Inverno, tempo di raffreddori. Non è un abbinamento casuale. Anche se non consolerà molto chi si è affetto in questi giorni dalla fastidiosa patologia, è interessante conoscere i risultati di una ricerca condotta nei laboratori di immunobiologia dell’università statunitense di Yale che ha confermato l’idea, peraltro abbastanza diffusa, che l’esposizione a temperature fredde favorisce l’insorgere del raffreddore. 



Oggetto dello studio, ad opera di un team guidato da Akiko Iwasaki, è il Rhinovirus, un virus del Gruppo IV (Virus a RNA), del genere Enterovirus: è stato scoperto nel 1950 ed è considerato la causa più frequente del comune raffreddore, oltre che una delle più importanti cause di esasperazioni asmatiche. Era già noto che la maggior parte dei ceppi di Rhinovirus replicano meglio alle temperature più fredde che si trovano nella cavità nasale (33-35 °C) piuttosto che alle temperature corporee interne, come quella polmonare (37 °C); non sono comunque tuttora ben noti i meccanismi sottostanti il fenomeno. Tuttavia, come ha osservato lo stesso Iwasaki, l’attenzione degli studi precedenti si era concentrata su come la temperatura corporea influenza virus nella sua reazione col sistema immunitario più che sul meccanismo di crescita virale in funzione della temperatura.



Per ottenere informazioni in proposito, il gruppo interdisciplinare di Yale ha esaminato le cellule prelevate da vie aeree di topi e ha confrontato la risposta trascrizionale di cellule epiteliali delle vie aeree principale di topi infettati con Rhinovirus a diverse temperature: gli scienziati hanno misurato la risposta immunitaria al Rhinovirus quando le cellule sono state incubate a 37 °C rispetto a quelle trattate a 33 °C: le misure hanno confermato che la risposta immunitaria innata è compromessa quando si agisce alla temperatura più bassa rispetto alla temperatura corporea media.

Lo studio, appena pubblicato nei Proceedings of the National Academy of Sciences (PNAS) in un articolo dal lungo titolo “Temperature-dependent innate defense against the common cold virus limits viral replication at warm temperature in mouse airway cells”, ha anche suggerito che le temperature variabili influenzino la risposta immunitaria piuttosto che il virus stesso. I ricercatori hanno osservato attentamente un particolare fenomeno: la replicazione virale nelle cellule delle vie aeree di topi portatori di deficienze genetiche in quei sensori del sistema immunitario che individuano i virus e nella risposta antivirale; in particolare nei recettori RLR (RIG-I-Like Receptor). Hanno così scoperto che con queste immunodeficienze il virus è stato in grado di replicare alla temperatura più elevata; il che dimostra che non è solo qualcosa di intrinseco al virus, ma che è piuttosto la risposta dell’ospite a dare il maggior contributo.



La ricerca, anche se è stata condotta su cellule di topo, offre importanti indizi che potranno rivelarsi utili per tutti coloro che vengono colpiti da questa malattia di stagione e in particolare per quel 20% – è il valore stimato – della popolazione che “coltiva” nelle sue mucose nasali colonie di Rhinovirus.

Ma non è in questione solo il raffreddore. Iwasaki e collaboratori sperano di poter applicare queste nuove conoscenze ad altre situazioni patologiche dove la temperatura influenza la risposta immunitaria: ad esempio nell’asma infantile. Mentre il comune raffreddore per molte persone è poco più di un fastidio, nei bambini affetti da asma può causare gravi problemi respiratori. A Yale si accingono a studiare in modo più approfondito la risposta immunitaria all’asma indotta da Rhinovirus.

Nel frattempo, per tutti vale il vecchio consiglio di proteggere la cavità nasale con una confortevole sciarpa.