L’estate 2014 volge al termine. In molte regioni italiane, soprattutto quelle centro-settentrionali, difficilmente sarà ricordata come la “bella stagione”. Abbiamo tutti certamente ancora in mente le notizie delle tragiche alluvioni nel trevigiano e nel Gargano e delle ricorrenti esondazioni del Seveso a Milano. Dando un’occhiata ai dati, in effetti, si scopre che quest’estate, abbastanza fresca rispetto a quelle a cui eravamo abituati negli ultimi anni, è stata decisamente piovosa, soprattutto nelle zone prealpine del Nord Italia e nelle pianure limitrofe.



Dal Centro Geofisico Prealpino si rimarca che a Varese nell’estate 2014 (che per le statistiche a carattere meteorologico e climatico si considera dal 1 giugno al 31 agosto) si sono registrati ben 44 giorni di pioggia, praticamente uno su due. A Milano la quantità di precipitazione caduta durante i mesi estivi ha sfiorato il doppio del valore normale, attestandosi a 446 mm (fonte Società Meteorologica Italiana), quasi la metà dell’accumulo medio annuale sul capoluogo lombardo.



Anche nel vicino Canton Ticino le precipitazioni estive sono risultate vicine al doppio del loro valore climatologico e a Lugano l’estate 2014 ha registrato addirittura il minor numero di ore di sole dall’inizio della serie storica della stazione meteo, cioè dal 1884 (fonte MeteoSvizzera). Va sottolineato che è soprattutto nell’area pedemontana e prealpina tra Como e Bergamo, passando per la Brianza e il Lecchese, che si sono raggiunti valori di precipitazione ragguardevoli con accumuli stagionali superiori ai 900 mm in vaste aree (fonte Centro Meteorologico Lombardo).

Dall’osservazione di questi dati si nota che elevati accumuli di pioggia sono stati registrati in particolare nelle aree pedemontane e di pianura poste in prossimità dei primi rilievi alpini. Si può quindi ipotizzare che, in una situazione meteorologica a scala continentale che favorisce una persistente instabilità sulle nostre regioni, la presenza di un’orografia particolarmente complessa nel Nord Italia abbia giocato un certo ruolo nel favorire la produzione di precipitazioni.



In effetti, è abbastanza noto che la presenza di una montagna è d’aiuto per la formazione di nuvolosità: quante volte infatti durante un’escursione in una giornata inizialmente serena abbiamo notato le cime dei monti scomparire dietro a bianche nuvolette mentre intorno il cielo rimaneva pressoché sereno (“Quaand che la Grigna la g’ha soe el capèll…”, canta Davide van de Sfroos).

Possiamo spiegare questo semplice processo immaginando di considerare un “cubetto” d’aria in movimento in atmosfera: quando questo volumetto viene costretto a salire di quota a causa dell’interazione con un rilievo, esso si espande perché si trova a pressioni via via minori e così facendo si raffredda. Se il rilievo è abbastanza alto questo raffreddamento può portare alla condensazione del vapore acqueo contenuto nel volumetto e quindi alla formazione di goccioline (la nuvola).

Ora, assodato che la presenza di rilievi favorisce la formazione di nuvolosità, occorre capire come e dove i rilievi possono contribuire ad intensificare le precipitazioni in situazioni di instabilità come quelle osservate questa estate. Naturalmente esiste una grande varietà di situazioni che possono portare a episodi di questo tipo e negli ultimi anni sono state condotte diverse campagne volte allo studio di questi meccanismi d’interazione.

Qui di seguito presentiamo brevemente dei risultati contenuti in uno studio all’interno del progetto europeo HyMeX, che si occupa di studiare i meccanismi relativi alle precipitazioni intense nel Mediterraneo e tra le cui “target areas” figurano anche la Liguria e le regioni di Nord-Est. In particolare, in questo studio (condotto da chi scrive, con la supervisione del dottor Silvio Davolio, ricercatore all’ISAC-CNR di Bologna), si è cercato di evidenziare quali fattori distinguono i due regimi di eventi di precipitazione estrema più frequenti nel Nord-Est italiano.

Effettuando simulazioni numeriche per mezzo di modelli di previsione meteorologica, si è cercato quindi di discriminare eventi in cui le precipitazioni più intense e durature si registrano sui monti (come nel caso dell’alluvione di Vicenza causata dall’esondazione del fiume Bacchiglione nell’autunno 2010) rispetto ad altri in cui le precipitazioni, a carattere temporalesco, stazionano sulle pianure e sulle coste sopravvento ad essa (come avvenuto il 26 settembre 2007 , con massimi di 300 mm in poche ore nella zona di Mestre e conseguenti importanti allagamenti ).

In tutti gli eventi analizzati si è osservata l’interazione tra un flusso sciroccale di aria umida e mite proveniente dall’Adriatico con una massa di aria più fredda (e quindi più densa) presente sulla pianura veneta, bloccata dalla catena alpina. Inizialmente si è cercato di ricondurre la differenza nell’evoluzione tra i due tipi di eventi ai valori del numero di Froude, parametro fluidodinamico che esprime il rapporto tra l’energia cinetica del flusso incidente e la sua capacità di sollevarsi oltre l’ostacolo montuoso.

Si è visto però che la realtà dei casi è più complicata e altri fattori sono venuti a galla. Infatti, nella zona di convergenza tra le due masse d’aria il flusso incidente proveniente dal mare viene sollevato sopra lo strato più denso (che quindi si può considerare come una “montagna efficace”); a questo punto il comportamento del flusso incidente dipende soprattutto dalle sue caratteristiche di stabilità. Infatti, nei casi in cui questo iniziale sollevamento è sufficiente per innescare il rilascio di instabilità e la genesi di celle temporalesche, l’evoluzione conseguente vede la persistenza dell’attività convettiva in questa zona di convergenza, con forti temporali stazionari su pianure e coste.

Al contrario, se le correnti sciroccali hanno bisogno di essere portate a quote superiori per poter rilasciare l’instabilità, esse scorrono sopra lo strato più denso senza innescare particolari fenomeni, erodendolo gradualmente e scaricando sulla barriera alpina importanti quantità di precipitazione.

Da questa breve spiegazione si intuisce come sia necessario analizzare in profondità le proprietà termodinamiche dei flussi coinvolti. L’importanza di analisi come quella appena descritta inoltre supera i singoli casi. Ad esempio, anche la Liguria è nota per numerose recenti alluvioni e anche in quei casi le precipitazioni più intense sono avvenute sulla zona di convergenza tra aria umida e mite proveniente dal Mediterraneo e aria più fredda in uscita dalla Pianura Padana.

È evidente quindi quanto possa essere importante prevedere correttamente la zona in cui questa convergenza può trovarsi (Genova o Cinque Terre, per restare agli ultimi eventi). In quest’ottica, anche i numerosi eventi intensi registrati quest’estate potranno aiutarci a capire in maniera più esauriente la dinamica dell’interazione tra l’orografia e le diverse masse d’aria, in modo da poter descrivere sempre meglio i fenomeni ad essa correlati.

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