Cosa potrebbe avere in comune il pomodoro che viene utilizzato, nella storica tradizione della cucina mediterranea, per condire un buon piatto di pasta, con il classico vino rosso, che abitualmente accompagna i nostri pasti? Un elemento chimico molto importante, un antiossidante presente in natura, che si chiama “resveratrolo”. Non solo, ma il dato che sorprende riguarda i quantitativi analizzati: mangiare un pomodoro, infatti, potrebbe voler dire incamerare una quantità di “resveratrolo” pari a ben 50 bicchieri di vino rosso. 



Questi dati eclatanti, però, non sono riferiti ai semplici pomodori che siamo abituati a consumare ma, piuttosto, rappresentano i risultati delle analisi svolte su un “super pomodoro”, ottenuto dai ricercatori del centro di ricerca britannico John Innes. Il gruppo di scienziati coinvolti nella scoperta, in cui è presente anche l’italiano Eugenio Butelli, è riuscito a ricreare una specie di pomodoro con funzioni di protezione delle nostre cellule contro i processi degenerativi, alla base dello sviluppo di invecchiamento e tumori.



L’articolo, uscito sulla rivista “Nature Communications”, descrive come la produzione di questo tipo di superpomodoro potrebbe diventare seriale, in modo da riuscire a estrarre il principio attivo per poter produrre, poi, integratori o cibi arricchiti. Questo potrebbe avere effetti importanti per contrastare l’incidenza di diversi tipi di tumori. 

E’, infatti, acclarato come una corretta alimentazione possa rappresentare una valida azione di prevenzione per lo sviluppo di molte patologie, come riportato nelle più recenti linee guida scientifiche. 

Ma il “resveratrolo” non è l’unico elemento che è presente in abbondanza, infatti, ci sono elevate quantità anche di “ginesteina”, la quale normalmente si trova nella soia e nei legumi, e che è particolarmente importante anch’essa per le sue proprietà antitumorali. 



La presenza di un alto quantitativo di molecole antiossidanti è stata resa possibile grazie all’aggiunta, nel DNA del pomodoro, dei geni responsabili della loro produzione. In più, tramite questa manipolazione genetica, è stata anche inserita la sequenza genica codificante per una proteina chiamata “AtMYB12”, che, di norma, è contenuta in una pianta molto diffusa nei laboratori di ricerca, l’ arabetta comune (Arabidopsis italiana). L’effetto della proteina, una volta codificata e prodotta dalla cellula, è quello di andare ad amplificare la produzione delle sostanze antiossidanti, innescando un meccanismo a catena, agendo direttamente sui geni coinvolti nella loro fabbricazione. 

L’importanza della scoperta è notevole perché apre il dibattito su nuovi scenari di ricerca, volti ad aumentare i mezzi a disposizione per combattere non solo il cancro, che è considerato il male del secolo, ma anche per fronteggiare i vari problemi inerenti la sindrome metabolica, un insieme di sintomatologie responsabili della maggior parte delle patologie sviluppate.