Non è necessario rinunciare alla ricerca di base per poter pensare di fare qualcosa di utile a tutti. Così almeno la pensa la stragrande maggioranza di un campione di bioscienziati di Harvard coinvolti in un’indagine pubblicata sulla rivista online F1000 Research. L’indagine mirava a una valutazione del valore e delle motivazioni della “Blue skies research”, ovvero della ricerca di base mirata al puro avanzamento della conoscenza e spinta dalla pura curiosità di conoscere la realtà.
Ebbene dall’analisi dei dati ottenuti dal questionario risulta che una delle maggiori motivazioni per gli scienziati è proprio il fatto che qualsiasi avanzamento delle conoscenze alla fine avrà una qualche ricaduta pratica, non necessariamente nell’immediato futuro. Si tratta di riconoscerla e di saperla utilizzare adeguatamente. In ogni caso, le conclusioni del’indagine indicano una diffusa consapevolezza che la ricerca serva comunque a “migliorare la vita” dell’uomo.
Di questo è convinto anche Domenico Coviello, Direttore del Laboratorio di Genetica Umana all’Ospedale Galliera di Genova e Co-presidente dell’Associazione Scienza e Vita, che domani al Meeting introdurrà la tavola rotonda “La ricerca in medicina: una utilità per tutti” nella quale si confronteranno Beatrice Lorenzin, Ministro della Salute, Pier Alberto Bertazzi, Professore all’Università degli Studi di Milano, Mario Giovanni Melazzini, Assessore della Regione Lombardia e Presidente dell’Agenzia per la Ricerca sulla SLA, Massimo Scaccabarozzi, Presidente di Farmindustria.
Anticipando a ilsussidiario.net alcuni dei temi del confronto, Coviello inizia con un’osservazione sul termine ricerca: «La parola “ricerca” evoca immediatamente l’immagine dello scienziato. E secondo l’inclinazione e l’immaginazione personale possono venire in mente il chimico che in un sotterraneo segreto sperimenta pozioni in grado di trasformare il Dr. Jekyll in Mr. Hyde, oppure equipe di ingegneri e fisici che mandano navette nello spazio verso pianeti sempre più lontani, o altro ancora. Tutte queste persone, seppur molto affascinanti, non sono viste come operatori che lavorano per tutti noi, ma piuttosto come “scienziati”, con i loro specifici pallini, del tutto assorti nelle loro problematiche complesse, completamente disinteressati alle problematiche della vita quotidiana e quindi lontani da noi».
Coviello – riprendendo alcuni passaggi riportati sul sito web del Ministero – ricorda che ci sono alcune domande che per sua natura l’essere umano si pone da sempre, rispetto ai fenomeni che osserva quotidianamente come di fronte alle manifestazioni più misteriose della natura. Come funziona? Perché accade? Come si potrebbe migliorare? Quando la curiosità e l’intuizione vengono applicate con un approccio sistematico per rispondere a domande di questo tipo, facendo tesoro delle esperienze e delle conoscenze già acquisite, si sta facendo ricerca.
«Tutti noi, nella quotidianità, esploriamo, investighiamo e inventiamo, risolvendo problemi nel lavoro, sperimentando variazioni di ricette in cucina, trovando il modo più giusto per potare una pianta o giocando con i bambini. Chi sceglie di dedicare alla ricerca la propria vita fa dello studio e della sperimentazione la sua professione e finalizza queste attività all’acquisizione di nuove conoscenze viene definito uno “scienziato”».
A questo punto si può affrontare la questione dell’utilità per tutti. Questione che si intreccia con diverse tematiche che, nel caso della ricerca in medicina sono rilevanti non solo per lo spazio occupato nei più recenti fatti di cronaca ma soprattutto per l’urgenza con cui vanno affrontate in Italia. «Penso al tema della serietà della ricerca in Italia e dei corretti meccanismi di verifica. Alla cosiddetta la fuga dei giovani all’estero, che si abbina al luogo comune della impossibilità di fare ricerca in Italia. Ma penso anche alla necessita di una programmazione nazionale in particolare per le nuove tecnologie: dalla genetica/genomica alla bioinformatica e alla robotica. C’è effettivamente un’esigenza di razionalizzazione delle risorse, con incoraggiamento al lavoro multidisciplinare e alla condivisione dei risultati tramite la costituzione di reti; e con la partecipazioni alle infrastrutture europee, come nel caso delle biobanche».
Senza decisi passi avanti in queste direzioni, sarà sempre più arduo spiegare l’utilità per tutti di molte ricerche. Deve risultare chiaro il nesso tra la ricerca e le esigenze del Sistema Sanitario Nazionale e dei suoi principali protagonisti, che sono le persone malate. «La ricerca, anche la più sofisticata metodologia di laboratorio, riesce a diventare utile a tutti se ha come partner il Sistema Sanitario Nazionale che ha al suo interno il malato, il medico e l’infermiere. Ecco allora che balzano in primo piano questioni come quella dell’equità di accesso alle cure per il cittadino. Ma soprattutto si deve dare risonanza, e conseguente applicazione concreta, ad alcune ricerche relative alla pratica medica che portano alla riscoperta dell’uomo tramite la medicina narrativa, e alla riscoperta del medico e del malato come persone che “collaborano” nella attuazione di un piano terapeutico».