È stato firmato all’inizio di agosto l’accordo internazionale che decreta la nascita in Cina del Jiangmen Underground Neutrino Observatory (JUNO), un gigantesco esperimento sotterraneo per lo studio dei neutrini al quale l’Italia partecipa con l’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (INFN) e del quale è stato nominato vice-coordinatore Gioacchino Ranucci, un fisico dell’INFN da tempo impegnato presso i Laboratori Nazionali del Gran Sasso.



Il contributo italiano sarà tanto più rilevante in quanto permetterà di mettere a frutto la decennale esperienza nello studio dei neutrini maturata al Gran Sasso con gli gli apparati Borexino e Opera.

Abbiamo raggiunto Ranucci, che ha descritto a ilsussidiario.net con entusiasmo la nuova avventura scientifica.

Perché è importante studiare i neutrini?



I neutrini sono una delle particelle elementari alla base del cosiddetto modello standard che descrive l’universo che ci circonda. Hanno un ruolo essenziale in diversi processi fisici dell’universo: ad esempio hanno un ruolo fondamentale nell’esplosione delle supernovae. Certo, non hanno un ruolo evidente nella nostra vita di tutti i giorni perché sono particelle talmente elusive che neppure ci accorgiamo della loro presenza. Tuttavia hanno un ruolo importante nella generale economia del cosmo e della sua storia evolutiva. E poiché la fisica, che oggi è un insieme di cosmologia e fisica delle particelle, ha come obiettivo ultimo capire fin nei minimi dettagli come è fatto l’universo, la comprensione del neutrino è un elemento irrinunciabile.



Quindi l’importanza non è in vista di particolari applicazioni?

Beh, in un futuro lontano potranno anche esserci degli sbocchi applicativi; ma al momento non se ne vedono e non è questo lo scopo delle ricerche. C’è sì qualche ricercatore che ha immaginato l’impiego dei neutrini nelle comunicazioni, così come oggi utilizziamo gli elettroni. Ma si tratta di sviluppi che implicano una tecnologica al di là dell’orizzonte ed enormemente più avanzata di quella che oggi padroneggiamo.

Il nuovo esperimento studierà la cosiddetta “oscillazione” dei neutrini: di che cosa si tratta?

Capire una particella significa capirne tutte le caratteristiche. Allora il neutrino ha una carta d’identità che ce lo mostra come “camaleontico” o, se si preferisce, “uno e trino”; cioè si può presentare in tre forme. I tre membri della famiglia neutrinica sono il neutrino elettronico, quello muonico e quello tau e, attraverso processi tipici della meccanica quantistica, questi si possono trasformare una nell’altro, oscillando tra le tre configurazioni. Per la sua piena comprensione è quindi decisivo descrivere e spiegare le modalità di queste oscillazioni. È uno studio avviato da molto tempo e la strada della comprensione è ormai tracciata. Si tratta adesso di individuare con grande precisione quali sono i parametri che entrano nelle equazioni quanto-meccaniche che regolano il processo. A questo sono indirizzati esperimenti della prossima generazione, come il nostro JUNO.

 

In particolare, che cosa misurerete?

Misureremo le differenze di massa tra le varie tipologie di neutrini che determinano le caratteristiche matematiche delle oscillazioni.

 

Stiamo parlando di un esperimento definito come gigantesco: perché questo aggettivo?

Perché l’apparato sperimentale sarà di dimensioni senza precedenti. Verrà realizzato mettendo insieme in un contenitore cilindrico 20mila tonnellate di un idrocarburo che ha la proprietà di scintillare, cioè di produrre lampi di luce quando viene in contatto con neutrini. Lei pensi che i più grandi rivelatori di neutrini costruiti finora al massimo arrivano a mille tonnellate di liquido scintillante. D’altra parte le nostre misure devono essere fatte con altissima statistica, nel senso che dobbiamo raccogliere moltissimi eventi e per far questo dobbiamo avere un bersaglio attivo con una grande quantità di massa.   

 

L’impianto sarà di quelli sotterranei: perché?

Questa è una situazione che gli esperimenti sui neutrini condividono con altri, ad esempio con quelli per la ricerca della materia oscura. Oggi nel mondo ci sono diversi laboratori per esperimenti sotterranei e l’esempio più imponente e tecnologicamente avanzato è quello italiano dei Laboratori Nazionali del Gran Sasso (LNGS). L’esigenza di andare sottoterra è presto spiegata: quando si cercano segnali molto flebili, lasciati da particelle molto rare, come appunto i neutrini, se si collocano gli apparati in superficie non si riesce a vedere nulla perché i segnali sono completamente mascherati dal rumore di fondo dei raggi cosmici, dai quali la Terra è costantemente bombardata. Andando sottoterra si può sfruttare la schermatura naturale del terreno per impedire che la radiazione cosmica inquini i dati sperimentali.  

 

Ci sono però altri due esperimenti programmati per studiare i neutrini con grandi apparati: quello denominato Hyper-Kamiokande in Giappone e il Long-Baseline Neutrino Experiment (LBNE) al Fermilab di Chicago. Perché progettarne un altro?

Intanto perché si affronta il problema con tecnologie diverse; i tre esperimenti rappresentano, nei rispettivi ambiti, il vertice delle tecnologie oggi disponibili. Le tre linee tecnologiche sono: quella basata sull’acqua (quella giapponese) dove l’interazione avviene tra il neutrino e l’acqua, dando luogo al cosiddetto effetto Cerenkov; poi la tecnica ad Argon liquido (Usa), dove le particelle vengono rivelate con estrema precisioni osservando la traccia micrometrica che lasciano nell’Argon; e poi c’è il nostro scintillatore.

La comunità scientifica è da tempo concorde sul fatto che i prossimi trent’anni di ricerche sui neutrini utilizzino in modo complementare questi tre approcci.

C’è anche un’altra motivazione che giustifica un terzo esperimento.

 

A cosa si riferisce?

Mi riferisco alla scansione temporale. La tecnologia di JUNO permetterà di avere risultati sperimentali già nei prossimi dieci anni; mentre gli altri due esperimenti hanno una prospettiva temporale più lunga. La diversa tempistica si spiega col fatto che JUNO si concentrerà sulla “gerarchia di massa dei neutrini”, cioè dell’ordine in cui sono disposte le masse dei tre tipi di neutrino; gli altri due andranno oltre, misurando un’altra caratteristica, la cosiddetta violazione di simmetria CP (carica – parità). Fra i tre esperimenti quindi c’è una differenziazione di tecnologia, di tempistica e di fisica.

 

Quindi non ci sarà competizione?

Dal punto di vista della fisica c’è assoluta sinergia, i programmi sono del tutto complementari. Se devo indicare un competitor di JUNO, posso nominare l’esperimento PINGU, un apparato sperimentale già esistente ma che verrà installato al Polo Sud  inserendo stringhe di fotorivelatori in profondità nel ghiaccio per fare misure sempre della gerarchia di massa dei neutrini.

Ma nela fisica moderna siamo abituati ad avere più esperimenti che fanno le stesse misure; ed è importante per avere controlli incrociati immediati  e quindi maggiore certezza nei risultati.

 

Dopo la sua nomina a vice-coordinatore della collaborazione JUNO, adesso lei si prepara a trasferirsi in Cina?

Non è necessario un trasferimento, anche perché la mia nomina riguarda la componenti non cinese della collaborazione. Certo, dovrò andare spesso in Cina soprattutto durante la fase di costruzione. Attualmente siamo all’inizio della fase di progettazione; poi si dovrà fare lo scavo nel quale collocare l’apparato e siamo in attesa dell’autorizzazione da parte del governo locale (ma non dovrebbero esserci ostacoli) per iniziare i lavori verso dicembre – gennaio; vorrei anche aggiungere che il progetto sarà sviluppato secondo i più rigorosi criteri di compatibilità ambientale. L’apparato sperimentale verrà installato entro 5 anni e la prima misura arriverà nel 2026. Da lì il laboratorio resterà in funzione fin verso il 2040.