In InsideOut, nelle sale in Italia da qualche settimana, viene descritta una rappresentazione abbastanza fedele di quanto le neuroscienze ci hanno insegnato sul funzionamento del cervello. Ovviamente è un cartone animato rivolto comunque ai bambini e quindi con tutte le approssimazioni del caso. In qualche modo è un sequel del celebre film dedicato alla conoscenza dell’anatomia e della fisiologia umana nel quale, dopo un processo di miniaturizzazione, con una specie di astronave-sommergibile si poteva entrare nel circolo sanguigno e quindi dentro i vari organi.
Il film ha avuto un grande successo e ha ottenuto lo scopo, sicuramente cercato dagli autori, di far discutere i grandi circa il funzionamento del cervello e il suo ruolo nella vita dell’uomo, incrementando enormemente la pubblicità al prodotto.
Tra i commenti, per lo meno in Italia, l’articolo di Antonio Polito sul Corriere della Sera (4 ottobre) ha avuto grande eco e costituisce una pietra di paragone fondamentale per discutere del film. Cosa dice Polito di così rilevante e in qualche modo sorprendente? Fa un discorso molto semplice: fra i personaggi che di fatto manovrano la plancia di comando del cervello umano ne mancano due ritenuti fino a poco fa i più importanti per comprendere la persona umana: la ragione e la libertà. Allora tutto è governato dalle passioni, dai sentimenti? Parrebbe di sì, perché, anche se il cervello esplorato è quello della 11enne Riley nell’instaurarsi della adolescenza, è evidente che anche il cervello degli adulti che compaiono nel film funziona allo stesso modo.
A mio parere c’è però un aspetto fondamentale che non ho ancora colto nelle varie discussioni sul film. Le neuroscienze, per lo meno nella stragrande maggioranza degli autori, concepiscono il cervello come un supercomputer, superiore a tutti quelli che abbiamo prodotto, ma appunto come una macchina, ultimamente deterministica come tutte le macchine. È per questo motivo che ovviamente la libertà non può esistere ed è una pura illusione creata dalla potenza di calcolo del nostro cervello e che la ragione si identifica col software della macchina di cui non abbiamo ancora decifrato l’algoritmo.
Dunque questo è il motivo per cui questi due personaggi, ragione e libertà, non sono presenti: il film deve attenersi a quello che la Scienza dice. Tuttavia un film per essere tale deve raccontare una storia, altrimenti non può colpire la fantasia e il sentimento degli spettatori; detto in soldoni, non farebbe cassa. Ed è qui che accade la trovata! Certo il cervello è una macchina molto complessa, un labirinto di ricordi e esperienze passate, di meccanismi in grado di regolare e incendiare tutte le parti del corpo; i ricordi interagiscono continuamente con tutto quello che accade nel presente. E c’è una plancia di comando in grado di governare esattamente il comportamento con tutti suoi addentellati, reazioni, stanchezze ecc.
Ma, qui sta il punto, chi governa la plancia di comando? Cinque personaggi! Le neuroscienze direbbero: non ci può essere nessun personaggio perché la plancia di comando, cioè le connessioni con il resto del cervello e con tutte le parti del corpo, sono sotto il comando del supercomputer, la plancia di comando fa parte integrante del cervello, coincide con la CPU del computer.
Il film però, come dicevamo, deve raccontare una storia e se tutto fosse determinato a priori e meccanicamente da un computer, che storia potreste raccontare? Evidentemente nessuna; sarebbe la descrizione di una macchina, cioè una noia mortale. Allora il regista è costretto a trovare una soluzione: la plancia di comando è nelle mani di cinque personaggi, che saranno sì delle passioni, tra loro non si trovano la ragione e la libertà, ma sono dei “soggetti”, presentati come delle “persone”, quindi dotati di ragione e libertà. Infatti, esprimono giudizi, prendono iniziative, si rapportano tra loro, cadono e si perdono, incontrano anche i cancellatori di memorie, che guarda caso sono anche loro personaggi, perché devono “decidere” quali memorie cancellare per sempre.
Il regista è stato costretto dallo strumento artistico utilizzato a reintrodurre, anche se surrettiziamente, implicitamente, nascoste dentro le passioni, la ragione e la libertà, cioè “il soggetto”, colui che solo può utilizzare al meglio la macchina. Altrimenti a cosa serve la macchina? A nulla!
Senza soggetto, senza l’io, senza la ragione e la libertà di uno non c’è storia, non c’è dramma, non c’è niente di interessante, sarebbero tutte solo increspature del grande mare iniziato nel Big Bang, ma senza vita, senza significato, senza senso; insomma una noia mortale, quella prospettata dai neuroscienziati.