Visitando il padiglione della Francia a Expo 2015 non passa inosservato il busto di un bianco marmoreo di Louis Pasteur, gloria nazionale transalpina ma soprattutto grande scienziato che molti considerano il padre della biotecnologia in quanto per primo aveva capito che alla base di molte trasformazioni, come la fermentazione sfruttata fin dall’antichità, stavano i microrganismi che attivano processi simili a quelli utilizzati dalla moderna bioindustria per la produzione di alimenti, bevande e altri prodotti di uso quotidiano.
Il richiamo a Pasteur risalta ancor più in questa settimana nella quale torna in tutta Europa la European Biotech Week (EBW) che propone un viaggio alla scoperta delle biotecnologie attraverso dibattiti, laboratori, porte aperte, premi, mostre e spettacoli per raccontare a un pubblico eterogeneo il biotech nei suoi diversi settori di applicazione e per celebrare il ruolo chiave delle biotecnologie hanno nel miglioramento della qualità della vita. La manifestazione, nata nel 2013 su iniziativa di EuropaBio in occasione del 60° anniversario della scoperta della struttura dell’elica del DNA, in Italia è coordinata e promossa da Assobiotec, l’Associazione nazionale per lo sviluppo delle biotecnologie che fa parte di Federchimica. Con 44 iniziative su tutta la penisola, il nostro Paese si conferma quello col maggior numero di appuntamenti pensati per platee di diversa natura: ricercatori, studenti, istituzioni, appassionati, imprese, famiglie.
Ma qual è lo stato di saluto del settore in Italia? A delinearlo ci aiuta il Rapporto predisposto per il 2015 dal Centro Studi Assobiotec, che si è focalizzata sulle pure biotech italiane, cioè «sulle tante start up e PMI innovative che, grazie alla riconosciuta eccellenza della ricerca accademica e industriale e alla tenacia di molti imprenditori, mostrano la capacità di sviluppare i risultati della ricerca di base, per portare sul mercato tecnologie e prodotti innovativi, creando valore per gli azionisti e occupazione qualificata». Per imprese “pure biotech” si intendono, secondo una definizione di Ernst&Young, quelle il cui core business rientra prevalentemente nell’utilizzo di moderne tecniche biotecnologiche per lo sviluppo di prodotti o servizi per la cura dell’uomo o degli animali, la produttività agricola, le risorse rinnovabili, la produzione industriale e la tutela dell’ambiente.
Il Rapporto analizza il settore distinguendo anche le varie tipologie di imprese Biotech: ci sono infatti le Red Biotech, che operano nel settore della salute dell’uomo e degli animali, utilizzando le moderne biotecnologie per lo sviluppo di prodotti per la cura e la prevenzione delle malattie; le Green Biotech, che operano nel settore agroalimentare, utilizzando tecniche biotecnologiche per la produzione di piante e colture vegetali per applicazioni in campo alimentare, chimico e produttivo in genere; ci sono le White Biotech, cioè le biotecnologie industriali attive nella produzione e trasformazione di prodotti chimici, biomasse, materiali e carburanti, incluse le tecnologie di bioremediation ambientale; infine ci sono le imprese Multi-business, che operano in almeno due dei settori sopra citati.
Ebbene, i numeri indicati da Assobiotec sono di tutto rispetto. Le imprese di biotecnologie attive in Italia a fine 2014 ammontano complessivamente a 384 (+1,6% sull’anno precedente); più della metà (251) sono imprese pure biotech e tra queste quelle a capitale italiano sono 225: con questo dato l’Italia è terza in Europa per numero di pure biotech, anche se – osserva il Rapporto – molte di queste aziende restano mediamente sottocapitalizzate per la difficoltà ad accedere a finanziamenti adeguati.
Il fatturato complessivo supera i 7,7 miliardi di euro (+4,2%); gli investimenti in Ricerca e Sviluppo ammontano a più di 1,5 miliardi di euro, con un numero di addetti in questo ambito prossimo alle 7.300 unità. L’industria biotech è uno dei comparti a più elevata intensità di innovazione e la produttività dei ricercatori italiani è elevata, se la si misura col parametro delle pubblicazioni: la nostra ricerca ha prodotto il 3,8% degli articoli scientifici del mondo ed è in prima posizione con una percentuale di citazioni che rimane sei volte superiore alla media.
Quanto alle tre tipologie prima elencate, bisogna dire che anche in Italia, come negli altri Paesi, a trainare l’intero comparto è il Red Biotech, dove opera la grande maggioranza delle imprese (72%) e che rappresenta, da solo, una quota preponderante del fatturato totale (96%) e degli investimenti dell’intero comparto (94%), alimentando un numero crescente di progetti, sia sul fronte della diagnosi che della terapia, volti a migliorare l’intero percorso di cura dal punto di vista clinico ed economico.
Le White Biotech italiane giocano un ruolo di primo piano nella trasformazione dei processi convenzionali in una prospettiva di efficienza e sostenibilità crescenti. «L’uso di enzimi e microrganismi per ottenere prodotti innovativi nei settori cartario, tessile e dell’energia fa del White Biotech uno dei segmenti di punta per la riqualificazione e la competitività del nostro sistema industriale».
Il Green Biotech conta 95 imprese di cui 61 pure italiane, tutte impegnate ad elevare la qualità e sostenibilità della catena alimentare, ad aumentare le produzioni agricole senza estendere le superfici coltivate, a preservare la biodiversità, a ridurre i consumi di acqua e l’input chimico, a contenere l’effetto serra.
Vale la pena ricordare che l’industria italiana ha inaugurato la prima bioraffineria avanzata, in grado di produrre bioetanolo da residui agricoli, definendo così un nuovo paradigma per lo sviluppo della Chimica Verde.