Il loro studio ha permesso ai tre scienziati, Rothman, Shekman e Sùdho di vincere il Premio Nobel per la Fisiologia e la Medicina nel 2013; meno di una anno dopo sono entrate come co-protagoniste in una ricerca densa di promesse per molte terapie in campo oncologico e non solo. Stiamo parlando delle microvescicole che rappresentano un sistema di grande interesse e attualità nelle bioscienze: i meccanismi alla base del sistema microvescicolare governano infatti il trasporto delle molecole sia all’interno della cellula che da essa verso l’esterno e sono fondamentali anche per il trasferimento di informazioni da cellula a cellula.



La ricerca recente cui ci riferiamo è quella coordinata da Augusto Pessina, professore di Microbiologia all’Università degli Studi di Milano, dal dottor Giulio Alessandri dell’Istituto Neurologico “Carlo Besta” e dalla dottoressa Luisa Pascucci della Università degli Studi di Perugia (prima firma della relativa pubblicazione sulla rivista Journal of Controlled Release). La novità del loro lavoro sta nell’aver dimostrato, per la prima volta, che il farmaco antineoplastico (Paclitaxel), assunto dalle cellule, è successivamente rilasciato non solo in forma libera, ma anche all’interno di microvescicole e/o esosomi. Infatti, lo studio eseguito “in vitro” su un modello tumorale particolarmente aggressivo come il carcinoma pancreatico suggerisce che le microvescicole derivate da cellule mesenchimali rilasciano il farmaco a concentrazioni efficaci, contrastando la proliferazione tumorale.



Ecco allora le altre protagoniste della scoperta: le cellule mesenchimali. È ormai abbastanza noto che le cellule stromali mesenchimali (meglio note come “staminali mesenchimali”), presenti in molti tessuti umani adulti, in particolare nel midollo osseo e nel tessuto adiposo, sono in grado di rigenerare e riparare tessuti organici danneggiati. Quello che si è scoperto è che queste stesse cellule possono essere utilizzate anche come “veicoli” (carrier) per trasportare farmaci e avere una maggiore efficacia terapeutica grazie alla loro specifica capacità di raggiungere in modo mirato l’organo malato. Le cellule mesenchimali possono essere infatti “caricate in vitro” con farmaci chemioterapici e successivamente utilizzate con efficacia per il trattamento dei tumori.



Abbiamo chiesto al professor Pessina, perché ricorrere alle staminali mesenchimali come carrier? «Le cellule staminali mesenchimali sono facilmente coltivabili “in vitro” e quando inoculate “in vivo” sembrano dimostrare un significativa capacità di raggiungere i tessuti patologici  (per esempio dove vi siano stimoli infiammatori). Per questa ragione queste cellule possono costituire un valido strumento per veicolare anche farmaci come gli agenti antitumorali. Sono già stati fatti tentativi con cellule geneticamente manipolate per produrre sostanze (come citochine o altri fattori)  con effetto inibitore in grado di ostacolare la crescita di cellule neoplastiche sia in vitro che nell’animale. Questi risultati sono interessanti e promettenti  ma pongono seri interrogativi circa la sicurezza (essendo cellule manipolate) qualora siano utilizzate in terapia a causa del  rischio di produrre esse stesse patologie».

La ricerca appena pubblicata apre un nuovo campo di indagine riguardante le funzioni cellulari di base (bio-farmaco-tossicologiche) e interessanti prospettive relativamente all’uso di cellule e di loro prodotti (microvescicole) per il trasporto e il rilascio di farmaci in applicazioni cliniche. Pessina sottolinea che «il dispositivo cellula-farmaco può essere preparato mediante procedure semplici e poco costose, senza alcuna manipolazione di tipo genetico e ciò riduce o elimina del tutto i rischi correlati alla manipolazione di geni: in questo modo la cellula caricata del farmaco può essere usata come “veicolo” fisiologico all’interno dello stesso organismo».

Ma qual è l’importanza della liberazione del farmaco in microvescicole? «Il fatto importante è che in futuro si potrebbero anche produrre in vitro microvescicole contenenti il farmaco attivate per specifici tipi di tumore. Ciò potrà rendere più selettiva e mirata la terapia e permetterà di preparare anche microvescicole quasi personalizzate. In particolare queste potrebbero essere usate per portare il farmaco e concentrarlo in distretti anatomici difficili da raggiungere».

È opportuno sottolineare che non si tratta ancora di una terapia disponibile nella pratica clinica quotidiana; ma il risultato raggiunto dal team milanese-perugino rappresenta una indubbia novità. C’è da aggiungere che la scoperta offre anche altre prospettive terapeutiche oltre a quelle evidenziate dallo studio in ambito oncologico. «Sono sviluppi molto probabili – osserva Pessina – ma che dipenderanno dalla aumentata conoscenza della biologia di queste cellule e dalla verifica di quali altre cellule hanno questa capacità. Nostri studi preliminari ci fanno pensare che molte altre popolazioni cellulari si comportano nello stesso modo. Forse ancora più interessante sarà capire il ruolo che hanno le cellule staminali mesenchimali durante i trattamenti farmacologici tradizionali (per esempio nel sequestrare i farmaci) aprendo anche un nuovo orizzonte agli studi di farmacocinetica».