Un esperimento viene smantellato, un altro è pronto per essere installato al suo posto, un altro ancora verrà inaugurato tra pochi giorni. È la vita movimentata dei Laboratori Nazionali del Gran Sasso dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (LNGS-INFN) che, allo sguardo del visitatore che percorre le tre gallerie sotterranee, appaiono silenziosi e imponenti ma nascondono, sotto i 1400 metri di roccia della grande montagna, una intensa attività. C’è l’attività creativa dei ricercatori che cercano tutti i modi possibili per catturare i neutrini e per risolvere l’enigma della materia oscura (dark matter). C’è l’attività meno appariscente dei tecnici che devono assicurare il corretto e puntuale funzionamento di sofisticate apparecchiature di misura e controllo. E c’è il movimento furibondo ma invisibile di tante particelle, come appunto i neutrini che – come ci spiega il Direttore dei LNGS Stefano Ragazzi che ci accompagna nella visita – partendo dalle profondità cosmiche o dal più vicino Sole, attraversano ogni cosa senza interagire e hanno bisogno dello schermo di tutta una montagna per essere rivelati distinguendoli dal rumore di fondo.
L’apparato in fase di smantellamento è il rivelatore Opera (Oscillation Project with Emulsion tRacking Apparatus) che è stato progettato nell’ambito del progetto CNGS (Cern Neutrinos to Gran Sasso) per fornire la prima prova diretta delle oscillazioni del neutrino, cioè delle trasformazioni tra due delle tre forme in cui questa particella esiste: il neutrino mu e il neutrino tau; ciò allo scopo di ricavare informazioni sulla massa – ritenuta fino a qualche tempo fa prossima allo zero- e sulle proprietà fisiche di questa particella.
Come si è svolto l’esperimento? Al Cern di Ginevra, un fascio di neutrini mu viene prodotto facendo scontrare dei protoni accelerati contro un bersaglio di grafite; i neutrini attraversano la crosta terrestre per 732 km e, viaggiando quasi alla velocità della luce, giungono dopo 2,4 millisecondi ai Laboratori del Gran Sasso. Ad attenderli c’era appunto Opera, una costruzione gigantesca del volume totale di 2.000 m3 e del peso di 4.000 tonnellate (come 7 Airbus A380); il rivelatore principale è costituito da 150.000 mattoncini, ciascuno dei quali pesa 8,3 kg ed è costituito da 56 lastre di piombo alternate a emulsioni fotografiche ultrasensibili. Il rivelatore fotografava i prodotti dell’interazione dei neutrini con i nuclei del piombo: se veniva fotografata una particella tau era la prova che un neutrino mu si è trasformato in neutrino tau nel tragitto dal Cern ai LNGS.
«L’esperimento Opera – dice Ragazzi – è concluso, o meglio, è conclusa la fase di raccolta dati che è durata dal 2007 al 2013. Verso la fine del 2015 finirà tutta la parte di sviluppo delle emulsioni nucleari; poi si elaboreranno ancora i dati. Ma il risultato più importante è stato raggiunto: si è avuta la conferma della formazione del neutrino tau sul percorso dal Cern al Gran Sasso, che era l’obiettivo principale dell’esperimento. Poi analizzando altri dati si potranno trovare altri eventi di trasformazioni, altre informazioni su fenomeni di oscillazione dei neutrini; ma l’esperimento lo possiamo ritenere concluso con successo».
La chiusura di Opera non è coincisa con la chiusura del fascio inviato da Ginevra: «Gli scienziati che lavorano all’esperimento hanno l’informazione dei contatori elettronici che processano i dati off line e individuano i mattoni interessanti : per tutto questo avevano chiesto di tenere l’apparato in posizione fino alla fine del 2014. Nel gennaio 2015 abbiamo iniziato a smontarlo». Lo smontaggio completo è previsto in 18 mesi. L’estrazione dei mattoni viene fatta con un sistema robotizzato, data la mole dell’impianto e anche perché si approfitta di questa operazione per riuscire a separare altri mattoni interessanti.
Ma una volta tolto Opera, la sala C della galleria dei LNGS non resterà vuota: al suo posto è già pronto per insediarsi il Luna MV, una “facility” unica al mondo, dove il nome non ha nulla a che fare col nostro satellite naturale ma significa Laboratory for Underground Nuclear Astrophysics and Applications-MegaVolts. «Si tratta di un acceleratore lineare elettrostatico per protoni e particelle alfa, progettato per studiare reazioni di nucleosintesi, ovvero misurare sezioni d’urto di reazioni nucleari rilevanti per la sintesi di elementi pesanti che avviene nelle stelle ed è avvenuta nell’universo primordiale. È un esperimento di fisica delle astro particelle, già approvato e finanziato per due anni come progetto premiale del Miur all’interno di una nutrita collaborazione internazionale. L’inizio della presa dati è previsto per il 2018, quindi abbiamo poco più di due anni per l’installazione e la messa a punto del nuovo apparato sperimentale».
Luna MV non è l’unica novità che proviene dalle gallerie dei LNGS. «Le novità più interessanti riguardano il tema caldo della dark matter: fra poco avremo l’inizio della presa dati dell’esperimento Cuore (Cryogenic Undregroung Observatory for Rare Events) il cui scopo principale è la ricerca del decadimento beta doppio senza emissione di neutrini, ma che cercherà anche tracce di materia oscura e studierà alcuni decadimenti rari. C’è poi l’esperimento Gerda (GERmanium Detector Array) che inizierà la fase due dopo i primi lusinghieri risultati».
L’apparato Cuore, che Ragazzi ci indica nella sala A, è il rivelatore bolometrico più grande mai costruito: bolometrico significa che lavorerà a temperature criogeniche, cioè i suoi oltre 740 chilogrammi di cristalli, più altre 4 tonnellate tra parti in rame e schermi in piombo, saranno raffreddati a 10 milliKelvin, 10 millesimi di grado sopra lo zero assoluto; «è il metro cubo più freddo dell’universo!».
Quanto a Gerda, studia il cosiddetto decadimento doppio beta senza neutrini nell’isotopo 76 del Germanio per cedrcare di capire se i neutrini sono particelle di Majorana, cioè se il neutrino e l’antiparticella di se stesso.
Infine, un altro appuntamento atteso: «Tra una decina di giorni si inaugurerà nella sala B l’esperimento Xenon1T, anch’esso per la ricerca sulla materia oscura. Il progetto, avviato nel 2010, ha portato alla realizzazione del più grande rivelatore basato sull’utilizzo di Xenon in doppia fase». I rivelatori che utilizzano Xenon liquido (LXe) sono quelli che hanno raggiunto le sensibilità migliori per l’osservazione diretta di particelle di materia oscura, le cosiddette WIMP (Weakly Interacting Massive Particles, ovvero Particelle massive debolmente interagenti; l’obiettivo dell’esperimento è di abbassare di circa due ordini di grandezza le sensibilità attualmente raggiunte per interazioni WIMP-nucleoni: il rivelatore utilizzerà circa 3 tonnellate di LXe contenuto in un doppio criostato realizzato con acciaio inox a bassa radioattività. Sono dimensioni necessarie se si vuole avere qualche chance con le WIMP, che sono molto massive (100 volte più pesanti di un protone o più) ma interagiscono pochissimo con la materia, ancor meno dei neutrini.