Se volete sfidare un amico circa la capacità di rintracciare le stelle nel cielo notturno, potete usare come banco di prova l’osservazione delle Pleiadi. Si tratta di uno dei più noti ammassi stellari aperti, cioè un insieme di stelle che stanno raggruppate attraendosi reciprocamente per la forza di gravità. Il gruppo comprende alcune centinaia di stelle ma quelle ben visibili a occhio nudo, osservabili nella costellazione del Toro, sono sette e da queste può partire il collaudo della vostra potenza visiva; un test ampiamente utilizzato in molte culture antiche, come i nativi americani che osservavano il cielo stellato dal buio delle sconfinate praterie.
Le Pleiadi sono anche tra gli oggetti astronomici più citati nella letteratura e sono indubbiamente tra i più fotogenici: le fotografie scattate già parecchi anni fa dal telescopio di Monte Palomar, che mostrano le “sette sorelle” avvolte in nebulosi aloni blu, sono diventate uno dei simboli della bellezza celeste e della carica di stupore associata all’osservazione astronomica.
Ma questi oggetti così popolari sono anche fonte di una controversia scientifica, che coinvolge alcuni dei più potenti strumenti di indagine astronomica. La controversia riguarda una delle prime ed elementari informazioni che si possono conoscere dei corpi celesti: la distanza. Fino a una ventina d’anni fa c’era un consenso generale su una distanza stimata di circa 430 anni luce dalla Terra. Poi però è arrivato il satellite Hipparcos, lanciato dall’Agenzia Spaziale Europea nel 1989, prima missione spaziale dedicata all’astrometria cioè alle misure di precisione delle posizioni e delle distanze di migliaia di stelle. Ebbene, Hipparcos ha collocato le Pleiadi a soli 390 anni luce da noi. Una differenza non da poco; ancor più rilevante se si considera che questo ammasso (cluster) funziona come una sorta di “laboratorio cosmico” per stimare la distanza di altri più lontani cluster e migliorare la nostra conoscenza delle loro caratteristiche fisiche e della loro storia evolutiva.
Era necessario quindi evitare ogni incertezza; e ci ha pensato in un primo tempo il Telescopio Spaziale Hubble, che ha riconfermato le misure tradizionali, indicando un valore vicino ai 440 anni luce; solo che la misura è stata fatta su un’unica stella dell’ammasso mentre Hipparcos aveva fatto la media su una cinquantina di stelle.
Adesso comunque la controversia potrebbe avviarsi verso una soluzione. Un gruppo di astronomi che operano presso il National Radio Astronomy Observatory (NRAO) ha recentemente condotto una campagna osservativa utilizzando una rete mondiale di radiotelescopi per ottenere una misura di alta precisione della distanza in questione. La rete è quella del Very Long Baseline Array (VLBA), un gigantesco sistema di 10 radiotelescopi distribuiti in location che vanno dalle Hawaii alle Isole Vergini; dal telescopio di Green Bank in West Virginia, al celebre telescopio dell’Osservatorio di Arecibo a Puerto Rico, all’Effelsberg Radio Telescope in Germania.
Lavorando insieme, questi telescopi sono l’equivalente di un telescopio delle dimensioni della Terra; danno quindi la possibilità di effettuare misure di posizione estremamente accurate: per farsene un’idea, potrebbero permetterci di leggere un giornale posto su un terrazzo di Los Angeles stando a New York. Per calcolare le distanze stellari, il VLBA ricorre a una tecnica tradizionale dell’astronomia, nota fin dall’antichità e basata semplicemente sulla trigonometria: è la misura dell’angolo di parallasse dal quale si vede un oggetto celeste spostandosi in punti diametralmente opposti lungo l’orbita terrestre.
Il responso, pubblicato su Science, è chiaro e nettamente contrario a Hipparcos: la distanza delle Pleiadi è di 443 anni luce, registrati con un’accuratezza entro l’uno per cento. Un motivo di sollievo per gli astronomi, perché su quel valore tradizionale della distanza delle sette sorelle
Resterebbe da capire il perché dell’insuccesso di Hipparcos; che peraltro aveva svolto egregiamente la sua missione misurando con precisione le distanze di 118.000 stelle; al momento gli scienziati non sanno darne una spiegazione convincente. Ci sarà però la possibilità di una controprova grazie a un altro veicolo spaziale, Gaia, lanciato nel dicembre del 2013, che utilizzerà una tecnologia simile a quella di Hipparcos per misurare le distanze di circa un miliardo di stelle: le misure saranno poi sottoposte al controllo incrociato dato da grandi sistemi di radio-telescopi.
Possiamo solo immaginare come avrebbe reagito Galileo in una situazione del genere: si sarebbe probabilmente buttato nella mischia e avrebbe detto la sua. Nel 1609 si è potuto limitare a disegnare le Pleiadi nel Sidereus Nuncius, ad osservare che “la settima non appare quasi mai” e a registrarne altre 36.