C’è uno stimolante parallelo tra la riflessione svolta in uno dei saggi contenuti in Scienze, filosofia e teologia. Avvio al lavoro interdisciplinare, da poco pubblicato presso EDUSC, e il tema di una delle tavole rotonde del prossimo Meeting di Rimini: quella di mercoledì 27 agosto su “Il fascino della ricerca: dal particolare al tutto”, che vedrà dialogare, coordinati dall’astrofisico Marco Bersanelli, il paleoantropologo Yves Coppens, Professore Onorario presso il Collège de France; il matematico Laurent Lafforgue, Professore all’Istituto di Alti Studi Scientifici (Francia); l’astrofisico Christopher Impey, Vice Direttore del Dipartimento di Astronomia all’Università dell’Arizona.  Il capitolo del libro – del quale abbiamo già avuto modo di commentare un altro saggio – si intitola “Cosmologia fisica e domanda sul fondamento dell’essere” e l’autore, il teologo Giuseppe Tanzella-Nitti, inizia richiamando il fine degli studi universitari che è la formazione di persone “colte”; precisando però subito che “la persona colta non è un tuttologo ma qualcuno che ha compreso come la sua formazione specializzata non si oppone alla ricerca di una unità del sapere”. Riprendendo alcune considerazioni del card. Newman, Tanzella precisa che la persona colta (che Newman definiva gentleman) “è proprio colui che sa cogliere il “significato” della sua materia nel contesto di tutte le altre”. Ma perché puntare l’attenzione proprio sulla cosmologia? La cosmologia si occupa “dell’essere del tutto”; e la parola “tutto” merita una riflessione (come faranno gli scienziati a Rimini). C’è una concezione ampia del “tutto” inteso come “tutto ciò che è”, che quindi è un tutto ontologico, non coincidente col tutto empirico: quest’ultimo si occupa degli enti fisici, misurabili, che hanno un legame diretto o indiretto con gli oggetti astronomici osservati. L’analisi di Tanzella prende in considerazione questo livello della totalità, quindi la cosmologia fisica. Che ha comunque uno suo statuto particolare per cui è molto frequente per i cosmologi veder sorgere, dall’interno della loro ricerca, domande che riportano in vario modo alla questione dei fondamenti: l’origine dello spazio-tempo, il posto dell’uomo nell’universo, il finalismo in natura, la razionalità e l’intelligibilità della realtà naturale.  Qui però siamo su un crinale molto delicato. Da un lato c’è l’urgenza di tali interrogativi e la maggior consapevolezza da parte degli scienziati del loro spessore e della loro complessità. Dall’altro c’è la constatazione dell’impossibilità di arrivare a delle soluzioni sul piano puramente scientifico: “La cosmologia tenta di proporsi come una ‘scienza dell’intero’, generando delle visioni totalizzanti”. Una scienza dell’intero tuttavia non è possibile a livello empirico, perché il problema del “tutto” resta un problema filosofico: non si può avere esperienza empirica del ‘tutto’”.



Non è facile tenere sotto controllo questa distinzione di livelli; e in effetti, quello in cui soprattutto il grande pubblico si imbatte è spesso uno scivolamento inconsapevole tra i diversi approcci; per cui quasi non sorprende che vengano diffuse come scientifiche delle trattazioni che parlano disinvoltamente della “mente di Dio”, di teoria del tutto, di Dio e il Big bang e così via. Il punto non è impedire agli scienziati di avere una loro, inevitabile, visione filosofica e di avere le loro risposte alle domande circa la totalità: si tratta di non nasconderlo e di evitare che sia la loro autorevolezza scientifica a sostenere le loro opzioni di ambito filosofico. La tendenza della cosmologia fisica a proporsi come una “scienza dell’intero” ha anche un suo risvolto positivo: quello di offrire allo scienziato una percezione molto viva del problema dei fondamenti. Anche se va tenuto fermo il fatto che questa percezione può esprimersi solo attraverso le domande sopra richiamate, può avvenire solo come “domanda”. Una domanda che può avere due esiti: o resta “aperta”, oppure si affretta a cercare una “chiusura”. Nel primo caso accade quella affascinante esperienza della disponibilità a ricevere il fondamento come “dato”, come ultimamente ricevuto. Nel secondo caso il soggetto impone la propria risposta, come un a-priori. Detto in altri termini, è l’alternativa tra una posizione realistica e una idealistica, che facilmente diventa ideologica.  Un’osservazione conclusiva di Tanzella ci rilancia verso quello che potremo verificare a Rimini. Se il metodo della scienza (non solo in cosmologia) – dice il teologo – si imbatte nel “problema” dei fondamenti,”lo scienziato può essere protagonista di una vera e propria ‘esperienza’ dei fondamenti. Si tratta di un’esperienza di carattere filosofico, di un incontro personale con il mistero dell’essere”. Al Meeting lo sentiremo raccontare direttamente da un paleoantropologo, da un matematico e da un astrofisico.

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