Ha appena presentato al 25esimo Space Flight Mechanics Meeting a Wlliamsbug (Virginia) un nuovo metodo per progettare le traiettorie dei futuri viaggi su Marte: Francesco Topputo, del Dipartimento di Scienze e Tecnologie Aerospaziali del Politecnico di Milano, raccoglie i consensi della comunità aerospaziale americana e poi racconta volentieri a ilsussidiario.net l’idea sviluppata insieme a Edward Belbruno della Princeton University; idea che ha trovato un significativo risalto sull’ultimo numero di Scientific American e attende la pubblicazione su Celestial Mechanics and Dynamical Astronomy.
«Nell’approccio tradizionale si progettano le traiettorie spaziali risolvendo i cosiddetti problemi di Keplero, cioè i problemi dei due-corpi: ad esempio, se sto andando su Marte, considero soltanto l’attrazione gravitazionale del Sole e, in prima approssimazione, ignoro gli altri effetti; il problema così impostato ha una soluzione analitica di semplice trattazione. Quando poi arrivo vicino a Marte, mi dimentico del Sole e adotto un modello che vede solo la sonda e il Pianeta: quindi ancora due corpi. Le soluzioni dei problemi dei due corpi sono delle coniche (cioè curve come ellisse, parabola, iperbole, ndr), quindi posso raccordare le curve trovate e arrivare alla traiettoria complessiva: è un metodo indicato come patched-conics, cioè coniche riunite».
Questo metodo funziona, è ben collaudato e ha permesso di progettare le missioni spaziali negli ultimi sessant’anni. Se però vogliamo considerare sempre tutte le attrazioni gravitazionali agenti sul satellite, possono accadere degli effetti non osservabili con l’approccio classico. Uno di tali effetti è chiamato “cattura gravitazionale” o “cattura balistica”: «Cosa avviene nelle missioni interplanetarie? Succede che il satellite viene attratto dalla gravità del Pianeta sul quale ci stiamo dirigendo; è un effetto che si verifica sotto certe condizioni ed è di tipo non lineare, con una stabilità molto debole».
Quello che hanno fatto Topputo e Belbruno è stato lo studio della cattura balistica nel caso di un viaggio verso Marte; l’hanno analizzato nel modo più rigoroso possibile e sono arrivati a una soluzione interessante. Secondo il loro progetto, il satellite attua una manovra di spazio profondo e poi si lascia andare, come se fosse su uno scivolo; dopo di che ci pensa la natura, secondo la legge di Newton, a fare tutto il resto: quindi a fare in modo che il satellite sia catturato dalla gravità di Marte e poi orbiti spontaneamente attorno al Pianeta per un numero prescritto di volte.
Topputo riassume l’importanza di questa impostazione a tre livelli. «Anzitutto ci libera dai vincoli sulle finestre di lancio ( cioè dei periodi utili per effettuare con successo il lancio): nel caso di Marte, con l’approccio tradizionale la finestra di lancio sarebbe ogni due anni e mezzo; seguendo le nostre traiettorie possiamo allargarla e avere quindi maggior flessibilità nel caso che sorgano problemi mentre il satellite è in orbita di parcheggio attorno alla Terra o altro.
Un secondo vantaggio è la sicurezza nell’arrivo: trattandosi di un arrivo a più bassa velocità, ci permette di orbitare attorno a Marte in modo naturale per molti giorni potendo così stabilizzare in modo più sicuro la traiettoria. Nell’approccio patched-conics invece l’avvicinamento a Marte avviene su un’iperbole, è molto veloce e c’è un solo punto per chiudere l’orbita, nel pericentro della curva: se per caso qualcosa va storto in quel punto, il satellite vola via, facendo un flyby del Pianeta e decretando il fallimento della missione».
Il terzo punto, che ha certamente impressionato favorevolmente i tecnici della Nasa, riguarda i costi, «che sono inferiori in termini di massa di propellente necessario ad effettuare il trasferimento. Ciò può essere sfruttato per lanciare una massa più ridotta, con conseguente risparmio in termini economici; oppure per imbarcare più strumenti a parità di massa lanciata, con conseguente massimizzazione del ritorno scientifico della missione. Secondo i nostri calcoli, il costo è inferiore quando si arriva a orbite molto grandi, quindi con raggi oltre i 20-30mila chilometri. Ciò non va bene per missioni con equipaggi umani, ma va benissimo per tutte le missioni di tipo cargo. C’è infatti da considerare un “effetto collaterale” della cattura balistica, cioè il fattore tempo che è di qualche centinaio di giorni più lungo rispetto all’altro metodo; questo è l’unico elemento non vantaggioso, che però incide meno nel caso dei voli cargo o di missioni robotizzate».
Finora la cattura balistica è stata provata in una missione lunare, negli anni ’90 quando si trattava di salvare il satellite Hiten, anche se con un meccanismo un po’ diverso. Su Marte non si pensava di poterla applicare in modo utile per qualche missione e invece il “lavoro certosino” di ricerca e di simulazioni numeriche dei due ingegneri ha mostrato che ci sono orbite di questo tipo adatte anche per missioni marziane. Il prossimo passo per renderle operative sarà di progettare l’intero “sistema spaziale”, cioè l’insieme di orbita, satellite, apparecchiature e software, che potrà essere confrontato con quelli utilizzati finora per scegliere la configurazione ottimale.
E per altre missioni interplanetarie? Topputo conferma che qualcuno sta già lavorando per valutare la fattibilità della cattura balistica su Mercurio e comunque si presterebbe per i viaggi su Venere a anche sulle lune di Giove; è meno adatta invece per i pianeti esterni, dove si porrebbero problemi di tempi: «infatti la scala temporale alla quale si manifesta questo fenomeno è funzione del periodo dei pianeti attorno al Sole e, si sa, da Giove in avanti il moto planetario è più lento e la cattura richiederebbe tempo troppo lunghi per essere applicabile utilmente».