Il professor Yves Coppens arriva a Rimini dopo un’estate ricca di novità e dibattiti in ambito paleontologico: dalle curiosità sulle piume dei dinosauri al riaccendersi della discussione, quella che più coinvolge Coppens, sull’emergere dell’Homo e sulla consistenza di alcuni rami dell’albero filetico umano come quello dei Denisoviani o dell’Uomo di Heidelberg.
A Rimini, a parlare del cammino dell’evoluzione umana era già stato due volte: ora ci torna per raccontare il fascino della ricerca, quella che sa approfondire il particolare senza ridurlo e lo proietta nel tutto. Ne parlerà in un dialogo col matematico Laurent Lafforgue e con l’astrofisico Christopher Impey, coordinati da Marco Bersanelli.
Torna anche per partecipare al Simposio Internazionale di San Marino, organizzato, come ormai da diversi anni, dall’Associazione Euresis in collegamento col Meeting: quest’anno il tema riguarda le radici della motivazione nella ricerca scientifica.
E torna con la evidente soddisfazione della recentissima nomina a far parte della Pontificia Accademia delle Scienze, dove già più volte era stato tra i protagonisti e organizzatori di Giornate di studio e convegni sui temi dell’evoluzione umana. Proprio da questi argomenti partiamo per un appassionato confronto.
Alla luce delle ricerche di questi anni, possiamo confermare la derivazione dell’umanità dall’unica culla africana?
È difficile dare una sentenza definitiva, ma se guardiamo ai risultati delle indagini svolte finora troviamo che tutta la documentazione risalente tra i 6 e i 3 milioni di anni fa è relativa a nostri antenati in Africa tropicale. Solo dai 2 milioni di anni si iniziano a registrare presenza oltre che in Africa anche in Eurasia. Quindi la conclusione è piuttosto chiara: l’origine dell’uomo è unica ed è da collocarsi in Africa tropicale. Ma non è difficile da comprendere: infatti, gli essere viventi più vicini agli ominidi sono le scimmia e in particolare gli scimpanzé, e questi erano presenti solo in Africa. Ripeto, la mia risposta è sì; ed è un sì da scienziato, cioè è un “molto probabilmente sì”.
Dobbiamo dire che l’Homo Sapiens è uomo della periferia o uomo del centro?
Sono stato per lungo tempo dubbioso sull’origine dell’Homo Sapiens, ma ora i dati a nostra disposizione mostrano che Homo Sapiens discende dagli ominidi africani e quindi anche lui ha un’origine africana. Non so se chiamarla centrale o periferica; presto però l’Homo Sapiens ha iniziato a lasciare l’Africa per andare ovunque nel mondo. L’Homo Sapiens è il primo che ha fatto tutto il giro del mondo; e questo dice molto della sua natura, di una specie che ha superato le altre come capacità di azione, di riflessione, pensiero, espressione artistica. Basta pensare alle incisioni e ai celebri dipinti lasciati sulle pareti delle grotte, che sono opere affascinanti e con un alto grado di elaborazione. L’Homo Sapiens è uno che per natura si muove, desidera esplorare, si sposta dal centro alla periferia e viceversa; senza temere contaminazioni e ibridazioni, che certamente ci sono state.
Cosa possiamo dire dei primi abitanti dell’Europa?
Come ho detto, Homo Sapiens non si è fermato in Africa, anzi, si è messo in moto molto presto. Ed è arrivato dapprima in Asia e poi in Europa. Verso 1,5 milioni di anni fa lo troviamo in Italia meridionale, in Puglia, e verso 1,2 milioni di anni fa lo troviamo in Spagna, poi in Francia centrale. Poi è successo che è rimasto isolato a causa delle glaciazioni e ciò ha prodotto quella che si chiama una deriva genetica, che ha portato ai Neandertal e all’Uomo di Heidelberg.
Fino a che punto la paleoantropologia è riuscita a ricostruire la vita quotidiana e anche l’universo mentale e spirituale dei nostri primi antenati?
Noi paleontologi abbiamo pochi reperti su cui basare le nostre ricostruzioni. Possiamo risalire alla disposizione delle abitazioni, ai luoghi dove si radunavano, al regime alimentare. Quello che mi colpisce però è che se esaminiamo l’intero percorso evolutivo dell’uomo, da circa 3 milioni di anni fa ad oggi, troviamo che non c’è discontinuità; o, come io amo dire: l’uomo è pienamente uomo da quando ha iniziato a essere uomo. Tutte le dimensioni che caratterizzano l’essere uomo sono presenti dall’inizio, non appena il cervello ha raggiunto un certo livello di complessità: la dimensione tecnologica, quella intellettuale, quella estetica, quella etica, quella spirituale. Certo, hanno poi registrato un processo di miglioramento; ma erano tutte presenti e operanti da subito.
Lei a Rimini parlerà del fascino della ricerca che porta gli scienziati a occuparsi del particolare per essere rilanciati verso la totalità: quando e come i nostri antenati hanno iniziato a sperimentare il passaggio dal particolare al tutto?
Penso che anche queste due attitudini siano state presenti fin dai primi passi dell’uomo. L’espansione dell’uomo sul Pianeta, di cui ho parlato prima, sta a dimostrare la tendenza a partire dal particolare per muoversi in tutte le direzioni, per dilatare a dismisura la propria presa sulla realtà. Anche le tipiche espressioni umane testimoniano questa tendenza: parlare, pensare, scambiare idee. Sono i caratteri peculiari della noosfera, di cui ha parlato Teilhard de Chardin; che sono pienamente sviluppati nell’Homo Sapiens e che si sintetizzano nelle domande che animano ancora tutti noi oggi: chi siamo, qual è la nostra natura, dove andiamo, qual è il significato della nostra esistenza. Sono interrogativi che ci fanno capire dove sta il nucleo dell’animo umano e che mi piace indicare nella parola responsabilità.
(Mario Gargantini)