Da oltre dieci anni una collaborazione triangolare tra l’Istituto di Scienze dell’Atmosfera e del Clima (Isac) del Cnr, l’Università Politecnica delle Marche e l’Università di Galway (Irlanda) si è concentrata sullo studio delle proprietà chimico-fisiche dell’aerosol marino, in particolare organico, e del legame tra i processi biologici marini e il sistema clima. In questi anni sono stati raccolti dati presso la stazione costiera di Mace Head, sulla costa occidentale dell’Irlanda, e in oceano Atlantico attraverso una crociera scientifica. Tale collaborazione è attualmente inquadrata nell’ambito del progetto bilaterale finanziato dal Cnr “Air-Sea Lab”.
Recentemente, un primo gruppo di risultati pubblicati su Scientific Reports ha attirato l’attenzione internazionale: la ricerca – coordinata da Maria Cristina Facchini (Isac-Cnr), Roberto Danovaro (Università Politecnica delle Marche) e Colin O’Dowd (Università di Galway) – riguarda gli effetti del ciclo vitale dei microrganismi marini sul clima e ha il curioso titolo “Connecting marine productivity to sea-spray via microscale biological proceses: Phytoplankton Dance or Death Disco?”. Per arrivare a questa pubblicazione, l’Isac-Cnr di Bologna si è occupato principalmente della caratterizzazione chimica dello spray marino, l’Università di Galway della caratterizzazione delle proprietà fisiche rilevanti ai fini climatici dello spray, mentre l’Università Politecnica delle Marche ha messo a disposizione l’esperienza nello studio dei processi microbiologici marini.
Protagonista quindi è il fitoplancton, cioè l’insieme dei minuscoli organismi marini capaci di fotosintesi, tra primavera ed estate produce spettacolari fioriture algali che si estendono per migliaia di chilometri quadrati sulla superficie degli oceani, tanto da essere visibili anche dallo spazio. «Queste esplosioni di vita – ha spiegato Facchini – possono durare da giorni a settimane, ma poi terminano bruscamente, sia per la mancanza di nutrienti, sia ad opera dei virus marini che infettano e uccidono il fitoplancton. La morte repentina del plancton produce massicce quantità di sostanza organica che rimane sulla superficie oceanica e viene trasferita in atmosfera dall’aerosol marino, cioè la miscela di aria, acqua e particelle solide in sospensione che viene a crearsi a causa del moto ondoso. Quest’impalpabile nebbiolina, che il vento solleva dalla spuma marina, è quindi ricca di materia organica e contribuisce al bilancio radiativo terrestre, poiché va a formare foschie e nubi che bloccano la radiazione solare, provocando un effetto raffreddante sul clima del pianeta».
La novità di questo studio è relativa al ruolo che possono assumere in questo processo i virus marini. «I virus – come ha chiarito Danovaro – sono le forme di vita più microscopiche che vivono sulla Terra, ma sono capaci di imprese straordinarie, anche grazie alla loro abbondanza. Negli oceani ne esistono mille quadriliardi (un milione di miliardi di miliardi di miliardi, cioè 10 alla 30): non stupisce pertanto che possano infettare tutte le forme di vita che vi abitano. Uccidendo il fitoplancton, i virus rilasciano nano e micro particelle organiche nell’atmosfera in quantità molto maggiore di quella che sarebbe prodotta dalla morte naturale del plancton, che in tal caso si depositerebbe sul fondale marino».
«Sapevamo già – ha detto a Ilsussidiario.net un altro degli autori della ricerca, Matteo Rinaldi dell’Isac-Cnr, – che la sostanza organica prodotta dal fitoplancton veniva rilasciata e si ritrovava nello spray marino: quello che ora possiamo avanzare come ipotesi con un buon numero di evidenze è che in tutto questo complesso processo che è sistema climatico naturale, c’è un contributo anche delle infezioni virali. Quindi le infezioni virali del fitoplancton partecipano in m odo rilevante a quel complesso sistema di equilibri e di meccanismi di retroazione che poi determinano il clima».
Resta aperto l’interrogativo circa il segno di tale contributo. «Per ora – aggiunge Rinaldi – abbiamo posto un tassello in più nella comprensione del fenomeno. Quanto a capire se questo renda il clima più resistente o più vulnerabile è questione ancora di lungo lavoro che ci permetta di arrivare a stime più quantitative. Il ruolo di questi componenti organici in atmosfera non è ancora ben chiaro. Non possiamo dire in che direzione spinga; quel che possiamo dire è che queste infezioni virali modificano lo spray marino ma è ancora prematuro poter dare un segno positivo o negativo a questi effetti climatici».
Rinaldi preannuncia anche i prossimi passi della ricerca, che «riguarderanno lo studio più approfondito delle dinamiche che legano i processi microbiologici marini, come le infezioni virali, al clima attraverso l’uso combinato di osservazioni in ambiente ed esperimenti di laboratorio. Particolare attenzione sarà dedicata a comprendere l’effetto della sostanza organica emessa nello spray marino a livello climatico tramite l’uso di modelli».