Periodicamente escono studi che mostrano gli effetti positivi della musica su diverse attività ed esperienze umane. Uno degli ultimi è quello apparso sulla rivista Lancet, contenente una metanalisi di una settantina di studi disponibili sul tema con la conclusione che l’ascolto di brani musicali offre notevoli benefici ai pazienti sottoposti a interventi chirurgici: non si tratterebbe solo di effetti di rilassamento ma anche di miglioramento nella percezione del dolore.



Oltre a questo tipo di indagini, che non sempre danno esiti concordi, ce ne sono alcune che analizzano situazioni specifiche che permettono di cogliere aspetti particolarmente interessanti del nostro rapporto con la musica, ma anche del funzionamento della nostra memoria. È il caso di un esperimento condotto dall’Università di Milano-Bicocca i cui risultati sono stati appena pubblicati in un articolo su Nature Scientific Reports: scopo dello studio era di indagare quale influenza ha ciò che ascoltiamo, sia musica o rumore di fondo, sui processi percettivi e cognitivi.



La ricerca, realizzata dal Milan Center for Neuroscience dell’Università di Milano-Bicocca (Dipartimento di Psicologia) e coordinata da Alice Mado Proverbio, docente di Psicobiologia e Psicologia Fisiologica presso l’Ateneo milanese, si è svolta su un gruppo di 54 studenti universitari non musicisti ai quali è stato proposto un esercizio di memoria: riconoscere i volti familiari tra i 448 che venivano loro mostrati dopo una sessione di apprendimento.

«Il nostro è stato uno studio specifico – ha detto a Ilsussidiario.net la professoressa Proverbio – sulla memoria visiva per informazioni sociali. Siamo partiti dal contesto della musica che accompagna le immagini dei film; nello stesso tempo abbiamo anche osservato l’effetto dei rumori di fondo sulla capacità cognitiva, in particolare sulla memorizzazione dei volti. Quindi volevamo vedere come la musica si integra con l’informazione visiva e se altri tipi di informazione uditiva possano interferire o meno con la memoria». 



Lo studio è stato condotto attraverso misurazioni psicofisiologiche, quindi misurando il battito cardiaco e la pressione sanguigna e successivamente anche l’attività cerebrale, per evidenziare il meccanismo col quale questa la codifica della musica si integra col riconoscimento facciale. In una prima fase dell’esperimento sono state mostrate ai partecipanti 56 immagini di volti di uomini e donne in associazione a un sottofondo sonoro (musica jazz e suoni naturali, ad esempio onde marine). Nella fase successiva sono state mostrate loro altre 300 facce sconosciute con un sottofondo di musica giudicata commovente o gioiosa o agitata da un gruppo di 20 musicisti in un precedente studio, oppure con il sottofondo del rumore della pioggia, oppure ancora in silenzio. Nella fase di test, i partecipanti vedevano altri 300 volti (200 vecchi e 100 nuovi) senza alcun sottofondo musicale e veniva loro chiesto di usare alternativamente il dito indice per “indicare” se si trattava di facce nuove e il medio per quelle già viste.

«Il risultato è stato il seguente. Qualsiasi informazione uditiva provoca un disturbo nello svolgimento di qualsiasi compito, che sia visivo o verbale o di altro tipo; anche rumori come la pioggia, quindi fenomeni del tutto naturali, interferiscono perché sovraccaricano il sistema cognitivo. Perciò, in generale, è meglio il silenzio. Tuttavia, se si ascolta musica “commovente”, pur di vari stili e epoche ma che induce stati d’animo di tenerezza, tristezza, nostalgia o altri effetti “toccanti” ebbene, questa musica aiuta a ricordare i volti. Qualunque espressione facciale abbia una persona, io integro quell’informazione morfologica con la musica che sto ascoltando; così come avviene con la colonna sonora durante la visione di un film: cosa sarebbero l’agente 007, Indiana Jones, la Pantera Rosa, il Padrino senza i loro famosi sottofondi sonori? Questo meccanismo di integrazione degli stati emotivi con le informazioni visive favorisce il ricordo delle facce». 

In un ulteriore studio il gruppo della Bicocca ha esaminato l’attività del cervello durante la visione delle facce, constatando che c’è una codifica da parte del sistema limbico, dell’amigdala e delle strutture emotigene che producono un engramma (cioè una traccia mnemonica, ndr) più solido quindi una memoria più profonda quando la visione è accompagnata da musica commovente.

Insomma, se dobbiamo studiare è meglio il silenzio; se invece vogliamo – o dobbiamo per qualche ragione – ricordare delle facce umane, allora l’ascolto di musica toccante migliora la prestazione.