Almeno per una volta nella vita siamo tutti sobbalzati alla vista di un cielo stellato. E tanto il cielo stellato ha ispirato la poesia e le arti figurative. Ma forse più raramente ci siamo soffermati a pensare se e come la volta stellata abbia (o abbia avuto) un impatto sulla civiltà fino ad incidere su di essa a tutti i livelli, compreso quello architettonico.  



È quello che il professor Giulio Magli, ordinario di Fisica Matematica al Politecnico di Milano, ha provato a raccontare al grande pubblico durante la Notte dei Ricercatori dello scorso venerdì, nella suggestiva location del Planetario di Milano, all’incontro “Dal calendario agricolo alla stella di Cesare: l’astronomia a Roma al tempo di Augusto”.



La conferenza era un assaggio di come possa essere insolito quanto interessante studiare la civiltà della gloriosa Roma dal punto di vista dell’Archeoastronomia, cioè della scienza che studia il ruolo dell’astronomia nell’architettura e più in generale nella cultura delle civiltà antiche. 

L’archeoastronomia è lo studio di come gli antichi interpretavano ed eventualmente utilizzavano i fenomeni celesti. Per fare ciò la disciplina dell’archeoastronomia necessita di diverse quanto lontane metodologie, idee e conoscenze, dovendo tenere assieme storia, archeologia, antropologia, astronomia e statistica. L’evidente interdisciplinarità dello studio ha richiesto agli archeoastronomi molto tempo per integrare i dati in un sistema coerente, anche se per intravedere l’interesse in suddette relazioni basta pensare  allo spettacoloso complesso di Stonehenge, una sorta di osservatorio astronomico del periodo tra il 2500 a.C.  e il 2000 a.C. , il cui asse è orientato in direzione dell’alba nei solstizi estivi ma non invernali.



Un primo utilizzo dell’astronomia nella civiltà romana è nelle centuriazioni, cioè nelle divisioni regolari di migliaia di chilometri quadrati di territorio, realizzate dai romani con incredibile precisione. Un secondo esempio è legato al calendario e al raccolto per la cui pianificazione è necessaria la messa a punto di un calendario. Può sembrare banale, ma “contare” il tempo, creare cioè un calendario affidabile e stabile per il raccolto, non era un problema di poco conto. I primi calendari erano infatti lunari, basati cioè sulla ciclicità delle fasi della luna. Un mese lunare è di circa ventotto giorni e i calendario che si ottiene in questo modo è buono, ma non sufficientemente preciso. 

Per sapere invece quando era il tempo della mietitura si ricorreva ad un altro fenomeno, il cosiddetto sorgere eliaco delle Pleiadi. Il fenomeno utilizzato era quello per cui non tutte le stelle sono sempre visibili in tutti i periodi dell’anno, ma ciascuna stella ha dei periodi in cui è visibile di notte e altri in cui non è visibile di notte. Il primo giorno dell’anno in cui una stella è visibile di notte è detto il suo levare eliaco. L’utilizzo di tale fenomeno nell’agricoltura risale già a civiltà precedenti a quella romana, come indicato da Esiodo (Le opere e i giorni – III, vv. 383-386): «Quando sorgono le Pleiadi, figlie di Atlante, / incomincia la mietitura; l’aratura, invece, al loro tramonto. / Queste sono nascoste per quaranta giorni / e per altrettante notti; poi, inoltrandosi l’anno, / esse appaiono appena che si affili la falce.»

Fino all’età di Augusto le stelle avevano dunque impatto sull’architettura e sull’agricoltura grazie a quella loro particolare caratteristica che potremmo sintetizzare con la parola “affidabilità”. «Dal periodo di Augusto in poi le stelle iniziano a rivestire un nuovo ruolo, questa volta più simbolico e legato alla costruzione del potere imperiale», spiega il professor Magli mostrando come le stelle iniziarono con Augusto ad essere una sorta di “legittimazione” del potere imperiale e dettagliando l’affermazione con due excursus, uno sulla città di Aosta e uno sulla costruzione del Pantheon, sui quali qui non ci soffermiamo. Probabilmente anche in questo secondo contesto si può assumere il ruolo delle stelle nella civiltà romana a garanzia di “affidabilità”: nel caso dell’agricoltura e delle centuriazioni era “affidabilità per la precisione”, nel caso del loro legame con la legittimazione del potere imperiale era “affidabilità morale”. 

L’incontro tra chi fa ricerca e il grande pubblico è sempre un momento molto particolare. Sia per chi fa ricerca, che per il grande pubblico. Per il grande pubblico è un’insostituibile apertura di orizzonti. Per chi fa ricerca è l’occasione per porre davanti a tutti quel rapporto totalmente personale con il particolare aspetto del vero che ciascun ricercatore tutti i giorni tiene per i capelli cercando di tirarlo sempre più su per guardarlo in faccia.