Il tema del riscaldamento globale, con riferimento al recente rallentamento degli ultimi 14-16 anni, è oggetto di grande discussione nella comunità scientifica; oltre ad inserirsi di soppiatto nelle prime pagine e nei discorsi di tutti i giorni in questa estate meteorologicamente anomala. Nonostante lo stop della temperatura media superficiale non fosse stato correttamente predetto dai modelli, gli scienziati non si sono mai detti preoccupati dall’errore in apparenza piuttosto grossolano. A che si deve quindi questa sicurezza, nonostante un’apparente smentita dai dati?
Negli ultimi anni sono stati condotti diversi lavori di ricerca per chiarire la netta discrepanza fra realtà e modelli. Fra questi, uno studio di Huber e Knutti (Natural variability, radiative forcing and climate response in the recent hiatus reconciled) è stato recentemente pubblicato su Nature Geoscience. I due studiosi tentano in primo luogo di far luce sulle possibili cause del rallentamento del global warming, e nel contempo analizzano i dati di un modello a scala globale opportunamente calibrato, verificando la capacità di catturare lo iato nel riscaldamento terrestre.
Le cause identificate sono tre, le prime due di stampo “naturale”, la terza di natura “tecnica”. Quest’ultima si rifà ad uno studio di colleghi anglosassoni e canadesi, dove si fa notare la penuria di stazioni meteorologiche sulla superficie artica. Se, come suggerito dal team di scienziati, nuove misurazioni satellitari sono introdotte nello stimare la temperatura superficiale del Polo, il risultato è una tendenza a valori medi più alti, e quindi più vicini alle proiezioni dei modelli.
Le due cause “naturali” sono collegate a due fenomeni ben conosciuti, eppure estremamente difficili da simulare correttamente. Il primo è la fluttuazione delle temperature delle acque superficiali nel Pacifico tropicale, noto come il fenomeno del Nino. Sebbene confinato in una regione piuttosto ristretta, esso ha la caratteristica di influenzare le temperature globali attraverso meccanismi complessi e interazioni con l’atmosfera.
Huber e Knutti rilevano che negli ultimi 16 anni il Nino, dopo una fluttuazione positiva da record nel 1998, è prevalentemente rimasto in fase negativa, rallentando così la tendenza al riscaldamento globale. I due scienziati si spingono oltre, e in un esperimento ad hoc forzano un modello a scala globale con le condizioni di Nina (cioè, la fase negativa del Nino), osservando lo stesso comportamento rilevato in natura.
Un’analisi simile viene condotta per l’altra forzante naturale, il Sole. Esso non irradia energia verso la Terra in modo costante nel tempo, ma è contraddistinto da diverse fasi, una delle più studiate è il suo ciclo di 11 anni. Negli ultimi anni è stato notato da diversi studi un rallentamento anomalo di questo ciclo solare, il cui minimo è durato due anni in più rispetto al previsto. L’anomalia è stata accompagnata da altri fatti non prevedibili, come l’eruzione del vulcano Eyjafjallajökull nel 2010. La variazione di irradianza, assieme all’iniezione di piccole particelle in atmosfera (il cosiddetto aerosol) dovuta all’attività vulcanica, ha di fatto diminuito il flusso di energia verso il suolo, contribuendo così ad un rallentamento del global warming.
Nella loro ricerca, Huber e Knutti affermano che tutti i fattori fin qui elencati, se messi assieme, sono in grado di spiegare lo stop delle temperature globali. Da qui seguono due importanti corollari. Nel primo si mette in evidenza la sostanziale validità dei modelli. Essi non sono (e non possono essere) costruiti per prevedere tutti i fenomeni naturali (come ad esempio le eruzioni vulcaniche), o non sono ancora in grado di simulare perfettamente i processi non lineari come il Nino; perciò sono intrinsecamente caratterizzati da errori – o meglio – da incertezze sulle proiezioni. Lo iato degli ultimi anni è dunque un’evidenza di questo.
Il secondo corollario riguarda l’impatto di tale iato. Se come detto, esso è prevalentemente associato ad eventi transitori, una netta ripresa del riscaldamento globale rimane fra le ipotesi più accreditate: la forzante dell’effetto serra riprenderà ad emergere non appena l’effetto di tali fenomeni comincerà a scemare.