché una migliore tracciabilità nella filiera agrumicola.