Dall’agosto 2007 sulla Stazione Spaziale Internazionale (ISS)è installata, tra le altre, una speciale apparecchiatura tutta italiana che permette la registrazione di dati cinematici – cioè del movimento – dei segmenti corporei degli astronauti posti sotto osservazione: è denominato Elite-S2 ed è un sistema optoelettronico multifattoriale, composto da un insieme di telecamere e da un sistema di elaborazione di immagini, che registra il movimento tridimensionale acquisito ad alta frequenza con sensori, in modo da riconoscere nelle immagini elaborate i marcatori catarifrangenti posti sul corpo dell’astronauta. Elite-S2 è stato progettato sotto il coordinamento scientifico del professor Giancarlo Ferrigno del Nearlab del Politecnico di Milano ed è stato sviluppato con il finanziamento dell’Agenzia Spaziale Italiana (ASI) da parte dell’azienda livornese Kayser Italia srl. Il sistema, progettato e sviluppato tra il 1998 e il 2005, consente di acquisire con l’accuratezza di un millimetro la posizione in 3D dei marcatori. 



Già tre astronauti sulla ISS l’hanno utilizzato e ora è stata la volta di Samantha Cristoforetti, che sta proseguendo l’intensa attività scientifica e sperimentale della missione “Futura”, la seconda di lunga durata dell’ASI. Samantha l’ha impiegato per gli esperimenti “Blind and Imagined /SLINK”, un progetto – finanziato dall’ASI e realizzato in collaborazione con Politecnico di Milano e IRCCS Fondazione Santa Lucia – che prevede due esperimenti congiunti indirizzati a studiare i cambiamenti nei movimenti dell’astronauta in assenza di gravità e il processo di adattamento del controllo motorio e della modellazione della gravità nel cervello dell’astronauta. 



Il primo protocollo sperimentale MOVE SB, proposto dal gruppo del laboratorio di Neuroingegneria e Robotica Medica del Politecnico di Milano, guidato da Alessandra Pedrocchi, prevedeva che Samantha da una postura eretta, con i piedi fissati al pavimento, raggiungesse due punti sulla parete di fronte a lei con gli indici. Già al quarto giorno di volo era stata eseguita una prima sessione di esperimenti e nei giorni scorsi l’astronauta italiana ha condotto con successo una seconda serie di prove, come ha confermato a Ilsussidiario.net la stessa professoressa Pedrocchi: 

«Dal punto di vista scientifico i risultati emergeranno dall’analisi di tutti i dati – analisi che sarà oggetto di studio di due giovani ricercatori nei due centri coinvolti, Claudia Casellato del Politecnico e Silvio Gravano della Fondazione Santa Lucia – però possiamo già dire che l’acquisizione è avvenuta con successo nel senso che Samantha ha potuto eseguire tutta la procedura nei tempi giusti e secondo le nostre attese. Il protocollo sperimentale è molto complicato per essere eseguito lassù, nel senso che Samantha ha dovuto preparare il set up svolgendo tutta una parte da operatore: montare le telecamere e controllare che siano ben posizionate e ben calibrate per le ricostruzione 3D dei dati; dopo di che ha eseguito i protocolli sperimentali previsti».   



Sulla Terra – spiega Pedrocchi – per compiere movimenti come questi, è necessaria l’integrazione del controllo del movimento di puntamento con il controllo dell’equilibrio. In volo, invece, l’astronauta non ha più il problema di mantenere l’equilibrio e quindi lo scopo dell’esperimento è di comprendere come cambia l’organizzazione dei segmenti corporei coinvolti (tronco, gambe, braccia ecc.). Il movimento è stato inoltre ripetuto dall’astronauta sia ad occhi aperti sia ad occhi chiusi, così da capire meglio il coinvolgimento della vista.

Ma qual è l’obiettivo di esperimenti del genere? «Esperimenti come questi servono principalmente a capire come il sistema nervoso centrale controlla postura, movimento e immaginazione della gravità. Noi siamo vissuti in un ambiente che è sempre stato caratterizzato dalla presenza della gravità, quindi il nostro cervello ha imparato a gestire il movimento in quel contesto ambientale; capire come il cervello si riadegua, come si adatta a un altro contesto, così decisamente diverso, ci aiuta a capire meglio i nostri processi di apprendimento. Sono gli stessi processi sui quali si lavora, ad esempio, nel caso di soggetti colpiti da un danno neurologico: anche in quei casi il cervello deve riapprendere le diverse procedure».

Simili esperimenti quindi non servono solo per orientare gli astronauti o per impostare l’attività di coloro che si dedicheranno ai viaggi spaziali: ci sono riflessi importanti per la nostra vita qui sulla Terra. «Lo scopo prioritario dei nostri esperimenti è essenzialmente conoscitivo: migliorare la nostra comprensione dei processi cerebrali. Le ricadute sono da un lato sulla vita degli astronauti e dall’altro sulla riabilitazione neuromotoria nelle attività cliniche terrestri».  

Una cosa analoga si può dire per l’altro protocollo sperimentale, proposto dal gruppo di ricerca guidato dalla professoressa Myrka Zago del IRCCS Fondazione Santa Lucia, che richiedeva di lanciare una pallina da tennis virtuale contro la parete di fronte e riprenderla, con differenti livelli di forza di lancio, immaginando sia la presenza sia l’assenza di gravità. Anche qui l’obiettivo è di studiare il meccanismo di interiorizzazione della gravità presente nel cervello e studiare come viene modificato dall’esperienza della microgravità.