Le chiamano “stelle mancate” ma dagli astronomi sono classificate come “nane brune”. Sono quei corpi celesti che non sono riusciti a diventare stelle e si presentano all’osservazione con un aspetto particolare: hanno dimensioni inferiori a quelle di una stella vera e propria e, avendo una temperatura più bassa, non assumono un colore bianco o giallo o azzurro come le altre stelle, ma appaiono di un rosso cupo; un po’ come quando si scalda un ferro, che dapprima acquista un colore rosso scuro per poi passare, col crescere della temperatura al rosso vivo, poi al giallo e infine diventare incandescente.



Le nane brune sono alla ribalta dell’astronomia in questi giorni per via di una ricerca, i cui risultati sono pubblicati sulla rivista Nature Communications, che ha utilizzato un potente laser per compiere interessanti passi avanti nella comprensione di quei misteriosi oggetti celesti che si trovano non molto lontani dal nostro sistema solare. Sono oggetti scoperti da una ventina d’anni ma non è ancora ben chiaro il perché della loro incapacità a crescere come stelle. Si formano, in realtà, come le stelle, cioè per condensazione di polvere e gas, ma riescono ad acquistare una massa superiore a 0,08 volte quella del Sole e perciò non raggiungono la temperatura necessaria per la fusione termonucleare dell’idrogeno, quindi non brillano.



Riescono solo a bruciare il deuterio (isotopo dell’idrogeno), ma ciò avviene molto “rapidamente” (in circa 10 milioni di anni), perciò sono osservabili come deboli stelle solo per pochissimo tempo; per il resto della loro vita rilasciano sotto forma di calore l’energia accumulata nella contrazione, raffreddandosi lentamente. Insomma, sono troppo calde e massicce per essere considerate pianeti, ma anche troppo fredde e piccole per essere classificate tra le stelle.

Hanno comunque dei parenti illustri: qualche astronomo infatti suggerisce che i pianeti giganti del sistema solare, Giove e Saturno, possano essere in effetti delle piccole nane brune. Soprattutto Giove secondo alcuni sarebbe una stella mancata: pur avendo una massa 300 volte superiore a quella della Terra, è ancora 80 volte inferiore a quel livello che gli avrebbe permesso di diventare una stella.



Resta il fatto che, superato quel livello, non è ben chiaro cosa succeda per far sì che la stella inizia a brillare. La risposta potrebbe nascondersi nei segreti della fisica dei plasmi; e proprio i fisici che studiano il plasma, allo York Plasma Institute dell’Università di York (UK), hanno aperto una pista promettente per arrivare a risolvere l’enigma. L’hanno fatto alleandosi con gli scienziati che operano presso il loro laboratorio laser dell’Oxfordshire al STFC (Science and Technology Facilities Council) dove c’è uno dei laser più potenti del mondo, il Vulcan Petawatt: con loro hanno prodotto dei “grumi” di plasma per ricreare le condizioni simili a quelle che si trovano nelle profondità delle nane brune; hanno potuto così effettuare dei test di resistività e viscosità del materiale che si trova nelle nane brune.

Non è facile avere un’idea di cosa si trovi in queste quasi-stelle: non essendo brillanti, sono difficili da osservare; si possono però studiare i loro spettri di emissione e si possono misurare i raggi X che emettono: da questi i ricercatori sono stati in grado di costruire un profilo di come plasmi molto densi si formano al loro interno. Ricostruendo in laboratorio queste condizioni, si potrà capire come avvenga il trasporto di energia all’interno di queste nane brune.

Che non sono poi così poche. Forse sono ancor più numerose delle stelle come il nostro Sole. La loro conoscenza copre quindi un capitolo non secondario del panorama cosmico. Anche per questo c’è grande attesa per il lancio del prossimo telescopio spaziale, il James Webb Space Telescope, col quale la Nasa spera di duplicare i successi del telescopio Hubble: il James Webb avrà un occhio speciale anche per le nane brune.